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Prevenzione a misura di impresa

 05/06/2016

di Roberto Garofoli e Giovanni Melillo

La gravissima crisi economica (ma anche istituzionale ed etica) che ha attraversato il Paese nell'ultimo decennio ha posto e pone ancor più forte l'esigenza di individuare e sciogliere alcuni nodi strutturali che pesantemente ostacolano il consolidamento del percorso di crescita. Tra questi, in prima linea, la diffusività di gravi fenomeni di criminalità economico-finanziaria il contrasto dei quali è cruciale per preservare il ruolo dell'impresa come fattore fondamentale della ripresa, ma anche come perno della tenuta di un irrinunciabile principio di legalità del sistema. Un contrasto che è necessario tuttavia perseguire rafforzando non solo l'apparato repressivo, ma anche quello della intelligente ed efficace prevenzione, non senza peraltro trascurare le ragioni (sociali ed occupazionali in testa) che, a certe condizioni, suggeriscono di privilegiare le ragioni della continuità aziendale a quelle della crisi e dell'estinzione degli enti economici coinvolti nella commissione di reati. In questa prospettiva, raccogliendo le sollecitazioni diffuse nel dibattito giurisprudenziale e dottrinale, è parso opportuno porre mano ad una verifica delle istanze di aggiornamento e rafforzamento della disciplina che, proprio in un'ottica di prevenzione, è contenuta nel decreto legislativo n. 231 del 2001, in tema di responsabilità degli enti per reati commessi dai soggetti (apicali e non) operanti nell'ambito delle rispettive strutture organizzative. Del resto, dopo 15 anni dal varo di questa importante riforma, risulta largamente condivisa fra gli esperti l'esigenza di mettere a fuoco le criticità da correggere e le potenzialità applicative ancora da sviluppare: tanto con l'obiettivo di spingere più intensamente ed efficacemente lo stesso mondo imprenditoriale ad assumere un ruolo attivo nella promozione di modelli di conduzione degli affari alieni dal ricorso a pratiche illecite, minimizzando i rischi di un approccio burocratico o cosmetico delle imprese nell'elaborazione dei modelli organizzativi e, al contempo, di una esposizione delle stesse ad una valutazione giudiziale di inidoneità dei modelli forse eccessivamente influenzata dalla mera constatazione del dato obiettivo dell'avvenuta commissione di un reato. Si è scelto di farlo istituendo una Commissione interministeriale, dalla composizione agile, con l'obiettivo di porre a disposizione del dibattito pubblico e politico-parlamentare gli esiti di una necessaria ricognizione problematica, condotta tenendo conto anche dell'esperienza maturata in altri ordinamenti e delle analisi operate in numerose, autorevoli sedi internazionali (la materia, da ultimo, ha formato oggetto di attenta valutazione dell'Ocse, con precipuo riguardo alla realtà italiana). E utile una constatazione preliminare: si registra un disallineamento fra l'intensità del dibattito istituzionale e dottrinale svoltosi attorno alla disciplina contenuta nel decreto n. 231 e la non elevata frequenza della relativa applicazione giudiziale. Purtuttavia, nell'articolato dibattito che in questi anni si è svolto in sede istituzionale, dottrinale e giurisprudenziale, sono emerse alcune posizioni secondo cui, nella prospettiva del rafforzamento del sistema di prevenzione, può essere utile tra l'altro:

  • innalzare gli standard organizzativi in funzione di prevenzione, anche con l'articolazione di sistemi (interni alle imprese) di emersione degli illeciti, e attivare un processo virtuoso di collaborazione con l'autorità giudiziaria;
  • meglio calibrare le cautele di prevenzione organizzativa richieste in ragione della natura e delle dimensioni dell'impresa e dell'attività svolta;
  • garantire un ragionevole affidamento sull'idoneità del modello organizzativo adottato, senza che ciò escluda la necessaria valutazione giudiziale;
  • coordinare il sistema di prevenzione di cui al decreto n. 231/2001 con gli altri, eterogenei meccanismi di controllo societario previsti dall'ordinamento e, anche in questa prospettiva, meglio disciplinare il ruolo e le funzioni dell'organismo di vigilanza;
  • rivedere taluni degli aspetti più problematici della disciplina processuale, secondo linee di semplificazione, garanzia e trasparenza.

Su questi ed altri aspetti la Commissione si sta confrontando con l'obiettivo di prospettare al Governo, nelle prossime settimane, ipotesi di riforma praticabili.

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