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Stabilità dei prezzi ed equilibrio dei conti pubblici quale condizione per uno sviluppo duraturo

06/02/1998

FRANCOFORTE

6 FEBBRAIO 1998

"STABILITÀ DEI PREZZI ED EQUILIBRIO DEI CONTI PUBBLICI QUALE CONDIZIONE PER UNO SVILUPPO DURATURO"

Il risanamento dell'economia italiana si iscrive in un percorso di rinnovamento civile che ha investito le istituzioni, le forze economiche, la società tutta. Per la parte economica ha avuto il punto di svolta nel 1992, allorché il Paese, superando momenti anche drammatici, scelse la strada del riequilibrio dell'economia, della disinflazione, di una revisione rigorosa della spesa pubblica.

Fu nell'autunno del 1992 che, in un delicato passaggio dell'itinerario europeo, si manifestarono appieno, nella realtà italiana, le contraddizioni nella politica economica, dichiaratamente a favore degli obbiettivi europei ma incapace di adeguarvi appieno i propri comportamenti, e l'attrito che ne conseguiva con la politica della Banca d'Italia che operava per il rispetto dei fini di stabilità monetaria.

La svolta a favore della coerenza fu resa possibile perché stava maturando in seno alla società un consenso civile che si riconosceva nell'integrazione europea e ravvisava in essa una coincidenza piena con l'interesse nazionale.

Negli anni successivi, alimentato dagli stessi risultati a mano a mano conseguiti, quel consenso si è andato consolidando nelle istituzioni, negli individui. Esso è la vera garanzia della prosecuzione nel futuro della scelta fatta.

La situazione dell'autunno del 1992 è stata ribaltata. Allora l'economia italiana manifestava due squilibri cruciali.

Il primo riguardava le relazioni macroeconomiche fra domanda e offerta. L'Italia consumava più di quanto produceva, con la conseguenza di creare un disavanzo nella bilancia dei pagamenti e di accumulare un debito con l'estero. La domanda globale era accresciuta anche dal disavanzo pubblico, alimentato sia da una spesa corrente incapace di resistere alle pressioni sociali e politiche sia da una spesa per interessi che risentiva, oltre che dell'inflazione, del venir meno del merito di credito della Repubblica italiana.

All'interno, ed è il secondo squilibrio, la pressione dei costi contribuiva a mantenere il tasso di inflazione al di sopra di quello comunitario.

Oggi gli equilibri fondamentali sono stati solidamente ristabiliti.

Oggi le tre componenti della politica economica: politica di bilancio, politica dei redditi, politica monetaria operano, nel rispetto delle funzioni e della autonomia delle diverse istituzioni, in modo convergente, avendo come obbiettivo la stabilità, considerata condizione essenziale per una crescita duratura.

Vorrei, in questa mia esposizione, darvene evidenza.

1. Le statistiche confermano che l'inflazione, male che per venti anni ha afflitto l'economia italiana, è stata vinta. L'aumento dei prezzi al consumo nel 1997, come dato medio annuo e come variazione nel corso dei dodici mesi dell'anno, è stato rispettivamente dell'1,7 per cento e dell'1,5 per cento; cioè quasi un punto percentuale in meno rispetto all'obbiettivo - il 2,5 per cento - che il Governo si era posto. Il nuovo anno, il 1998, è iniziato con un dato per i prezzi al consumo che conferma, in gennaio, la variazione dell'1,5 per cento negli ultimi dodici mesi (grafico n. 1).

Non si tratta di un risultato episodico, casuale; bensì l'effetto di un'azione su più fronti, in atto da anni. L'effetto di un mutamento sostanziale nel comportamento di tutti gli operatori: famiglie, imprese, organizzazioni sindacali, pubblica Amministrazione.

L'asse portante di tutte le manovre di riequilibrio economico stava nell'abbattere durevolmente l'inflazione. L'inflazione in Italia aveva le sue radici soprattutto nella intensità della contesa sociale e nelle tensioni fra domanda e offerta.

