Intervento del Ministro Franco al Forum ‘Sud – Progetti per ripartire’
24/03/2021Intervento del Ministro dell’Economia e delle Finanze, Daniele Franco, al Forum “Sud – Progetti per ripartire”
Desidero ringraziare la Ministra Mara Carfagna per aver organizzato questa importante iniziativa di ascolto pubblico.
Le analisi e le riflessioni di questo forum sono state improntate a uno spirito di grande concretezza che è fondamentale per la buona riuscita del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, sia nella fase di predisposizione, che ci vede impegnati in queste settimane, sia nella successiva fase di realizzazione.
Molto è già stato detto in questi due giorni. Mi limiterò a poche considerazioni. Sono consapevole che toccherò temi già affrontati.
La discussione sui divari territoriali in Italia è di lunga data. Nel linguaggio post-unitario si parlava della “questione meridionale”. Il tema è stato oggetto di molteplici studi storici e di molteplici analisi economiche, dai decenni successivi all’Unificazione ai nostri giorni. È probabilmente il tema economico più discusso nella nostra storia unitaria.
Nel secondo dopoguerra sono stati molti gli interventi di politica economica volti a ridurre e possibilmente chiudere il divario tra il Sud e il resto del Paese.
Fino agli anni settanta le regioni del Sud hanno vissuto una fase di recupero, in termini di PIL pro capite, rispetto alle regioni del Centro-Nord. Il Paese in quegli anni cresceva a un ritmo sostenuto: il recupero del Sud pertanto era guidato da un’accelerazione della crescita molto significativa.
È stata anche una fase accompagnata da intensi flussi migratori dal Sud al resto del Paese e all’estero e connotata da strumenti nuovi (si ricordino la Cassa per il Mezzogiorno e i nuovi poli industriali).
Dalla metà degli anni Settanta la convergenza si è arrestata. A seguito delle due crisi che si sono succedute tra il 2008 e il 2012, il divario territoriale si è anzi di nuovo ampliato, in presenza di una crescita aggregata peraltro molto modesta. Il Mezzogiorno è un’area che non riesce a recuperare rispetto alla restante parte di un Paese che – nel complesso – da circa un quarto di secolo ha un evidente problema di crescita.
Come sappiamo e come è emerso nelle presentazioni di ieri e di oggi, il divario tra il Sud e il Centro-Nord riguarda numerose dimensioni fondamentali per il benessere economico.
Le differenze riguardano innanzitutto il prodotto pro-capite e le condizioni del mercato del lavoro. Come ha già ricordato il Presidente Draghi, il reddito medio nelle regioni del Sud è pari al 55 per cento di quello del Centro Nord. Il tasso di disoccupazione nelle regioni meridionali di oltre 20 punti inferiore a quello del resto del Paese.
Le disparità di reddito e sul mercato del lavoro a livello territoriale penalizzano in modo particolare le donne e i giovani che risiedono al Sud. Esiti così sfavorevoli sul mercato del lavoro si riflettono sulle misure di disuguaglianza.
Ampi divari si osservano anche con riferimento al capitale umano e a quello infrastrutturale. Ciò contribuisce a una bassa crescita della produttività, in media già modesta per il Paese nel suo complesso.
Nel Mezzogiorno la quota di giovani che completano il ciclo di scuole superiori è più basso che nel Centro Nord. Molti giovani emigrano portando altrove il loro capitale umano. Questo è un fenomeno nazionale, ma nel Meridione è ancora più accentuato.
Il ritardo nelle dotazioni infrastrutturali riguarda aspetti quantitativi e qualitativi. Al Sud, non solo l’estensione della rete ferroviaria e autostradale è inferiore rispetto al Nord in rapporto alla popolazione, ma anche la velocità dei collegamenti è minore.
Anche nell’utilizzo delle tecnologie digitali emerge un gap significativo tra le due aree. Questo si riflette anche sulla facilità di accesso ai servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche.
Gli indicatori disponibili rilevano una qualità dei servizi pubblici in media inferiore a quella del Centro-Nord. Ciò vale per l’apprendimento scolastico, i servizi sanitari, la gestione dei rifiuti, i tempi della giustizia. Nel caso della sanità il divario dà luogo a fenomeni migratori molto pesanti per i pazienti e per i loro congiunti. Occorre precisare che ci si riferisce sempre ai valori medi, che non rendono giustizia alle eccellenze presenti in tutte le Regioni.
Questi fattori costituiscono un freno allo sviluppo delle regioni del Sud. La qualità dei servizi pubblici è cruciale sia per il benessere della popolazione sia per l’attività economica.
Le statistiche che ho appena ricordato, già citate negli interventi degli altri partecipanti a questo forum, confermano un quadro che nelle sue grandi linee è ben noto.
Quali indicazioni dobbiamo trarne per il Piano nazionale di ripresa e resilienza?
