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“Sulle banche italiane da Ue e Germania posizioni discutibili”

La Stampa - 20/12/2015

di Alessandro Barbera

Ministro Padoan, "la Germania non è il donatore di sangue dell'Europa". Sottoscrive questa battuta del premier?
«Certamente sì. Noi stiamo riducendo il debito e dobbiamo crescere di più, e questo sarebbe un bene per tutti. Ma sarebbe altrettanto positivo che la Germania contribuisse a far crescere di più la zona euro, ad esempio con più investimenti».

A Berlino non è un bel momento per le ragioni europeiste. Il ministro delle Finanze Schaeuble è contrario alla garanzia comune sui depositi bancari. Ma forse c'entra proprio il fatto che il nostro debito, detenuto in parte dalle banche, non cala. O no?
«Questo è un altro pezzo del problema. Nella loro visione ognuno dovrebbe agire per conto suo: i depositi francesi garantiti dai francesi, i tedeschi dai tedeschi, gli italiani dagli italiani».

E perché secondo lei?
«C'è ancora scarsa fiducia reciproca, fra governi e fra popoli. Eppure se non si condividono i rischi non solo non si completa l'Unione bancaria, ma nel lungo termine non sopravvivrebbe nemmeno l'Unione monetaria».

Insomma crede esista un pregiudizio tedesco nei confronti dell'Italia. È così?
«Qualcuno si sorprende che l'Italia pretenda si ascolti il suo punto di vista. L'arroganza e la disinformazione di certi commentatori tedeschi, spesso corteggiati dalla stampa italiana, non aiuta a ristabilire un clima costruttivo».

Una delle più grandi banche europee è italo-tedesca. In nome di cosa Schaeuble oggi direbbe no ad una garanzia comune? Per certi versi è un controsenso.
«Ci sono ragioni politiche. Ognuno deve rispondere alla propria opinione pubblica. La Germania deve andare in Parlamento più spesso di noi. Per ogni aggiustamento del programma greco c'è un voto...»

Andiamo sul concreto: la banca tedesca Hsh di recente ha ottenuto il sì ad una garanzia pubblica, a noi hanno detto che salvare quattro istituti con il fondo di garanzia dei depositi – cioè fondi privati – avrebbe configurato un aiuto di Stato. Ma è anche vero che la richiesta di Hsh è precedente l'entrata in vigore delle regole dell'Unione bancaria. Davvero credete siano stati usati due pesi e due misure?
«C'è stata una diversa interpretazione delle norme. Lei cita un caso di sostegno pubblico che continua anche oggi, giustificato dal fatto che fu chiesto prima dell'entrata in vigore delle nuove regole sugli aiuti di Stato. Come va interpretato? Un cavillo? Una preferenza? Nel caso dell'Italia gli uffici hanno applicato in modo sicuramente molto puntiglioso, ma discutibile, il concetto di aiuti di Stato».

Perché non siete andati dritti per la vostra strada sfidando quel no?
«Perché non si trattava di decidere le sorti di un'impresa qualunque, ma di una banca. La Commissione avrebbe aperto una procedura di infrazione, il mercato avrebbe bloccato gli approvvigionamenti finanziari e le banche sarebbero fallite. Abbiamo usato l'unica strada possibile per salvarle evitando rischi piu grossi per il sistema e per i risparmiatori».

La rigidità di cui lei parla impedisce di trovare una soluzione per i crediti in sofferenza: pesano per 200 miliardi, un quinto di quelle in circolazione in Europa. Posto che avremmo dovuto pensarci prima che le regole cambiassero, ora come ne usciamo? La Commissione dice che lo Stato non ci può mettere un euro.
«Cerchiamo una soluzione che permetta di accelerare la nascita di un mercato di quei crediti. La riforma delle procedure fallimentari e il cambiamento delle regole fiscali sulle svalutazioni sono un passo importante e stanno producendo risultati. Adesso stiamo pensando ad un incentivo che non sia giudicato aiuto di Stato».

Il nostro sistema bancario si sta mostrando più debole di quel che ci era stato raccontato. Le banche cooperative, ad esempio: ancora troppe e troppo piccole. A quando la loro riforma?
«Stiamo lavorando ad un decreto che approveremo in uno dei primissimi consigli dei ministri del 2016. La riforma seguirà quella delle banche popolari, che sta producendo risultati importanti in termini di irrobustimento del sistema. Dopo Ubi anche i soci di Veneto Banca hanno votato per la conversione in società per azioni e mi sembra un passaggio importante».

Le indiscrezioni raccontano che per le cooperative pensate alla creazione di una holding unica, anche se la Banca d'Italia su questo avrebbe esposto i suoi dubbi. Che cosa dirà la riforma?
«Ci ispireremo al modello di altri Paesi, quello francese è uno dei tanti. L'idea di fondo è permettere a queste banche di restare forti sul territorio ma allo stesso tempo essere in grado di costruire economie di scala e di andare in Borsa. Il decreto stabilirà dei requisiti minimi di capitale: quello sarà il discrimine per capire quanti soggetti aggregatori sarà possibile avere sul mercato».