La cultura della stabilità si è ora affermata nel nostro Paese. Il passaggio chiave è stato l'accordo fra le parti sociali e il Governo del luglio del 1993: in quell'occasione la politica dei redditi, abbozzata un anno prima, ha trovato enunciazione chiara e organica: è divenuta un modo d'essere. Da allora quell'accordo-quadro ha operato e sta operando come àncora della stabilità.

In applicazione di quell'accordo, è stata adottata con successo nel settore pubblico e in quello privato una politica salariale "d'anticipo": le stesse richieste salariali vengono calibrate sul tasso di inflazione programmato.

Sulla base di quell'accordo è stato più facile riacquisire il controllo della spesa pubblica, in parte non piccola influenzata dall'inflazione da costi.

Trovando sponda in quell'accordo, e nel risanamento dei conti pubblici, il rigoroso controllo della moneta da parte della Banca d'Italia ha potuto esprimere efficacia piena.

La validità di questa impostazione ai fini della stabilità ha evidenza empirica nelle vicende di questi ultimi cinque anni: anche le pressioni sui prezzi causate da shocks esterni sono state assorbite.

2. La Lira è rientrata nell'accordo di cambio dello SME nel novembre 1996. Vi è rientrata avendo dimostrato di aver potuto superare le turbolenze valutarie del marzo del 1995, di aver saputo mantenersi dalla primavera del 1996 entro la banda stretta senza difficoltà.

Dal rientro nell'accordo di cambio, la Lira si è mantenuta oltremodo stabile: le oscillazioni intorno alla parità sono state contenute, non hanno mai raggiunto i limiti della banda stretta (grafico n. 2).

Alla base della stabilità della Lira sta in primo luogo l'abbattimento dell'inflazione, di cui già ho detto.

Vi è altresì il solido presidio di una bilancia di pagamenti correnti con l'estero che ha registrato crescenti, cospicui avanzi, dall'1,1 per cento del PIL nel 1993 a oltre il 3 per cento nel 1996 e nel 1997 (grafico n. 3).

La solidità della bilancia dei pagamenti correnti deriva non solo dalla capacità competitiva dell'economia italiana, che si traduce in un avanzo commerciale, ma anche dal venir meno dei punti di debolezza che l'Italia aveva in passato negli scambi di servizi, in particolare nelle partite che riflettono i rendimenti delle attività finanziarie italiane rispetto a quelle degli altri paesi.

Gran parte dell'avanzo corrente della bilancia dei pagamenti italiana si riferisce a rapporti con paesi non appartenenti all'Unione europea: ciò fa sì che - se si costruisce la bilancia dei pagamenti con l'estero dell'Unione europea in base alle statistiche Eurostat - l'Italia risulta concorrere per quasi un terzo all'avanzo commerciale e per oltre il 40 per cento a quello delle partite correnti dell'intera Unione, in misura cioè superiore a ogni altro dei paesi comunitari.

Nel 1992 - l'anno del Trattato di Maastricht - l'economia italiana soffriva di un importante debito netto con l'estero pari all'11 per cento del PIL (grafico n. 3). Tale squilibrio interagiva negativamente con il disavanzo nei conti pubblici.

Dal 1993 l'accumularsi per cinque anni degli avanzi di parte corrente della bilancia dei pagamenti ha permesso di ridurre la posizione netta dell'Italia verso l'estero, fino ad azzerarla nel 1997. Dal 1998 la posizione netta del Paese diventerà attiva.

Il riequilibrio dei conti con l'estero, la stabilità della lira sono effetti del risanamento complessivo dell'economia, pubblica e privata.

3. Il calo dell'inflazione e la decisa azione di riequilibrio dei conti pubblici hanno prodotto sui mercati un progressivo ricupero del merito di credito della Repubblica italiana. La quotazione dei titoli pubblici sui mercati è stata il termometro quotidiano di questa riconquista.

