Benvenuto sul sito del Ministero dell’Economia e delle Finanze, conosciuto anche come Portale mef

Contenuto principale

- Analisi e statistiche sulle dichiarazioni fiscali 2016 IRPEF, studi di settore, IVA

 09/05/2017

Comunicato Stampa N° 69 del 09/05/2017

Il Dipartimento delle Finanze pubblica le statistiche relative agli Studi di Settore, alle dichiarazioni delle persone fisiche in base al reddito prevalente, alle dichiarazioni IVA e ad altri dati trasmessi dai contribuenti nel 2016, relativi al periodo d’imposta 2015.

STUDI DI SETTORE

Ai fini dell’interpretazione dei dati è opportuno ricordare il contesto macroeconomico nel 2015, caratterizzato da un Pil in crescita dello 0,8% in termini reali e dell’1,5% in termini nominali[1].
L’applicazione degli Studi di Settore nel 2015 ha riguardato 3,4 milioni di soggetti (63,9% persone fisiche) in calo (-5,8%) rispetto all’anno precedente a causa principalmente dell’introduzione del nuovo regime forfettario, di cui alla Legge 190/2014 che non prevede l’applicazione degli studi di settore per i soggetti che hanno aderito a tale regime semplificato.
Si ricorda inoltre che, a partire dall’anno d’imposta 2017, il Decreto Legge 22 ottobre 2016 n.193 ha previsto la soppressione della disciplina degli Studi di Settore e l’introduzione di indici sintetici di affidabilità per la promozione dell’osservanza degli obblighi fiscali.
I ricavi/compensi totali dei contribuenti sottoposti agli studi di settore, riferiti all’anno di imposta 2015, sono risultati pari a 718 miliardi di euro, con un lieve aumento rispetto al 2014 (+0,6%) e andamenti lievemente differenziati tra i settori: quello dei servizi mostra l’incremento maggiore (+1,3%), seguito dal settore delle attività professionali (+0,7%) mentre i settori del commercio e del manifatturiero mostrano aumenti contenuti (+0,1%). Il reddito totale dichiarato è pari a 107 miliardi di euro e mostra un andamento positivo rispetto al 2014 (+5,3%); il reddito medio dichiarato risulta pari a 28.600 euro per le persone fisiche (+10,3%), a 40.340 euro per le società di persone (+9,1%) e a 31.980 euro per le società di capitali ed enti (+19,6%).
Il reddito medio dichiarato più elevato si registra nel settore delle attività professionali (44.310 euro, +6,5% rispetto al 2014), seguito dal settore delle attività manifatturiere (37.440 euro, +15,5% sul 2014) e dal settore dei servizi (27.510 euro, + 12,8%), mentre il reddito medio dichiarato più basso risulta nel commercio (22.510 euro, che comunque presenta l’aumento più evidente, pari al 18,0%).
Analizzando le composizioni percentuali dei valori dichiarati si evidenzia che le società di capitali, pur dichiarando la metà del totale dei ricavi/compensi (52%), dichiarano solo il 18% del totale dei redditi; al contrario le persone fisiche, pur dichiarando solo il 27% dei ricavi o compensi totali, dichiarano il 58% dei redditi totali. Queste quote percentuali, riflettendo la specifica struttura produttiva delle diverse forme giuridiche dei contribuenti, sono in linea con quanto evidenziato lo scorso anno. Un confronto tra i livelli di reddito medio dei soggetti congrui e non congrui[2] mostra differenze molto elevate: escludendo i soggetti di minori dimensioni[3], si passa complessivamente da un reddito medio di 48.070 euro per i soggetti congrui ad reddito medio di 4.490 euro per quelli non congrui.

STATISTICHE IRPEF IN BASE AL REDDITO PREVALENTE

CHE IRPEF IN BASE AL REDDITO PREVAL]ENTE I dati statistici delle dichiarazioni Irpef delle persone fisiche, pubblicati a febbraio, sono ora arricchiti dalla classificazione dei contribuenti in base al reddito prevalente. L’83,2% dei circa 40,8 milioni di contribuenti Irpef detiene prevalentemente reddito da lavoro dipendente o pensione e solo il 5,3% del totale, in linea con l’anno precedente, ha un reddito prevalente derivante dall’esercizio di attività d’impresa o di lavoro autonomo. La percentuale di coloro che detengono in prevalenza reddito da fabbricati è pari al 4,2%. Dall’analisi integrata delle dichiarazioni dei dipendenti con quelle dei propri datori di lavoro si osserva che circa il 77% dei dipendenti ha prestato servizio presso lo stesso datore di lavoro nell’arco dell’anno, mentre il restante 23% ha prestato servizio presso più datori di lavoro. Rispetto alla natura giuridica del datore di lavoro, il 53% dei lavoratori dipendenti presta servizio presso società per azioni, società a responsabilità limitata e società cooperative, seguiti da coloro che sono occupati presso enti pubblici (16%), ditte individuali (9%), enti e istituti di previdenza e assistenza sociale (7%) e società di persone (7%). Il reddito medio da lavoro dipendente presenta un’elevata variabilità rispetto alla diversa natura del datore di lavoro[4]: il reddito medio più basso, pari a 9.700 euro, risulta essere quello dei lavoratori dipendenti il cui datore di lavoro è una persona fisica; il valore sale a 13.930 euro per i dipendenti di società di persone, a 21.530 euro per i dipendenti della Pubblica Amministrazione[5], mentre si registra il reddito medio più elevato, pari a 23.750 euro, per i dipendenti delle società di capitali[6].

