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- Analisi e statistiche sulle dichiarazioni fiscali 2017 irpef, studi di settore, iva

 31/05/2018

Comunicato Stampa N° 89 del 31/05/2018

Il Dipartimento delle Finanze pubblica le statistiche relative agli Studi di Settore, alle dichiarazioni delle persone fisiche in base al reddito prevalente, alle dichiarazioni IVA e ad altri dati trasmessi dai contribuenti nel 2017, relativi al periodo d’imposta 2016 (dichiarazioni presentate nel 2017).

STUDI DI SETTORE

Nel 2016 si è registrata una crescita del Pil[1] dell’1,7% in termini nominali e dello 0,9% in termini reali, che ha consolidato la ripresa avviata nel 2015.

In questo contesto, l’applicazione degli Studi di Settore nel 2016 ha riguardato circa 3,2 milioni di soggetti (62,2% persone fisiche), in calo del 5,1% rispetto all’anno precedente. Il risultato è effetto principalmente dell’aumento delle adesioni al regime forfettario, che non prevede l’applicazione degli studi di settore ai soggetti che aderiscono a tale regime semplificato. Il regime forfettario, introdotto dalla legge 190/2014 (legge di stabilità per il 2015), è stato modificato dalla legge di bilancio per il 2016 che ha rivisto al rialzo le soglie massime di ricavi/compensi previste per potervi accedere. Questo ha portato ad un aumento delle adesioni.

I ricavi/compensi totali dei contribuenti soggetti agli studi di settore, riferiti all’anno di imposta 2016, sono risultati pari a 723 miliardi di euro, con una lieve variazione rispetto al 2015 (+0,7%) e andamenti leggermente differenziati tra i settori: quello dei servizi mostra l’incremento maggiore (+1,5%), seguito dalle attività manifatturiere (+0,2%); sostanzialmente stabile risulta il commercio, mentre le attività professionali mostrano un lieve calo (-0,3%). Il reddito totale dichiarato è pari a circa 107 miliardi di euro, in linea rispetto all’anno precedente; il reddito medio dichiarato è pari a 30.360 euro per le persone fisiche (+6,2%), a 41.820 euro per le società di persone (+3,7%) e a 33.240 euro per le società di capitali ed enti (+3,9%).

Il reddito medio dichiarato più elevato si registra nel settore delle attività professionali (47.780 euro, +7,8% rispetto al 2015), seguito dal settore delle attività manifatturiere (40.460 euro, +8,1% sul 2015) e dal settore dei servizi (28.620 euro, +4%), mentre il reddito medio dichiarato più basso appartiene al commercio (23.680 euro, con un aumento pari al 5,2%).

L’aumento del reddito medio è anche l’effetto dell’ampliamento del numero di soggetti che aderiscono al regime forfetario: la fuoriuscita dagli studi di settore di tali soggetti, che dichiarano normalmente redditi bassi, si riflette infatti in un aumento del reddito medio dichiarato. In relazione alla composizione percentuale dei valori dichiarati si evidenzia che le società di capitali a fronte di oltre la metà del totale dei ricavi/compensi (54%) dichiarano solo il 20% circa del totale dei redditi; diversamente, a fronte del 26% dei ricavi o compensi totali, le persone fisiche dichiarano il 57% dei redditi totali. Queste quote percentuali, riflettendo la specifica struttura produttiva delle diverse forme giuridiche dei contribuenti, sono in linea con quanto evidenziato lo scorso anno.

Un confronto tra i livelli di reddito medio dei soggetti congrui e non congrui[2] mostra differenze molto elevate: escludendo i soggetti di minori dimensioni[3], si passa complessivamente da un reddito medio di 50.090 euro per i soggetti congrui ad un reddito medio di 6.070 euro per quelli non congrui.

STATISTICHE IRPEF IN BASE AL REDDITO PREVALENTE
I dati statistici delle dichiarazioni Irpef delle persone fisiche, pubblicati a marzo, sono ora arricchiti dalla classificazione dei contribuenti in base al reddito prevalente. L’83,4% dei circa 40,9 milioni di contribuenti Irpef detiene prevalentemente reddito da lavoro dipendente o pensione e solo il 4,9% del totale ha un reddito prevalente derivante dall’esercizio di attività d’impresa o di lavoro autonomo, in linea con l’anno precedente. La percentuale di coloro che detengono in prevalenza reddito da fabbricati è pari al 4,3%.

Dall’analisi integrata delle dichiarazioni dei dipendenti con quelle dei propri datori di lavoro si osserva che oltre il 78% dei dipendenti ha prestato servizio presso lo stesso datore di lavoro nell’arco dell’anno, mentre il restante 22% ha prestato servizio presso più datori di lavoro. Rispetto alla natura giuridica del datore di lavoro, il 54% dei lavoratori dipendenti presta servizio presso società per azioni, società a responsabilità limitata e società cooperative, seguiti da coloro che sono occupati presso enti pubblici (16%), ditte individuali (9%), enti e istituti di previdenza e assistenza sociale (7%) e società di persone (7%).

Il reddito medio da lavoro dipendente presenta un’elevata variabilità rispetto alla diversa natura del datore di lavoro[4]: il reddito medio più basso, pari a 10.040 euro, risulta quello dei lavoratori dipendenti il cui datore di lavoro è una persona fisica; il valore sale a 14.180 euro per i dipendenti di società di persone, a 21.050 euro per i dipendenti della Pubblica Amministrazione[5], mentre si registra il reddito medio più elevato, pari a 23.720 euro, per i dipendenti delle società di capitali[6].

