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Ministro Gualtieri: “Banca Popolare di Bari, così la finanza rilancerà il Sud”

 01/07/2020

Intervista di Leonardo Petrocelli

Ministro Roberto Gualtieri (Pd), dopo il voto dell’assemblea dei soci della Popolare di Bari, con il via libera alla trasformazione in Spa e dunque al percorso di rilancio, nasce davvero, come è stato detto, la «banca 2.0»?
«Innanzitutto voglio ribadire la mia grande soddisfazione per l’esito dell’assemblea, che ha visto una partecipazione senza precedenti e un voto praticamente unanime per sancire il successo di questa operazione che pone le basi per la ricapitalizzazione, la trasformazione e il rilancio della Banca Popolare di Bari. È una svolta radicale rispetto al passato, un nuovo inizio che si inserisce in un più ampio impegno a sostegno delle famiglie e del sistema economico del Mezzogiorno. Un rilancio reso possibile dal continuo impegno in questi mesi delle istituzioni pubbliche e dei soggetti privati coinvolti, che hanno mostrato grande professionalità e pervicacia anche nell’affrontare le difficoltà emerse con la crisi epidemiologica. In particolare, voglio sottolineare l’interlocuzione intensa ma costruttiva avuta in questi mesi tra gli uffici della Commissione europea e le strutture del Ministero, nonché il senso di responsabilità dimostrato dalle forze sociali e produttive del territorio, che hanno capito l’importanza strategica di questo progetto e risposto proattivamente».

Cambiare l’infrastruttura, passando dal voto capitario a quello ponderato, potrebbe però non essere sufficiente. Proprio la vicenda della Popolare insegna che il fatturato non è, e non può essere, l’indice principale di riferimento. Concorda con l’idea che l’accento dovrebbe essere spostato, piuttosto, sulla redditività?
«Il fondamentale contributo patrimoniale del Fondo Centrale di Garanzia e di Banca del Mezzogiorno-Mediocredito Centrale, e le decisioni assunte dall’assemblea, consentono di avviare il nuovo business plan, che delinea per il gruppo BPB un modello di banca commerciale retail a servizio delle famiglie e delle Pmi. Un modello che fa parte, come già accennato. di un più ampio progetto di sviluppo del Mezzogiorno. La redditività dell’istituto è al centro di questo disegno e potrà beneficiare dei guadagni di efficienza previsti. Saranno importanti anche le potenziali sinergie derivanti dall’integrazione della banca con MCC e la riduzione del costo del credito conseguibile anche attraverso la dismissione di circa 2 miliardi crediti deteriorati, che sono stati ceduti ad AMCO, società interamente partecipata dal MEF, portando il tasso di crediti deteriorati su un livello del tutto sostenibile (8%)».

La questione, in realtà, è generale: si deve andare avanti con la struttura della banca commerciale «classica» concentrata sulle rendite (mutui e prestiti)? O è il caso che, anche al Sud, si inizi a fare finanza e generare valore, assumendo maggiori rischi?
«Come dicevo, uno dei cardini del nuovo piano è l’introduzione di nuovi modelli di servizio delle famiglie e delle imprese, accompagnando queste ultime nel loro percorso di crescita anche per quanto concerne la loro struttura finanziaria. Ricordo spesso che banche e mercati dei capitali svolgono funzioni complementari e sinergiche. Sin dall’inizio del percorso, avviato con il decreto del 16 dicembre scorso, abbiamo sottolineato che la nostra priorità è quella di promuovere, secondo logiche, criteri e condizioni di mercato, lo sviluppo di attività finanziarie e di investimento, che siano dirette a sostegno delle imprese e dell’occupazione nel Mezzogiorno».

Quali saranno le priorità?
«Il rafforzamento patrimoniale di Banca del Mezzogiorno-Mediocredito Centrale punta proprio ad accrescere la competitività del sistema attraverso tre direttrici: il finanziamento delle piccole e medie imprese del territorio nazionale con prevalenza nel Mezzogiorno, la crescita dimensionale, l’innovazione di prodotto e l’internazionalizzazione del dinamico sistema produttivo del Mezzogiorno, più moderno e lontano da una certa narrazione caricaturale».

Servirà, per questo, anche un passo avanti ulteriore dal punto di vista della qualificazione del management?
«Al buon esito di questa operazione ha contribuito l’ottimo lavoro svolto dai commissari straordinari, Antonio Blandini ed Enrico Ajello, che hanno collaborato fattivamente e in stretto coordinamento con le strutture del Ministero dell’Economia e di Banca d’Italia. Adesso i commissari hanno il compito di condurre la banca verso la nuova assemblea, che dovrà nominare il Cda e il Collegio sindacale della banca. Siamo certi che le nuove figure apicali della banca avranno le capacità e le competenze necessarie a proseguire il percorso di rilancio della Popolare di Bari».