Il collocamento alle aste di titoli di Stato è avvenuto a tassi di interesse decrescenti. Negli ultimi ventiquattro mesi il loro livello si è dimezzato. All'asta di inizio gennaio 1996 i Buoni del Tesoro a 10 anni vennero emessi al tasso del 10,82 per cento al lordo della ritenuta d'acconto; all'ultima asta sono stati emessi al tasso del 5,45 lordo (grafico n. 4).

La riduzione dei tassi di interesse è fatto peculiare della nostra economia: in Germania, nei due anni considerati, i tassi a medio termine sono rimasti sostanzialmente invariati.

Si è ridotto, fin quasi ad annullarsi, a 30 punti base, cioè trenta centesimi di punto percentuale, il differenziale dei tassi a carico dei titoli italiani a lungo termine. Due anni fa esso era anormalmente elevato, oltre 380 punti base; esprimeva la diffidenza che allora i mercati nutrivano verso l'economia italiana (grafico n. 4).

La politica economica adottata ha generato fiducia. E produrre fiducia significa migliaia di miliardi in meno di spesa pubblica improduttiva per il servizio del debito, migliaia di miliardi di minori oneri debitori per le imprese, migliaia di miliardi in meno di rendita finanziaria.

Nel volgere degli ultimi diciotto mesi il risultato desiderato, quello di eliminare l'anomalo onere finanziario, è stato raggiunto per via di mercato.

Ai livelli attuali dei tassi d'interesse nominali e dato l'andamento dei prezzi in atto e atteso, i titoli pubblici italiani rendono un interesse reale più o meno pari al tasso di crescita potenziale della nostra economia: sono quindi tuttora appetibili, anche se per il risparmiatore italiano si fanno più attraenti le opzioni dei titoli di altri Paesi.

4. L'anno 1997 si è concluso con un ridimensionamento del disavanzo dei conti pubblici di rilevante entità. Non si dispone ancora dei dati validi per il parametro di Maastricht, che fa riferimento al rapporto fra l'indebitamento complessivo della P.A. e il prodotto interno lordo. Ambedue gli aggregati saranno noti solo alla fine del mese di febbraio.

Al momento si dispone del dato del fabbisogno dello Stato. Nel volgere di un anno questo si è più che dimezzato: da 128.850 miliardi nel 1996 a 52.500 nel 1997.

Il risultato rispecchia l'opera di ricupero del controllo dei conti pubblici: questa opera è stata facilitata dalla messa in moto del circolo virtuoso fra risanamento e riduzione dei tassi d'interesse. La spesa dello Stato per interessi si è ridotta da 202 mila miliardi nel 1996 a 186 mila nel 1997.

L'entità del fabbisogno dello Stato è stata nel 1997 inferiore alla spesa per gli investimenti statali. Ciò significa che, per la prima volta da molti anni, è stato annullato il disavanzo corrente: la differenza fra il totale delle entrate complessive dello Stato e il totale delle spese correnti è divenuta positiva. Nel 1997 lo Stato si è indebitato solo per finanziare gli investimenti, in parte coperti con entrate di bilancio.

Il miglioramento dei nostri conti pubblici è di evidenza inconfutabile.

Si avanzano, da parte di alcuni, dubbi sulla "sostenibilità" nel tempo. Si argomenta in primo luogo che una parte della manovra correttiva del 1997 è stata realizzata con interventi "una tantum". E' questa una indubbia verità: la nota aggiuntiva al bilancio 1997 dette chiara notizia degli interventi di natura temporanea volti a raggiungere già nel 1997 le condizioni per la partecipazione all'euro. Con la Legge finanziaria per il 1998 sono state approvate misure che hanno sostituito con interventi definitivi l'effetto delle "una tantum" del 1997. Di ciò ha dato atto il Consiglio europeo dei Ministri finanziari nella sua riunione del 19 gennaio u.s., approvando la nota della Commissione sulla situazione economica dell'Italia.

