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Padoan: “Una manovra per crescere con risorse limitate”

La Stampa - 30/09/2016

di Alessandro Barbera

L’ufficio del ministro del Tesoro a via XX Settembre è più grande che luminoso. Per via dell’esposizione e delle tende di broccato, alle tre del pomeriggio la lampada sulla scrivania di Quintino Sella è già accesa. Pier Carlo Padoan ha l’aria molto più rilassata di martedì notte, quando apparve rauco in sala stampa a Palazzo Chigi con Matteo Renzi. Stringe fra le mani un Blackberry che sembra di un secolo fa. «Ho notato che avete fatto caso alla mia stanchezza. A quell’ora e dopo una giornata di lavoro non le pare normale?»

Immagino di sì. Era fra l’incudine dell’Europa e il martello di Renzi. Quella sui numeri del 2017 non è una trattativa facile: avete indicato un deficit oltre l’1,8 per cento che consideravate realistico pochi mesi fa. Non è così?
«Il termine trattativa è fuori luogo, visto che con i commissari ci sentiamo sempre e c’è un dialogo continuo. Ma senza dubbio ci sono punti ancora da chiarire».

Fonti europee ci dicono che non c’è l’accordo nemmeno sull’indicazione di un deficit al 2 per cento.
«Noi lo riteniamo sufficiente a considerare l’Italia in una situazione conforme alle regole».

Poi chiedete circa sette miliardi per gestire l’emergenza migranti e il sisma. La Commissione considera quelle cifre gonfiate.
«Secondo noi quello scostamento è del tutto giustificato. Con la Commissione partiamo da punti di vista diversi in grande trasparenza».

Non ha la sensazione che da parte della Commissione ci sia stato un irrigidimento verso di noi?
«In molti Paesi ci si avvicina ad un anno elettorale, e dunque diventa difficile fare grandi progetti. Più che aggrappati a criteri burocratici, le posizioni dei commissari dipendono anche dal proprio orientamento politico: socialisti da una parte, popolari dall’altra. Le difficoltà dell’Europa a crescere fanno il resto. Le racconto un aneddoto: al vertice dei ministri finanziari di Bratislava, quando abbiamo iniziato a discutere di come far procedere l’integrazione e le politiche di bilancio, ognuno diceva una cosa diversa».

Quanto pesa la Brexit nelle difficoltà della Commissione? O meglio la non Brexit, il ritardo del governo inglese nel presentare domanda di uscita dall’Ue?
«Parecchio. Perché l’incertezza non consiste nell’avere chiaro il se, ma il come e il quando. E la responsabilità non è solo di Downing Street. Temo uno stallo di un anno, in attesa delle elezioni tedesche e francesi».

I no euro dicono: la Brexit è stata meno pesante del previsto.
«Se finora l’impatto del referendum inglese è stato contenuto lo dobbiamo soprattutto alla risposta magistrale del governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney. I danni si vedranno con il tempo».

Ipotizziamo che la Commissione nelle prossime settimane bocci la richiesta di flessibilità aggiuntiva. Che farete?
«E’ un’ipotesi che non prendiamo in considerazione perché adotteremo un saldo di bilancio coerente con le regole e gli accordi europei».

Il giudizio della Commissione dipenderà dalla qualità della manovra che presenterete il 15 ottobre, è così?
«Penso di sì, perché le risorse saranno limitate. Il grosso lo useremo per evitare l’aumento di Iva e accise, e vorrei sottolineare che cancellare aumenti fiscali per 15 miliardi ha di per sé un impatto positivo. Ci saranno misure a sostegno della crescita, e in particolare per gli investimenti. Ci sarà il taglio Ires, già finanziato l’anno scorso e l’introduzione dell’Iri per gli artigiani. E poi misure di carattere sociale».

L’ammontare è confermato attorno ai 25 miliardi?
«Uno dei problemi del mestiere di ministro del Tesoro è che non si possono citare cifre prima che siano certe. Per cui mi astengo».

Per definire la manovra siete partiti da pensionati e pensionandi. Non esattamente una priorità dell’agenda della crescita.
«L’accordo tra governo e sindacati non esaurisce la manovra. Anzi: la parte più corposa è concentrata sul sostegno alla crescita. E in ogni caso gli interventi sulle pensioni saranno compatibili con la sostenibilità del sistema: un valore da salvaguardare».

