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Audizione del Ministro Padoan sul DEF 2018 nelle Commissioni speciali di Senato e Camera

 08/05/2018

1. Il DEF 2018 nella fase di transizione politica

Il Governo ha elaborato il Documento di Economia e Finanza (DEF) 2018 in un momento di transizione politica, caratterizzato dall’insediamento della nuova legislatura. Tenuto conto di ciò il documento non formula – come accade di consueto – un nuovo quadro programmatico, bensì si limita i) alla descrizione dell'evoluzione economico-finanziaria internazionale; ii) all’aggiornamento delle previsioni macroeconomiche per l'Italia e iii) all’aggiornamento del quadro di finanza pubblica tendenziale che ne consegue, alla luce degli effetti della Legge di Bilancio 2018.

Nel rispetto del Parlamento e del prossimo Governo, con questo DEF tendenziale a legislazione vigente si mette a disposizione del Paese uno strumento di lavoro indispensabile per costruire una politica economica per il futuro. Il quadro aggiornato della situazione economica e finanziaria è la base sulla quale il prossimo Esecutivo potrà valutare le politiche e le riforme da adottare.

Il DEF in questa versione non contiene dunque alcun impegno per gli anni a venire ma si limita a prendere atto delle tendenze dell’economia e della finanza pubblica a legislazione vigente. In altre parole risponde alla domanda “che cosa accadrebbe all’andamento dell’economia nazionale e delle finanze pubbliche se non venisse fatta una legge di bilancio per il 2019?”.

Il ciclo della programmazione delle finanze pubbliche potrà essere aggiornato attraverso l’elaborazione di un quadro programmatico e, in autunno, con l’adozione degli altri strumenti di programmazione previsti dalla Legge n. 196/2009: la Nota di Aggiornamento del DEF e il Disegno di Legge di Bilancio dello Stato.

Va ricordato che la legislazione in vigore contempla l’aumento delle imposte indirette nel 2019 e, in minor misura, nel 2020. Come è già avvenuto negli anni scorsi, il rialzo dell’IVA può essere evitato e il gettito atteso può essere sostituito da misure alternative mediante futuri interventi legislativi, per esempio con la legge di bilancio per il 2019. Ricordo che una parte significativa delle clausole di salvaguardia per il 2019 è già stata disattivata mediante gli interventi operati nel corso del 2017 dal DL n. 50 (circa 4,4 miliardi di euro), dal DL n. 148 (340 milioni di euro) e infine dalla legge di Bilancio 2018 (circa 6,1 miliardi di euro).

2. L’eredità della passata legislatura e dell’azione del Governo

Non è mia intenzione fare un bilancio della passata legislatura, tuttavia ritengo sia utile confrontare lo stato attuale dell’economia con quello che si registrava all’inizio della XVII legislatura.

In questi anni l’economia italiana ha percorso un cammino difficile e in salita, un sentiero stretto tra le esigenze i) di interrompere la preoccupante impennata del debito pubblico (la cui incidenza sul prodotto è cresciuta di circa 29 punti percentuali tra il 2007 e il 2013) e ii) al tempo stesso rilanciare l’attività economica.

Tali obiettivi sono stati perseguiti i) operando sull’intensità della correzione dei conti pubblici e sulla composizione del bilancio, in modo da reperire risorse per il sostegno alla crescita economica; ii) introducendo riforme strutturali in grado di migliorare il potenziale dell’economia italiana e la prospettiva di crescita nel lungo periodo.

È dal 2014 che l’economia italiana cresce ininterrottamente; la ripresa, dapprima debole, si è consolidata nel biennio 2015-2016, per acquistare slancio nel 2017 e nell’anno in corso. Nei primi tre mesi del 2018 il PIL è cresciuto per il quindicesimo trimestre consecutivo, a un ritmo coerente con le previsioni degli analisti, delle istituzioni internazionali e del Tesoro.

Si fa a volte osservare che la crescita italiana sarebbe modesta, anzi: “il fanalino di coda dell’Unione europea”. È un’obiezione fondata, ma ricordo due cose: i) dal 2000 in poi, la crescita italiana è stata mediamente bassa: la media del tasso di crescita annuale dell’economia dal 2001 al 2017 è pari allo 0,2 per cento, e se limitiamo l’analisi al periodo precedente la crisi, tra 2001 e 2007 la media è pari all’1,2, analoga a quella degli ultimi tre anni (1,1), quindi quello della crescita modesta è un problema di lungo periodo che trova le sue radici in limiti strutturali; ii) mentre in passato tassi di crescita modesti si sono ottenuti anche grazie a un deficit di bilancio molto ampio (3,2 per cento la media tra 2001 e 2007), in questi anni siamo riusciti a stimolare l’economia mentre correggevamo i conti, con un deficit medio tra 2015 e 2017 pari a 2,5 punti percentuali di PIL.

