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Intervista al ministro Padoan del quotidiano “la Repubblica”

 22/05/2015

di Fabio Bogo e Federico Fubini

Che voto darebbe Pier Carlo Padoan, economista dell'Ocse, al Pier Carlo Padoan ministro italiano dell'Economia? II titolare del dicastero di via XX Settembre ci pensa, ma devia la palla in angolo: «Sono un professore — dice — i voti sono solito darli agli altri. Preferisco non darne a me stesso».

Ministro, eppure tra sentenze della Corte costituzionale sulle pensioni, processo di privatizzazioni, spending review, derivati e trattative sulla crisi greca di materia d'esame ce ne sarebbe molta. A partire appunto dal buco aperto dalla sentenza della corte costituzionale sulle pensioni: 19 miliardi e il tesoretto che svanisce...
«Bene, cominciamo da quelle. Abbiamo provveduto a tamponare la falla, e gli arretrati da corrispondere ci costano 2,2 miliardi. Poi gradualmente a regime l'intervento sui trattamenti di medio livello ci costerà 500 milioni l'anno, a partire dal 2016. Ma questa vicenda ha un aspetto che mi lascia perplesso e di cui, per così dire, prendo atto».

Quale?
«Che la Corte Costituzionale sostiene di non dover fare valutazioni economiche sulle conseguenze dei suoi provvedimenti e che non c'era una stima dell'impatto, che non era chiaro il costo. Ora, non so chi avrebbe dovuto quantificarlo, ma rilevo che in un dialogo di cooperazione tra organi dello stato indipendenti, come governo, Corte, ministri e Avvocatura sarebbe stata opportuna la massima condivisione dell'informazione. Tutti lavoriamo per il bene dello Stato. Non dico ovviamente che bisogna interagire nella fase di formulazione della sentenza, perché l'autonomia della Corte è intoccabile, ma se ci sono sentenze che hanno un'implicazione di finanza pubblica, deve esserci una valutazione dell'impatto. Anche perché questa valutazione serve a formare il giudizio sui principi dell'equità. L'equità è anche quella del rapporto tra anziani e giovani. Questo è mancato e auspico che in futuro l'interazione sia più fruttuosa».

Un buco coperto sulle pensioni, un assegno non ancora incassato sulle privatizzazioni programmate. Commissione Ue e Fmi ci criticano. Perché questo ritardo?
«Vorrei intanto fare presente che Commissione e Fmi per la prima volta dopo molti anni sono concordi nel promuovere le misure di risanamento e le riforme del governo italiano. Sulle privatizzazioni c'è un ritardo, se lo calcoliamo sui ricavi che pensavamo di ottenere. Ma io lo vedo più come uno spostamento in avanti del calendario. Abbiamo in cantiere le Poste, che hanno avuto bisogno di un periodo di riqualificazione strategica. Stiamo lanciando l'Enav. Stiamo accelerando sul settore immobiliare, che deve essere valorizzato prima di finire sul mercato. E poi ci sono le Ferrovie, che sono la macchina più complessa, più complessa di Poste. II nostro obiettivo è comunque chiudere per il 2016».

Poi ci sarebbero anche i tagli di spesa, la spending review.
«L'obiettivo resta quello del Def, 10 miliardi di risparmi. Ci sono una quindicina di capitoli, ma è presto per parlarne. Abbiamo fatto spesso riunioni con Yoram Gutgeld, queste sono le cifre attese».

Un programma che è stato fatto al netto delle incognite che possono abbattersi sui mercati. E quella che viene evocata più di frequente è l'uscita della Grecia dall'euro. Anche ieri scintille tra Atene e Berlino. La ritiene possibile o probabile? Si parla anche di un referendum in Grecia.
«Partiamo dai fatti. Io credo che il problema del debito greco sia eccessivamente drammatizzato in modo strumentale da tutti, compreso l'Fmi che su questo ha una visione diversa da quella della Commissione. II debito non è il vero problema, è sostenibile con una crescita ragionevole e conti in ordine. I tempi per un accordo sono comunque oggettivamente stretti, credo sia il momento che il governo greco metta sul tavolo proposte credibili e azioni concrete su pensioni, mercato del lavoro e sistema fiscale. Sul referendum non mi pronuncio, noto però che dai sondaggi risulta che la maggior parte dei greci a è favore di una permanenza di Atene nell'Eurozona».

In caso di uscita aveva detto di non essere preoccupato di un eventuale contagio per l'Italia. La pensa ancora cosi?
«Il contagio di breve termine non mi preoccupa perché ci sono gli interventi in corso della Bce, ed il Quantitative Easing è uno scudo che funziona. Inoltre la situazione italiana è molto più solida rispetto a due o tre anni fa».