La consistenza dello sforzo compiuto per il risanamento dei nostri conti pubblici è indicata dall'entità dell'avanzo primario, cioè dal saldo fra le entrate totali e le spese al netto degli interessi (grafico n. 5). Si valuta che per il 1997 l'avanzo primario si aggiri sul 6,5 per cento del prodotto interno lordo. Secondo questa prima valutazione, rispetto al 1996, l'avanzo primario sarebbe aumentato nel 1997 di circa 2,5 punti percentuali; al tempo stesso il disavanzo per interessi sarebbe diminuito di 1,2-1,5 punti percentuali. La combinazione delle due variazioni di segno opposto produce il complessivo miglioramento del fabbisogno dello Stato, dell'ordine di 4 punti percentuali.

Negli anni prossimi, per continuare a rispettare gli impegni di Maastricht, sarà necessario - ed è impegno del Governo italiano - continuare a mantenere un elevato avanzo primario. Dato il beneficio ulteriore che deriverà dalla graduale diffusione del calo dei tassi di interesse all'intero stock del debito pubblico, il rapporto tra il disavanzo complessivo e il prodotto interno lordo scenderà già dal 1998 sotto il 3 per cento.

5. La capacità di mantenere nel più lungo periodo consistenti avanzi primari nei conti pubblici sarà favorita dall'attuazione delle riforme strutturali.

Da tempo si andava ripetendo che l'Italia, per consolidare il miglioramento conseguito nelle proprie condizioni economiche, avrebbe dovuto fare le riforme. Ebbene Governo e Parlamento italiano vi hanno provveduto, approvando negli ultimi tempi una serie di importanti riforme.

Si tratta della riforma fiscale, di quella del bilancio dello Stato, della riforma della pubblica Amministrazione, della riforma della previdenza realizzata a più riprese (nel 1992, nel 1995 e infine corretta nella Legge finanziaria per il 1998). Si è aggiunta, il 16 gennaio scorso, con una prima approvazione del Consiglio dei Ministri, la riforma del commercio.

La riforma fiscale approvata dal Parlamento italiano alla fine del 1996, e realizzata con una serie di decreti attuativi nel corso del 1997, introduce un radicale mutamento nei rapporti tra amministrazioni locali e centrali, tra fisco e cittadini, tra amministrazioni ed imprese. Viene attuata una rilevante opera di semplificazione, sostituendo numerose imposte con un'imposta unica; viene ridistribuito il peso fiscale, eliminando distorsioni tradizionali del sistema tributario italiano; viene dato un forte impulso sia al rafforzamento delle imprese, favorendo il ricorso al capitale di rischio rispetto all'indebitamento, sia all'irrobustimento dei mercati finanziari. Se ne attendono effetti positivi anche di riduzione dell'evasione fiscale.

Lo spirito di apertura, di modernizzazione, di liberalizzazione della riforma fiscale è lo stesso che è alla base della riforma del settore del commercio. Si tratta di una deregolamentazione a tutto campo, attraverso l'eliminazione delle licenze e delle segmentazioni merceologiche, la liberalizzazione degli orari di apertura. Se ne attendono effetti benefici per i consumatori e per la stabilità dei prezzi, attraverso una maggiore concorrenza.

La riforma del commercio fa seguito al vasto programma di interventi strutturali di deregolamentazione e di revisione del settore della pubblica Amministrazione. Il Parlamento ha affidato al Governo un ampio dispositivo di deleghe per ristrutturare la macchina dello Stato, per accrescerne l'efficienza sia rivedendo il funzionamento dell'Amministrazione centrale, sia decentrando molte funzioni alle Regioni e agli enti locali. L'attuazione è in corso.

La riforma del bilancio dello Stato ha portato con sé un forte impulso di semplificazione, di trasparenza, e un principio di responsabilità diretta sulle varie componenti del "bilancio" da parte dei dirigenti.