Per quel che riguarda il mercato del lavoro: rispetto al punto di arresto della crisi occupazionale, che collocherei in corrispondenza del numero assoluto di occupati più basso, a settembre 2013, è stato recuperato più di un milione di posti di lavoro. Il numero di lavoratori dipendenti, in particolare, da settembre 2013 a marzo 2018 è aumentato di un milione 220mila unità. Di questi nuovi occupati, 443mila hanno un contratto a tempo indeterminato.

Anche i dati di fonte amministrativa (INPS) confermano la crescita delle assunzioni nel periodo gennaio-febbraio di quest’anno e un saldo fra assunzioni e cessazioni pari a 296mila unità, contro le 220mila del corrispondente periodo del 2017. Le assunzioni a tempo indeterminato aumentano dell’8,4 per cento, le trasformazioni da tempo determinato a indeterminato del 79,5 per cento. Gli incentivi all’assunzione a tempo indeterminato di under35 funzionano (+56mila nei due mesi) ma ‘spiegano’ solo un quinto dell’aumento totale dei nuovi contratti a tempo indeterminato e conversioni da determinato a indeterminato (+310mila).

Il recupero che le statistiche registrano è significativo non solo dal punto di vista della crescita e dell’occupazione, ma anche della produzione industriale (+3,7 per cento nel 2017), dell’export, della domanda interna, del clima di fiducia; si tratta di risultati ancor più rilevanti se si considera che nel frattempo è proseguita – graduale ma ininterrotta – l’azione di messa in sicurezza dei conti pubblici.

Sin dal 2014 la gestione delle finanze pubbliche è stata infatti improntata a conseguire una progressiva ma al tempo stesso sostanziosa riduzione del deficit. Pari al 3 per cento del PIL nel 2014, il deficit è gradualmente diminuito negli anni, raggiungendo il 2,3 per cento nel 2017 (1,9 al netto degli interventi straordinari per il settore bancario e la tutela del risparmio). Parallelamente, dopo sette anni di aumenti consecutivi, il rapporto debito/PIL si è stabilizzato, registrando delle riduzioni sull’anno precedente sia nel 2015 che nel 2017.

3. Le prospettive di crescita e di finanza pubblica

La crescita. – Il documento di economia e finanza conferma per il 2018 la previsione di crescita del PIL già formulata a settembre, pari all’1,5 per cento – il quinto anno di espansione consecutiva del prodotto. Un dato perfettamente in linea con la stima del Fondo monetario internazionale e con quella della Commissione europea rilasciata giovedì scorso. Una revisione al rialzo della crescita prevista del commercio internazionale e un livello dei rendimenti sui titoli di Stato lievemente inferiore rispetto alle ipotesi formulate a settembre compensano un tasso di cambio dell’euro e prezzi del petrolio più elevati.

Alla crescita attesa del PIL contribuiscono, dal lato della domanda: i) l’aumento degli investimenti privati, che risentano (in più o in meno) del clima di fiducia, dell’ambiente economico e degli incentivi; ii) la continuazione di una crescita moderata dei consumi privati; iii) il recupero degli investimenti pubblici; iv) in misura minore, le esportazioni nette. Contribuisce alla ripresa di consumi e investimenti il ripristino di condizioni del credito più favorevoli, sostenute dagli interventi che hanno affrontato specifiche crisi bancarie e dalle riforme che hanno contribuito ad accrescere la concentrazione, la patrimonializzazione e la resilienza del comparto.

La previsione di crescita del PIL reale per il 2019 viene leggermente ridotta – dall’1,5 all’1,4 per cento – mentre rimane invariata quella per il 2020 – all’1,3. Benché l’evoluzione delle variabili esogene rilevanti ai fini delle previsioni della crescita del PIL nel biennio 20192020 sia più favorevole rispetto a settembre, si è utilizzata maggiore cautela alla luce i) dei rischi geopolitici di medio termine che si sono più chiaramente evidenziati negli ultimi mesi; ii) dell’eventuale protrarsi della fase di incertezza politica nel Paese, potenzialmente in grado di frenare in particolare la diffusa ripartenza degli investimenti.