DICHIARAZIONI IVA

Sono circa 4,9 milioni i contribuenti che hanno presentato la dichiarazione Iva per l’anno d’imposta 2016, con un calo rispetto all’anno precedente del 4,5%, che riflette principalmente la mancata presentazione della dichiarazione da parte dei soggetti che hanno aderito al regime forfetario, le cui soglie di accesso sono state elevate dalla Legge di Bilancio 2016.

Le operazioni imponibili dichiarate per l’anno d’imposta 2016 sono pari a 2.086 miliardi (+1,09% rispetto al 2015), mentre il volume d’affari dichiarato è pari a 3.276 miliardi di euro, sostanzialmente in linea con quello dell’anno precedente[7].

Per l’anno d’imposta 2016, l’ammontare dell’Iva di competenza stimata, definita come saldo tra Iva a debito e Iva detraibile, è pari a 93,4 miliardi di euro (+4,2% rispetto al 2015). La variabile include la stima della componente legata all’introduzione, a partire dal 1° gennaio 2015, del meccanismo dello split payment che prevede la “scissione” del pagamento per le pubbliche amministrazioni che effettuano operazioni di acquisto: da un lato viene pagato al fornitore il corrispettivo al netto dell’IVA sulle cessioni di beni e prestazioni di servizi, dall’altro viene versata direttamente all’Erario l’IVA esposta in fattura. Il meccanismo è stato introdotto per contrastare l’evasione IVA da omesso versamento e nel corso del 2017 ne è stato esteso l’ambito di applicazione[8]. Dalle dichiarazioni relative all’anno d’imposta 2016, sono circa 334.000 i contribuenti che hanno effettuato operazioni verso la P.A. con pagamenti in split payment (+2% rispetto al 2015), per un ammontare di 82,9 miliardi di euro[9].

La ripartizione per settore economico evidenzia che oltre il 65% dei fornitori che effettuano pagamenti in split payment e oltre il 40% del complessivo ammontare si concentrano in tre settori: il “Commercio all'ingrosso e al dettaglio; riparazione di autoveicoli e motocicli” (con il 31,3% dei fornitori e un ammontare di operazioni di 11,9 miliardi di euro), le “Costruzioni” (con il 21% dei fornitori e un ammontare di operazioni di 10,6 miliardi) e l’“Attività manifatturiera” (con il 12,9% dei fornitori e un ammontare di 11,7 miliardi di euro).

I rimborsi Iva annuali richiesti sono stati pari a 6,8 miliardi con un incremento dell’1% rispetto al 2015, mentre i rimborsi infrannuali utilizzati ammontano a 3,8 miliardi, (+18,3%). L’aumento delle situazioni creditizie è stato influenzato dal meccanismo dello split payment che, determinando per i fornitori il mancato incasso dell’Iva sulle cessioni, non consente le compensazioni con i crediti generati dall’Iva pagata sugli acquisti.

Si osserva infine che i settori di attività più interessati dall’applicazione del meccanismo del reverse charge[10] risultano quello energetico, per il quale si rilevano gli importi più elevati (operazioni per circa 102 miliardi di euro, anche se in calo rispetto all’anno precedente) e il subappalto edile per il quale si registra il numero più elevato di operatori coinvolti (oltre 260.000 soggetti).

ALTRE STATISTICHE

Completano la pubblicazione le statistiche sulle dichiarazioni dei titolari di partita Iva, delle società di persone e le statistiche sul registro e sulle successioni.

Tutti i dati statistici sulle dichiarazioni fiscali e sugli Studi di Settore sono disponibili sul sito www.finanze.gov.it seguendo i percorsi “dati e statistiche/dichiarazioni” e “dati e statistiche/studi di settore”, dove sono disponibili le analisi dei dati, le novità normative e le note metodologiche per la corretta interpretazione delle statistiche.


[1] La variazione del Pil è riferita a dati aggiornati a marzo 2018 e provenienti dal DataWarehouse delle statistiche prodotte dall’Istat e disponibili sul sito http://www.istat.it/. Il Pil in termini reali è riferito a valori concatenati con anno di riferimento 2010.
[2] Si ricorda che un contribuente è congruo se i ricavi o i compensi dichiarati sono uguali o superiori a quelli stimati dagli Studi di Settore, tenuto conto delle risultanze derivanti dall’applicazione degli indicatori di normalità economica.
[3] Ossia le persone fisiche con ricavi/compensi inferiori a 30.000 euro.
[4] Il focus riguarda i lavoratori dipendenti il cui sostituto d’imposta dichiara un reddito da attività economica e i lavoratori dipendenti della pubblica amministrazione individuati in base al codice ATECO del datore di lavoro.
[5] In questo caso la P.A. è stata individuata in base al codice ATECO e non in base alla natura giuridica del soggetto.
[6] Non sono stati analizzati i redditi medi di lavoratori presso datori di lavoro con altre forme giuridiche in considerazione della significativa eterogeneità che ne rende difficile una corretta interpretazione.
[7] La stabilità del volume d’affari dipende dalla contrazione di alcune voci delle componenti non imponibili del volume d’affari.
[8] Cfr. DD.LL. 50 e 148 del 2017.
[9] L’ammontare dello split payment deriva da una stima, la cui metodologia è stata revisionata tra il 2015 e 2016.
[10] L'inversione contabile, o reverse charge è un particolare meccanismo di applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, per effetto del quale il destinatario di una fornitura di beni o prestazione di servizi è tenuto all'assolvimento dell'imposta in luogo del fornitore o prestatore. Tale meccanismo viene normalmente introdotto per contrastare il mancato versamento dell’IVA, attribuendo l’obbligo assolvimento dell’imposta ad una categoria di soggetti con un maggior grado di compliance.
 
Roma 31/05/2018
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