Per quanto riguarda la previdenza, gli interventi del 1992, quelli del 1995 e infine le correzioni attuate nel dicembre scorso con la Legge finanziaria per il 1998 hanno piegato la dinamica della spesa prevista a una tendenza compatibile con l'andamento potenziale del reddito, come emerge dal grafico n. 6.

Il Governo è peraltro consapevole che le problematiche connesse con i fattori, in particolare quello demografico, che influiscono sulla spesa previdenziale impongono ora e in futuro un'attenta osservazione dell'andamento di questo settore di spesa al fine di assicurarne una compatibilità nel tempo con le variabili macroeconomiche fondamentali dell'economia.

6. I conti pubblici registrano, oltre che il disavanzo annuo, il debito che i "disavanzi", cumulandosi, hanno generato. E' un grosso onere che pesa e continuerà a pesare su di noi, nei prossimi anni.

Quel peso, pur attenuato dal calo dei tassi d'interesse, deve essere ridotto il più rapidamente possibile in termini relativi, cioè nel suo rapporto con il prodotto interno lordo.

Dal 1995 quel rapporto è in diminuzione: vi contribuiscono, insieme con il calo del disavanzo, i proventi delle privatizzazioni. La alienazione delle imprese pubbliche ha un solo limite: quello di impedire che a monopoli pubblici possano sostituirsi monopoli privati. Al tempo stesso è intendimento del Governo di procedere alle cessioni dei beni demaniali non più rispondenti a necessità funzionali.

Nel 1997 i proventi da privatizzazioni di società di proprietà dello Stato e dell'IRI sono stati di circa 40 mila miliardi di lire.

L'obbiettivo intermedio di contenimento del debito pubblico, che ci proponiamo di raggiungere nel volgere di 6 anni, è di discendere sotto quota 100. Si tratta di un obbiettivo che si inquadra in uno scenario macroeconomico e finanziario del tutto realistico. Sotto quota 100 si farà più agevole la discesa per il combinato effetto del contenimento del numeratore, il debito, e dell'aumento del denominatore, il PIL.

E' da ricordare, peraltro, che:

  • a fronte di un elevato debito pubblico l'Italia ha un tasso molto elevato di risparmio privato, il più elevato in Europa. Le occorrenze finanziarie per la copertura del debito trovano soddisfacimento sufficiente all'interno del Paese. Ne sono conferma i ripetuti avanzi delle partite correnti della bilancia dei pagamenti con l'estero: essi significano che l'Italia esporta, non importa, risparmio;
  • la composizione del debito ha registrato nel quinquennio 1993-97 un progressivo miglioramento con l'aumento della quota dei titoli a medio e lungo termine a tasso fisso. La durata media del debito pubblico italiano è prossima ai 5 anni.

7. A mano a mano che divengono noti, i risultati del 1997 confermano la positiva evoluzione dell'economia italiana. L'attività produttiva è in espansione.

Il tasso di aumento del prodotto interno lordo risulterà quasi certamente superiore, nel dato definitivo per il 1997, a quell'1,2 per cento che il Governo si era posto come obbiettivo.

Dopo un primo semestre, caratterizzato dal prolungarsi della situazione di ristagno del 1996, l'economia italiana ha decisamente ripreso la strada della crescita. Per il 1998 la previsione di aumento del PIL, il 2 per cento, sulla quale sono state costruite le previsioni per il bilancio dello Stato, è generalmente ritenuta prudenziale.

In questa congiunzione di riequilibrio dei conti pubblici, di stabilità dei prezzi, di avanzo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti, e di ripresa economica sta l'eccezionalità del successo dell'economia italiana nel 1997. I timori di una recessione provocata dal risoluto taglio del disavanzo pubblico, e quindi della domanda, sono stati fugati.

Ritengo - ma starà agli economisti confermarlo o meno - che la spiegazione stia in primo luogo nell'attivazione di quello che sono solito chiamare il secondo circolo virtuoso.