Il quadro internazionale è contrassegnato da fattori di rischio di segno opposto. La stabilità finanziaria conseguita in seguito alla crisi globale ha goduto di un elevato grado di accomodamento monetario e dell’irrobustimento del sistema finanziario e bancario internazionale, frutto di stringenti interventi di regolamentazione in materia di capitalizzazione, gestione del rischio di credito e di mercato delle banche. Vi è tuttavia il rischio che il quadro di stabilità finanziaria possa essere messo a repentaglio dagli elevati corsi azionari, i bassi differenziali di rendimento sui titoli corporate a reddito fisso, la prolungata bassa volatilità a cui gli investitori si sono abituati e gli elevati livelli di indebitamento in alcuni comparti.

Le misure protezionistiche recentemente introdotte dall’Amministrazione Trump rappresentano, allo stato attuale, il rischio più significativo per le previsioni. Si tratta al momento dell’imposizione di dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio e di una serie di manifatture cinesi, in aggiunta a restrizioni sulle acquisizioni di tecnologia statunitense. L’impatto diretto sul commercio mondiale sarà probabilmente limitato. Il Presidente Trump ha tuttavia dichiarato che le decisioni sin qui annunciate sono solo l’inizio di azioni a più ampio raggio, che potrebbero investire anche prodotti europei, quali ad es. le autovetture.

Ma l’imposizione di dazi doganali su molteplici prodotti da parte degli Stati Uniti potrebbe portare a ritorsioni, oltre che dalla Cina, anche da parte di altri paesi e causare un forte rallentamento della crescita del commercio internazionale. L’impatto sulle filiere produttive potrebbe essere assai negativo, con ripercussioni su occupazione ed inflazione anche nei paesi europei. Vi sarebbe inoltre una diversione di flussi commerciali, che renderebbe l’Europa ancor più esposta allo sforzo di penetrazione commerciale da parte degli esportatori asiatici. Oltre ai possibili effetti delle più recenti politiche commerciali statunitensi, la tendenza al rafforzamento dell’euro costituisce un ulteriore rischio al ribasso sulle prospettive dei settori rivolti alla domanda internazionale.

Alla crescita dell’economia si accompagna l’aumento atteso dell’occupazione e delle ore lavorate; ne discende una diminuzione del tasso di disoccupazione, stimato per il 2018 al 10,7 per cento (dall’11,2 del 2017), al 9,8 nel 2019.

In merito al PIL nominale, la crescita accelererebbe dal 2,1 per cento nel 2017 al 2,9 nel 2018 e al 3,2 nel 2019, per poi rallentare lievemente al 3,1 nel 2020 e al 2,7 nel 2021, valori comunque più elevati di quelli registrati in anni recenti.

Questo nuovo quadro macro tendenziale 2018-2021 è stato validato dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio.

La finanza pubblica. – Una compiuta valutazione del quadro previsivo deve tenere conto del miglioramento del saldo di bilancio a legislazione vigente, sia in termini nominali, sia strutturali – ovvero correggendo il saldo nominale per i fattori ciclici e le misure una tantum e temporanee. In aggiunta a misure di contrasto all’evasione fiscale e di contenimento della spesa pubblica, tale miglioramento riflette gli effetti delle clausole di salvaguardia 2019 e 2020, delle quali come ho già detto auspico la rimozione.

La stima del deficit per il 2018 viene confermata all’1,6 per cento del PIL. L’avanzo primario si porterebbe all’1,9 per cento del PIL, dall’1,5 del 2017 (1,9 escludendo gli interventi straordinari sulle banche).

Nei prossimi anni l’indebitamento netto scenderebbe allo 0,8 per cento del PIL nel 2019 e a zero nel 2020. Parallelamente, il saldo primario migliorerebbe al 2,7 per cento nel 2019 e al 3,4 nel 2020. I pagamenti per interessi scenderebbero a poco più del 3,5 per cento del PIL nel 2018 (dal 3,8 per cento del 2017) e rimarrebbero nell’intorno di quel livello fino al 2021, nonostante il rialzo dei rendimenti sui titoli di Stato scontato dal mercato per i prossimi anni.

Per quanto riguarda i saldi di finanza pubblica corretti per il ciclo e le misure una tantum e temporanee, oggetto di monitoraggio da parte della Commissione Europa in base al Patto di Stabilità e Crescita, il saldo strutturale migliorerebbe di 0,1 punti di PIL nel 2018, di 0,6 nel 2019 e di 0,5 nel 2020; in livello il saldo strutturale raggiungerebbe lo 0,1 per cento del PIL nel 2020 e nel 2021, soddisfacendo pertanto l’Obiettivo di Medio Termine del pareggio di bilancio strutturale.