Allargando lo sguardo, come giudica il sistema del credito italiano? Soffriamo, come molti affermano, di una eccessiva parcellizzazione?
«Il sistema bancario italiano negli ultimi anni ha fatto passi avanti importanti. È migliorata considerevolmente la patrimonializzazione degli istituti e la qualità degli attivi, con lo stock degli Npl che si è ridotto di due terzi rispetto al picco del 2015. È importante che ci sia un rafforzamento e un processo di consolidamento del settore bancario, specie nel Mezzogiorno come posto in evidenza dalla Banca d’Italia, anche se la presenza di realtà radicate nel territorio non va vista come un elemento negativo a prescindere, anzi in alcuni casi può rilevarsi una risorsa preziosa»

Ad esempio?
Nel caso degli interventi di sostegno alla liquidità del sistema produttivo, la scelta di utilizzare il sistema bancario come “cinghia di trasmissione” del supporto statale all’economia reale si è basata anche sulla possibilità di assicurare la capillarità dell’intervento sul territorio, non solo attraverso le filiali di grandi gruppi ma anche tramite piccoli istituti che conoscono bene le caratteristiche del tessuto produttivo locale con cui operano quotidianamente. Al netto dei ritardi e dei problemi che in molti casi ci sono stati all’inizio, oggi i dati, che vedono un’erogazione costante e copiosa di credito garantito, ci dicono che è stata la scelta giusta, anche se non ci stanchiamo di invitare tutti gli istituti di credito ad adeguarsi agli standard più “virtuosi” ormai seguiti nella maggioranza dei casi».

In discussione è anche il ruolo delle banche «territoriali» che spesso, per la loro natura, hanno «incoraggiato» percorsi clientelari. Ma lei ha più volte sottolineato il circuito virtuoso tra istituti di credito e comunità locali: la Popolare di Bari dovrebbe dunque conservare quella vocazione?
«La vocazione territoriale di molti istituti di credito è una delle caratteristiche storiche della nostra economia, anche alla luce della struttura dimensionale, spesso medio-piccola, di molte imprese italiane. Questa specificità, se soggetta a logiche e modalità proprie di un passato che non deve più ripetersi, può andare incontro a degenerazioni, come abbiamo visto. Ma la sfida, ed è questo il senso delle nostre azioni rivolte anche a questo istituto, è proprio quella di preservare un connubio utile e virtuoso tra capillarità territoriale ed efficienza, in un’ottica di apertura al mercato, di accountability, di efficienza manageriale e gestionale e di massima trasparenza».

Nel percorso di risanamento predisposto dal governo, Mediocredito subentra al comando dell’istituto. Quando dovrebbe rimanervi? Lo stretto necessario, come chiedono alcuni, oppure potrebbe essere utile guardare più lontano?
« La Banca del Mezzogiorno-Mediocredito Centrale detiene ora circa il 97% del capitale della Popolare di Bari. Una presenza forte, quindi, che consente come ho già spiegato, l’ottenimento di rilevanti sinergie fra i due modelli di business. Mcc ha disegnato un piano industriale solido e concreto per il futuro della banca, che prevede il raggiungimento dell’equilibrio economico a partire dal 2023, e al momento la priorità di tutti deve essere quella di consentire l’attuazione dei progetti di sviluppo contenuti nel piano stesso».

Questo aspetto della vicenda interroga, più in generale, il rapporto tra pubblico e mondo economico-finanziario. La pandemia ha rilanciato il ruolo attivo dello Stato, sollecitato dalle numerose crisi in atto. Qual è il punto di equilibrio per un rapporto corretto tra pubblico e mondo del credito?
«In tutti i Paesi avanzati Stato e mercato convivono e coesistono, per assicurare un miglior funzionamento del mercato, per reagire in caso di crisi e di malfunzionamenti e correggerne gli squilibri, per garantire il finanziamento dei beni comuni necessari ad assicurare lo sviluppo del nostro modello sociale. La pandemia ha accresciuto lo spazio di azione e di intervento dello Stato, perché una crisi globale di tale portata non può essere superata senza interventi di protezione e di stimolo del sistema produttivo, di sostegno e difesa dei lavoratori e delle imprese».

E dunque?
«Il punto di equilibrio, quindi, è quello che ha guidato la nostra azione nella fase dell’emergenza e in quella nuova che si apre e che è orientata al rilancio dell’economia: realizzare con le forze sociali e produttive un grande patto per lo sviluppo che punti a sostenere la crescita e gli investimenti favorendo l’innovazione, la sostenibilità ambientale, la coesione sociale e quella territoriale. Evitando invasioni di campo o azioni che rischierebbero di ingessare la nostra economia, ma al tempo stesso contribuendo con le politiche pubbliche al raggiungimento di questi obiettivi che richiedono un vero e proprio salto di qualità se si vogliono affrontare grandi nodi storici che frenano lo sviluppo del paese, come la questione meridionale. Questo vale per tutto il nostro sistema-Paese, così come per il mondo del credito».

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