Prima considerazione. Innanzi tutto, è evidente che un Piano che deve mirare all’inclusione – come richiesto in sede comunitaria – non può non puntare a porre rimedio a questi grandi divari territoriali.
L’abbattimento dei divari territoriali deve essere uno degli obiettivi primari del Piano italiano.
Seconda considerazione. L’esperienza passata suggerisce che la disponibilità di risorse finanziarie è importante, ma suggerisce anche che l’aumento degli investimenti pubblici e privati in capitale umano, fisico e immateriale, e la valorizzazione dell’ambiente e del territorio si possono concretizzare solo se la capacità di gestire i progetti è adeguata. Questo è uno dei temi fondamentali per il successo del PNRR, in tutto il Paese.
Come sapete, dopo il primo stanziamento, il finanziamento dei progetti del Piano è subordinato al raggiungimento, in corso d’opera, dei cosiddetti obiettivi quantitativi e traguardi intermedi (target e milestone).
Le strutture amministrative coinvolte devono pertanto essere solide ed efficienti, affinché progressi tangibili e misurabili siano conseguiti nei tempi previsti.
Questo riguarda tutte le amministrazioni coinvolte: quelle nazionali e quelle regionali e locali e riguarda tutto il Paese.
È particolarmente importante, pertanto, rafforzare la capacità amministrativa di tutta la filiera di gestione e di attuazione del Piano.
Un innalzamento della capacità delle amministrazioni andrà ovviamente a vantaggio non solo della realizzazione del Piano, ma anche delle politiche pubbliche ordinarie e delle politiche di coesione europee e nazionali.
Terza considerazione, le molte sfaccettature delle difficoltà di sviluppo del Sud suggeriscono che l’approccio multidimensionale del Piano (che abbraccia tutti i settori economici – le costruzioni, l’industria, i trasporti - e agisce sulle infrastrutture fisiche, le infrastrutture immateriali, le riforme, la ricerca, l’ambiente, i vari servizi pubblici, gli asili nido e le strutture scolastiche, le politiche attive del lavoro, l’inclusione delle componenti deboli della società) è particolarmente adatto per il Mezzogiorno.
Agire solo su una o poche variabili non porterebbe lontano.
Quarta considerazione. La dimensione dei divari e la loro durata nel tempo indicano che il ritardo del Mezzogiorno non può essere riassorbito solo attraverso un Piano di sei anni per quanto ben congegnato.
Un tema di questa portata richiede una strategia complessiva di politica economica e sociale del Paese, che attivi tutti gli strumenti a disposizione, dai Fondi strutturali europei e dal Fondo di sviluppo e coesione alla legislazione ordinaria. Ricordo che i soli programmi di investimento introdotti con le ultime cinque leggi di bilancio hanno stanziato circa 200 miliardi su 15 anni. Quindi tutti questi strumenti vanno utilizzati nella direzione di recuperare il divario fra il Mezzogiorno e il resto del Paese, in un’ottica di complementarietà con il PNRR e che vada oltre l’orizzonte temporale del Piano.
In particolare, va evitato che la spesa aggiuntiva per investimenti prevista dal Piano sia compensata da una minore spesa ordinaria, come è per esempio accaduto in passato. Credo che ieri il dottor Balassone abbia mostrato dei grafici al riguardo per lo scorso decennio.
In altri termini, il Piano è un’occasione di sviluppo molto importante, ma non può bastare.
Si pensi al fatto che esso si concentra sulle spese per investimenti: il miglioramento di alcuni servizi pubblici può richiedere riforme, interventi organizzativi, misure di parte corrente. Vanno quindi ovviamente anche utilizzati gli strumenti di politica economica nazionali.
Come ha ben detto la Ministra Carfagna, i benefici per il Sud del PNRR possono essere molto grandi. Il progetto Next Generation EU, nato dall’urgenza di riparare i danni economici e sociali causati dalla pandemia, mira a creare un’Europa più verde, digitale e capace di rispondere alle sfide presenti e future.
Per l’Italia è una importante opportunità per affrontare, in modo coordinato e con rilevanti mezzi, alcuni problemi strutturali che affliggono la nostra economia da tempo e che hanno reso cronica la stagnazione di crescita e produttività. Tra questi, il divario tra Centro-Nord e Mezzogiorno.
Dobbiamo imprimere un cambio di passo nel modo e, soprattutto, nei tempi con cui impieghiamo le risorse, anche col rafforzamento delle strutture tecniche e operative deputate all’attuazione degli interventi. Se avremo successo, il Piano darà senz’altro un fondamentale contributo per lo sviluppo del Mezzogiorno. Il Governo è fortemente impegnato su questo. Abbiamo bisogno della cooperazione di tutti, Regioni, province, comuni, parti sociali e degli esperti che hanno contribuito al dibattito.