Evidenzio che tutti i dati rappresentati nel DEF si basano sulle stime di prodotto potenziale e output gap formulate dal Governo. Da parte sua, nelle Spring Forecast pubblicate il 3 maggio, la Commissione Europea stima che il deficit dell’Italia quest’anno sarà pari all’1,7 per cento del PIL, contro l’1,6 previsto dal Governo. Ciò fa sì che il saldo strutturale secondo la Commissione rimanga invariato nel 2018, anziché migliorare di un decimo di punto come previsto dal Governo. Sottolineo nuovamente che, a sua volta, la variazione del saldo strutturale nel 2018 è minore di quanto previsto a settembre poiché il 2017 si è chiuso con un risultato migliore in misura pari a 0,2 punti percentuali. Il livello del saldo strutturale 2018 è esattamente quello previsto nel settembre scorso.

In tema di finanza pubblica vi è poi una variabile chiave il cui onere grava sul paese, della quale si parla malvolentieri, non se ne è parlato affatto ad esempio durante la passata campagna elettorale. Si tratta del debito pubblico. Se intendiamo rimuovere questo peso dalle spalle dei nostri figli nessuno può voltarsi dall’altra parte e disinteressarsene.

Ho già ricordato che il debito è cresciuto dal 100 al 130 per cento circa del PIL in sette anni, dal 2007 al 2013. Nella passata legislatura è stata arrestato questa spirale e sono stati messi in sicurezza i conti pubblici. A legislazione vigente questa tendenza è assicurata: il debito, stabilizzato a partire dal 2014, comincia a scendere in modo più consistente da quest’anno. Il nuovo quadro tendenziale pone il rapporto debito/PIL a fine 2018 al 130,8 per cento, in discesa dal 131,8 del 2017.

Grazie in particolare ai maggiori surplus primari e ad una crescita più sostenuta del PIL nominale, il rapporto debito/PIL calerebbe poi più rapidamente nei prossimi tre anni, fino a raggiungere il 122,0 per cento nel 2021.

4. La novità del benessere equo e sostenibile

Come ho ricordato, nel corso degli anni passati abbiamo registrato un graduale miglioramento, complessivamente significativo, delle principali statistiche macroeconomiche: PIL, occupazione e disoccupazione, produzione industriale etc. Eppure il disagio sociale non si è arrestato, le disuguaglianze in alcuni casi sono cresciute oppure è aumentato il divario tra chi stava bene e chi stava male già prima della crisi. La politica economica deve migliorare la propria cassetta degli attrezzi.

Per questo motivo durante la passata legislatura è stato introdotto nel ciclo di programmazione economica un set di indicatori del benessere equo e sostenibile. Il Governo ha sostenuto con convinzione questa innovazione, che vede l’Italia all’avanguardia a livello internazionale. Dopo l’esercizio sperimentale dello scorso anno, in un allegato del DEF 2018 si analizzano le tendenze recenti di dodici indicatori di benessere equo e sostenibile su aree come disuguaglianza, istruzione, salute, ambiente e sicurezza e si proiettano le future evoluzioni degli indicatori attualmente simulabili. Si formula inoltre un bilancio di genere, che permette di valutare l’impatto delle scelte di finanza pubblica sull’equilibrio tra uomini e donne. L’inserimento dell’analisi del benessere nei documenti programmatici è funzionale a una maggiore attenzione dei decisori politici e dell’opinione pubblica verso questi temi così rilevanti per i cittadini.

Dall’analisi si evince come la crisi abbia intaccato il benessere dei cittadini, in particolare accentuando le disuguaglianze e aggravando il fenomeno della povertà assoluta, soprattutto fra i giovani. È tuttavia in corso un recupero dei redditi e dell’occupazione; si attenuano fenomeni di esclusione sociale quali la mancata partecipazione al mercato del lavoro e l’abbandono scolastico precoce; migliorano alcuni indicatori di efficienza del settore pubblico, quali la durata dei processi civili.

Molto resta da fare in quest’area, i progressi non sono uniformi a livello territoriale, ma esiste una base su cui proseguire ed allargare lo sforzo di miglioramento del benessere, dell’equità e della sostenibilità sociale, economica ed ambientale.


In conclusione l’Italia è nelle condizioni per proseguire nell’irrobustimento strutturale della crescita, dell’aumento dell’occupazione, dell’inclusione sociale e nel rafforzamento delle finanze pubbliche e nella riduzione della pressione fiscale.

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