Il primo, come si è visto, ha operato all'interno del settore pubblico: fra aumento dell'avanzo primario e riduzione del disavanzo per gli oneri sugli interessi sul debito. Accanto ad esso ne ha operato un secondo, all'interno dell'economia produttiva, pur esso incentrato sul calo dei tassi d'interesse. La riduzione del costo del debito ha migliorato i conti economici delle imprese, compensando almeno in parte gli effetti di freno della minore domanda pubblica. Si è aggiunta la maggiore disponibilità di risorse finanziarie a disposizione dell'economia produttiva, a seguito del minor assorbimento di risparmio da parte del settore pubblico.

Minor costo del denaro, maggiore disponibilità di risorse hanno stimolato e stanno stimolando le iniziative private, irrobustito il mercato finanziario, la Borsa.

A quest'ultimo proposito, la gestione delle imprese e, più in generale, il funzionamento del sistema imprenditoriale e di quello finanziario trarranno vantaggio dalla nuova disciplina del diritto societario, del risparmio gestito, dell'organizzazione e del controllo dei mercati finanziari che Parlamento e Governo stanno per approvare. E' un'altra riforma che si aggiunge all'elenco che ho fatto poco fa.

Signore, Signori,

8. Il Consiglio europeo di Amsterdam si è chiuso otto mesi fa con la sottoscrizione del patto per la stabilità e per la crescita.

Il Patto costituisce un'integrazione del Trattato di Maastricht: ne rende più espliciti e più cogenti principi e obblighi.

L'Italia ha sottoscritto le conclusioni di Amsterdam, consapevole degli impegni che esse implicano, ma consapevole che quegli impegni sono in linea con l'indirizzo di politica economica italiana approvata dal Parlamento e alla base dell'azione del Governo.

L'Italia sa di poter partecipare all'Unione monetaria europea apportando stabilità monetaria e vitalità di iniziativa.

La lira italiana, che si fonderà con le altre monete per dar vita all'euro, è una lira solida. La sua solidità poggia su una cultura della stabilità che la società italiana ha fatto propria, tornando ai comportamenti virtuosi che dopo la ricostruzione post-bellica consentirono al Paese un lungo periodo di progresso economico e sociale.

Lo sradicamento dell'inflazione è stato il passaggio chiave del risanamento. Ad esso si accoppia la robustezza della bilancia dei pagamenti. Stabilità dei prezzi ed equilibrio dei conti con l'estero sono sempre stati le fondamenta della solidità di una moneta. Lo sono attualmente della lira.

Sappiamo che con la moneta unica europea viene meno la flessibilità del cambio all'interno dell'area; viene meno l'extrema ratio della modifica della parità alla quale più volte l'Italia ha dovuto far ricorso durante l'esperienza dello SME.

Per questo stiamo ricercando maggiore flessibilità nell'uso dei fattori della produzione attraverso sia modifiche ulteriori nel mercato del lavoro sia l'attuazione delle riforme già impostate, e che mirano a ridurre la presenza dello Stato nell'economia, a deregolamentare, ad accrescere l'efficienza della pubblica Amministrazione.

Sappiamo, in particolare, che dobbiamo essere capaci di mobilitare quella massa inattiva di risorse costituita dalla disoccupazione nel Mezzogiorno, di trasformarla da problema sociale e da peso per l'economia a opportunità di avanzamento per le aree depresse, per l'intero Paese.

La prova concreta che abbiamo dato in questi ultimi anni di chiarezza di propositi, di determinazione nel perseguirli è testimonianza nuova della vitalità dell'economia italiana. Vitalità che trova alimento in due note caratteriali degli italiani: l'attitudine all'iniziativa imprenditoriale, che ha dato luogo al sorgere di una miriade di piccole imprese; la propensione al risparmio.

Alla base dei risultati conseguiti vi è infine la forza del consenso di un Paese che vuol stare appieno nell'Europa, in una continuità di tradizioni e di propositi mai venuta meno, fin dal concepimento del progetto europeo.