Nei giorni scorsi sia lei che il premier avete parlato di "responsabilità a tutti i livelli" sul caso delle banche. Non c'è bisogno di una riforma della vigilanza?
«Ci stiamo rapidamente muovendo verso un regime di controlli completamente europeo. Le banche più grandi sono già vigilate da squadre di ispettori di varie nazionalità. Aggiungo: dall'Europa stanno arrivando le norme Mifid 2, le quali impongono regole molto più stringenti per la tutela del risparmiatore dal rischio. Grazie a quella direttiva, le autorità nazionali potranno decidere se vietare la vendita di un certo tipo di obbligazioni come di altri titoli».

Non teme che dalle inchieste possano emergere responsabilità di pezzi della vigilanza nella gestione delle banche fallite?
«La fiducia nelle istituzioni di vigilanza rimane intatta. Mi aspetto soprattutto che emergano le responsabilità individuali delle banche, dove qualcuno non ha tenuto conto del profilo di rischio delle obbligazioni vendute. Non dimentichiamo poi che tra i responsabili di questa vicenda c'è la recessione: dieci punti di Pil persi, e nonostante questo il settore bancario è riuscito a limitare i danni».

Danni che però ci sono, mentre altrove c'è stata più determinazione nel risolvere il problema delle sofferenze. Non è così?
«Tutti oggi lodano Spagna e Irlanda, ma stiamo parlando di due sistemi bancari distrutti dalla crisi. Il primo perché troppo esposto sul settore immobiliare, il secondo verso le multinazionali. Entrambi hanno beneficiato di un cospicuo piano di aiuti europei, sottoponendosi a forti condizionalità sotto il controllo della troika».

Matteo Salvini dice: ridateci i soldi prestati alle banche spagnole. Come a dire: se le regole devono essere sempre applicate in maniera più favorevole ad altri, allora saluti e grazie.
«Se Salvini è disposto ad affrontare i costi dell'uscita dall'Europa e dall'euro, si accomodi. La battaglia da fare in Europa è un'altra: il Fondo Salva-Stati ha in pancia 55 miliardi di euro, che oggi nessuno usa. Perché non ne prendiamo un po' per finanziare il fondo europeo di garanzia dei depositi bancari?»

Il primo gennaio scattano le nuove regole europee sul bail-in, ovvero le conseguenze dei fallimenti bancari ricadranno anzitutto su chi investe e non sui correntisti. Perché nessuno ha avvertito gli obbligazionisti di Etruria che per loro quelle regole sarebbero entrate in vigore prima?
«Le regole sul coinvolgimento di azionisti e obbligazionisti sono in vigore per tutti dal 2013. Se gli investitori non sono stati avvertiti del rischio lo verificherà la magistratura. Però l'andamento operativo delle banche aveva già di fatto annullato questi investimenti prima dell'intervento di risoluzione».

Nel frattempo qualche migliaio di obbligazionisti è rimasto bruciato.
«A breve arriverà il decreto per stabilire le modalità dei ristori. Un po' di pazienza».

Affidare gli arbitrati all'Anac di Cantone non è una delegittimazione nei confronti di Consob e Banca d'Italia?
«No. Bisognava scegliere un soggetto autorevole ma anche estraneo a questa vicenda, che garantisse terzietà».

Se emergessero responsabilità gravi del padre del ministro Boschi nel caso dell'Etruria, secondo lei il ministro Boschi dovrebbe dimettersi?
«Il discorso parlamentare del ministro Boschi è stato impeccabile anche su questo punto».

Mesi fa lei disse: con tassi di interesse così bassi l'Italia ha una finestra di opportunità da sfruttare, ma non durerà a lungo. Questa settimana la Federal Reserve ha alzato i suoi. La finestra inizia a chiudersi?
«Non ancora. La politica dei tassi zero negli Stati Uniti è durata sette anni. Questo significa che non bisogna essere impazienti di vedere risultati analoghi da parte della Banca centrale europea. Ci vorrà un po' di tempo prima che produca i suoi effetti, ma la storia della Fed ci dice che arriveranno».

Prima o poi non torneranno a salire i tassi anche per noi?
«Quando succederà vorrà dire che l'Europa starà molto meglio di quanto non stia adesso».

La manovra di bilancio per il 2016 sta per diventare legge. Fra il pacchetto sicurezza voluto dal premier, modifiche alla Camera e al Senato è lievitata di oltre tre miliardi di euro. Un po' troppi, non crede?
«Ci sono alcune microspese, ma anche emendamenti che hanno arricchito la manovra, peraltro condivisi dall'opposizione come i crediti d'imposta al Sud. Per quanto riguarda il pacchetto sicurezza, lo rivendico».

Eppure c'è chi dice che il premier la faccia arrabbiare spesso. È vero?
«Beh, il dialogo con lui è sempre molto stimolante. È vero che su molti temi ci capita di partire da posizioni diverse, ma alla fine si trova un accordo sulla soluzione migliore. È normale no?»

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