DICHIARAZIONI IVA

Sono circa 5,1 milioni i contribuenti che hanno presentato la dichiarazione Iva per l’anno d’imposta 2015, con un calo rispetto all’anno precedente (-2,6%), che riflette principalmente la mancata presentazione della dichiarazione da parte dei soggetti che hanno aderito al nuovo regime forfetario.
Il volume d’affari dichiarato è pari a 3.277 miliardi di euro (+0,7% rispetto all’anno precedente)
ed il valore aggiunto fiscale[7] ammonta a 764 miliardi di euro (+0,3%). L’ammontare dell’Iva di competenza dell’anno d’imposta, definita come saldo tra Iva a debito e Iva detraibile, è pari 89,6 miliardi di euro. Tale cifra per il 2015 è frutto di una stima, quindi non direttamente confrontabile con il valore dell’anno precedente, a causa dell’introduzione a partire dal 1 gennaio 2015 del meccanismo dello split payment. In base a tale meccanismo le pubbliche amministrazioni che effettuano operazioni di acquisto sono tenute a pagare le prestazioni con una forma di ‘scissione’: da un lato devono pagare al fornitore il corrispettivo al netto dell’IVA sulle cessioni di beni e prestazioni di servizi, dall’altro devono versare direttamente all’Erario l’IVA esposta in fattura. Il meccanismo è stato introdotto per combattere l’evasione IVA da mancato versamento ed il recente D.L. 50 del 24 aprile 2017 ne estende l’ambito di applicazione. Dalle dichiarazioni elaborate, sono circa 328.000 i contribuenti che hanno effettuato operazioni verso la P.A. con pagamenti in split payment, per un ammontare di 83,9 miliardi di euro. I fornitori con volume d’affari superiore ai 50 milioni di euro (0,7% del totale) effettuano il 50% dell’ammontare totale delle operazioni in split payment[8]. I crediti Iva richiesti a rimborso sono stati pari a 9,9 miliardi di euro (+27,17%). L’aumento delle situazioni creditizie è stato influenzato dal meccanismo dello split payment che, determinando per i fornitori il mancato incasso dell’Iva sulle cessioni, impedisce le compensazioni con i crediti generati dall’Iva pagata sugli acquisti.
La legge di stabilità per il 2015 ha inoltre esteso l’applicazione del reverse charge[9] ad alcune operazioni del settore energetico (quali ai trasferimenti di quote di emissioni di gas a effetto serra e alle cessioni di gas e di energia elettrica a un soggetto passivo rivenditore) e ad alcune attività del comparto edile (attività di pulizia, demolizione, installazione impianti e prestazioni di completamento relative ad edifici). Dalle dichiarazioni Iva risultano nel settore energetico 70.000 fornitori che effettuano tali operazioni per circa 123 miliardi di euro e nel settore edile circa 165.000 fornitori, per circa 16,5 miliardi di euro.
Dall’analisi del quadro VT delle dichiarazioni Iva si rileva che il 17,2% dei soggetti effettua vendite solo nei confronti di consumatori finali, il 39% solo nei confronti di altri soggetti Iva, mentre il restante 43,8% effettua vendite nei confronti sia di consumatori finali sia di altri soggetti Iva.

ALTRE STATISTICHE

Completano la pubblicazione le statistiche sulle dichiarazioni dei titolari di partita Iva, delle società di persone e le statistiche sul registro e sulle successioni.

Tutti i dati statistici sulle dichiarazioni fiscali e sugli Studi di Settore sono disponibili sul sito www.finanze.gov.it seguendo i percorsi “dati e statistiche/dichiarazioni” e “dati e statistiche/studi di settore”, dove sono disponibili le analisi dei dati, le novità normative e le note metodologiche per la corretta interpretazione delle statistiche.


[1] La variazione del Pil è riferita a dati aggiornati a marzo 2017 e provenienti dal DataWarehouse delle statistiche prodotte dall’Istat e disponibili sul sito http://www.istat.it/. Il Pil in termini reali è riferito a valori concatenati con anno di riferimento 2010.
[2] Si ricorda che un contribuente è congruo se i ricavi o i compensi dichiarati sono uguali o superiori a quelli stimati dagli Studi di Settore, tenuto conto delle risultanze derivanti dall’applicazione degli indicatori di normalità economica.
[3] Ossia le persone fisiche con ricavi/compensi inferiori a 30.000 euro.
[4] Il focus riguarda i lavoratori dipendenti il cui sostituto d’imposta dichiara un reddito da attività economica e i lavoratori dipendenti della pubblica amministrazione individuati in base al codice ATECO del datore di lavoro.
[5] In questo caso la P.A. è stata individuata in base al codice ATECO e non in base alla natura giuridica del soggetto.
[6] Non sono stati analizzati i redditi medi di lavoratori presso datori di lavoro con altre forme giuridiche in considerazione della significativa eterogeneità che ne rende difficile una corretta interpretazione.
[7] Differenza tra volume d’affari e totale acquisti ed importazioni.
[8] Nei casi in cui la P.A. assume la qualifica di debitore d’imposta in qualità di soggetto passivo IVA, si utilizza invece, ove applicabile il meccanismo del reverse charge: è il caso, ad esempio, dei fornitori che esercitino le attività economiche (pulizie, edilizia ecc.) assoggettate all’inversione contabile.
[9] L'inversione contabile, o reverse charge è un particolare meccanismo di applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, per effetto del quale il destinatario di una fornitura di beni o prestazione di servizi è tenuto all'assolvimento dell'imposta in luogo del fornitore o prestatore. Tale meccanismo viene normalmente introdotto per contrastare il mancato versamento dell’IVA, attribuendo l’obbligo assolvimento dell’imposta ad una categoria di soggetti con un maggior grado di compliance.
 
Roma 09/05/2017
Elenco dei Tag. Di seguito sono elencate le parole chiave associate ai contenuti di questa pagina. Selezionando il TAG potrai individuare facilmente altre pagine o argomenti correlati.