Tutto a posto dunque?
«Il vero problema è nel medio periodo. Se ci fosse una Grexit, se Atene abbandonasse l'euro, l'Unione monetaria diventerebbe un animale diverso. Un insieme da cui si può uscire, non sarebbe più irreversibile. E questo, sempre nel medio periodo aggiunge una possibilità a quelle che esistono attualmente».

Questo impatterebbe sui titoli di Stato italiani?
«Questo cambierebbe i prezzi, laddove ci fossero tensioni. Se entriamo in un contesto nel quale c'è una possibilità in più, quella dell'uscita dall'euro, il sistema diventa in generale più fragile meno capace di assorbire gli shock».

Intanto si discute a Bruxelles sulle banche italiane e sugli aiuti di Stato per la bad bank che dovrebbe alleggerire gli istituti dai crediti inesigibili. Ma in Europa siamo guardati con sospetto: timore di aiuti di Stato. Eppure la Germania ha 250 miliardi di euro di garanzie su propri istituti di credito.
«Alcuni Paesi hanno preso misure di sostegno alle banche prima che la normativa europea cambiasse e hanno così evitato le contestazioni di usare aiuti di Stato. Questo governo è entrato in carica a cose già fatte, quando le regole erano cambiate. Le porte si erano già chiuse».

E allora come ne usciamo?
«Lo sforzo che stiamo facendo è di costruire da un lato a livello tecnico misure compatibili con le norme europee. Dall'altro, a livello politico, c'è uno sforzo per sottolineare che in questa fase di uscita dalla recessione servono misure per aiutare il sistema finanziario a risanarsi. Non è solo una questione di concorrenza, ma anche di stabilità economica che oltre a Margarethe Vestager coinvolge il commissario Hill e il vicepresidente Dombrovskis».

Il governo è disposto a subire contraccolpi sul debito pur di aiutare le banche a svalutare più in fretta le perdite sui crediti?
«Se si alleggerisce il carico fiscale sulle banche questo migliora i loro bilanci e, si spera, le spinge a fare più credito. Ma bisogna trovare un equilibrio tra questo tipo di incentivo e l'impatto sul bilancio».

Una delle banche più discusse è il Monte dei Paschi. Non teme che posse diventare preda straniera?
«Stiamo seguendo con attenzione quello che fa il Monte così come le altre banche. Se ci sono aggregazioni che producono soggetti bancari più grossi riducendone il numero è un fatto positivo, ed è una delle cose che la legge sulle Popolari cerca di incoraggiare. Si tratta di operazioni di mercato, noi le osserviamo».

State pensando di portare la responsabilità sull'Agenzia delle entrate dal ministero dell'Economia a Palazzo Chigi?
«L'Agenzia delle entrate è un organismo complesso e svolge molte funzioni. Prima di capire chi deve vigilare, bisogna capire come deve cambiare e quali sono le sue funzioni con l'entrata in vigore della riforma fiscale. Bisogna chiedersi qual è la sua forma ottimale e come deve essere strutturata la sua dirigenza. Materie di riflessione. Al tempo stesso stiamo affrontando il problema dei dirigenti demansionati, con un decreto che sarà pronto a breve e che stiamo studiando con attenzione. Perché anche in questo caso si tratta degli effetti di una sentenza della Corte Costituzionale...»

State pensando di portare la responsabilità sull'Agenzia delle entrate dal ministero dell'Economia a Palazzo Chigi?
«L'Agenzia delle entrate è un organismo complesso e svolge molte funzioni. Prima di capire chi deve vigilare, bisogna capire come deve cambiare e quali sono le sue funzioni con l'entrata in vigore della riforma fiscale. Bisogna chiedersi qual è la sua forma ottimale e come deve essere strutturata la sua dirigenza. Materie di riflessione. Al tempo stesso stiamo affrontando il problema dei dirigenti demansionati, con un decreto che sarà pronto a breve e che stiamo studiando con attenzione. Perché anche in questo caso si tratta degli effetti di una sentenza della Corte Costituzionale...»

Siete intervenuti sull'Ilva, Cdp è entrata nel settore alberghiero, il governo spinge per la banda larga e promette oltre 6 miliardi di investimenti. Ma se i cinesi comprano Pirelli restate alla finestra, perché è un problema di mercato. Siete liberisti o interventisti?
«Questa è la fase in cui dobbiamo riparare i danni della grande recessione, dieci punti di Pil persi dall'Italia. Per questo serve una combinazione di strategie. Riforme per dare più concorrenza e più mercato. Una forte politica di bilancio. Ma c'è anche un forte bisogno di investimenti, e non è detto che questi possano venire solo dal settore privato. Noi siamo pronti a fare la nostra parte».