Nella legge di bilancio ci saranno anche le coperture per il taglio dell’Irpef nel 2018?
«E’ nel nostro cronoprogramma. Valuteremo se ci sono le condizioni per programmarlo già con questa legge di bilancio».

Abbiamo raccontato di tensioni con il premier in questi giorni: lei più cauto, il premier più deciso a forzare le resistenze dell’Europa.
«Fra me e il presidente l’impostazione strategica della manovra è stata definita molti mesi fa e non è mai stata in discussione. Certo scrivere una legge di bilancio non è un lavoro semplice, perché occorre tenere conto di molti aspetti e vincoli diversi fra loro: politici, giuridici, economici. Nel dibattito è normale che ognuno esprima le proprie opinioni, o che possano emergere incomprensioni».

È preoccupato per l’eventuale esito negativo del referendum costituzionale? Teme conseguenze sui mercati?
«So che sui mercati internazionali si è creata un’aspettativa da fine mondo, e questo ovviamente è un problema. Ma si diceva la stessa cosa all’alba della Brexit, e invece i mercati hanno riassorbito lo choc rapidamente. La cosa che mi preoccupa di più è un altra: il processo di riforme innescato da questo governo si interromperebbe per chissà quanto. Se c’è una cosa che rivendico di questi due anni e mezzo di governo, è il suo segno riformista. L’Italia perderebbe un treno che potrebbe non ripassare».

Ci dica in una battuta perché votare sì.
«Perché sarebbe un enorme passo avanti per il Paese, perché migliorerebbe il funzionamento delle istituzioni, il processo legislativo e i rapporti fra Stato e Regioni».

Ipotesi: il giorno dopo un eventuale vittoria del no al referendum il presidente del Consiglio rassegna le dimissioni. Negli ambienti economico-finanziari c’è chi scommette che il successore sarebbe lei. Cosa risponde?
«Le “preferenze” non mi interessano, non sono un politico. Non sussiste neanche come ipotesi».

Il piano di salvataggio privato del Monte dei Paschi di Jp Morgan e Mediobanca non decolla. È ancora convinto che funzionerà?
«Non commento le voci. Ho assoluta fiducia che il piano sia ben disegnato e avrà successo».

E se non dovesse funzionare? Ci sarà un intervento pubblico?
«Ho assoluta fiducia che funzionerà».

Parliamo allora di Deutsche Bank, una delle più grandi banche europee e del mondo che rischia il collasso. Se il governo tedesco fosse costretto a intervenire quale sarebbe la posizione dell’Italia?
«Qualsiasi piano pubblico o di mercato dovrebbe essere costruito all’interno delle regole dell’Unione bancaria. Questa vicenda ci ricorda che bisogna ancora fare molti sforzi per migliorare il grado di tenuta dei sistemi bancari. Conviene a tutti trovare soluzioni, da gestire con la dovuta cautela».

Che intende dire?
«Che così come i problemi delle sofferenze vanno risolti in tempi ragionevoli, così deve essere per quelli di Deutsche Bank».

Se ci fosse un intervento pubblico di Berlino bisognerebbe applicare le regole del bail-in? Per intenderci, crede che azionisti e obbligazionisti dovrebbero pagare un onere?
«Bisognerà vedere le norme alla prova del caso specifico. Problemi ne abbiamo tutti, non servono soluzioni punitive, semmai soluzioni comuni. Spesso ce lo dimentichiamo, ma la stabilità finanziaria serve ai cittadini prima che ai banchieri».

Se fosse stato ministro quando in Europa è stata discussa la normativa sul bail-in avrebbe avuto obiezioni?
«Con il senno di poi posso dire che sarebbe stata opportuna una entrata a regime graduale delle nuove regole. Il legislatore europeo sembra aver dimenticato la dimensione sistemica del credito: se una banca ha un problema, rischiano anche le altre».

Il quadro regolatorio europeo sulle banche non la convince?
«Osservo che è importantissimo sorvegliare sui bilanci di ciascuna banca e sanzionare quando necessario, ma è anche importante avere contezza del quadro complessivo. Il più grande passo avanti nella storia delle banche centrali è stata l’introduzione del cosiddetto credito di ultima istanza. Mi pare che recentemente abbiamo fatto qualche passo indietro».

A proposito: oggi scade il termine per la vendita di Banca Etruria e delle altre tre banche poste in risoluzione lo scorso novembre, ma un compratore ancora non c’è. Che accadrà?
«Il termine verrà prorogato e ci sarà un margine di tempo sufficiente a completare il processo di vendita».