Benvenuto sul sito del Ministero dell’Economia e delle Finanze, conosciuto anche come Portale mef

Contenuto principale

Audizione Camera dei Deputati (Bilancio-Finanza)

09/07/1998

9 LUGLIO 1998

CAMERA DEI DEPUTATI

AUDIZIONE ALLE COMMISSIONI CONGIUNTE

BILANCIO E FINANZE

Presupposto dello sviluppo del sistema produttivo meridionale è la presenza di un sistema creditizio e finanziario in grado di promuovere e accompagnare il processo di crescita.

Ruolo precipuo delle banche è di favorire l'afflusso del risparmio alle imprese più meritevoli per sostenere la formazione di capitale fisso e la produzione; la variegata realtà economica dell'area richiede che le banche articolino tale funzione secondo modelli operativi che superino lo schema della tradizionale attività erogativa e introducano strumenti innovativi calibrati alle concrete esigenze imprenditoriali.

Tutto questo è ancor più necessario con l'introduzione dell'Euro, come ho avuto modo di dire di recente all'assemblea dell'ABI facendo riferimento all'intero sistema bancario italiano.

Il sistema creditizio del Mezzogiorno non è stato al riparo dei grandi cambiamenti istituzionali ed organizzativi che sono intervenuti a livello nazionale negli anni novanta. Sotto l'impulso di un'accresciuta concorrenza interna ed esterna, e delle difficoltà conosciute da un importante segmento del sistema, si sono sviluppate anche in questa parte del Paese le tendenze alla concentrazione bancaria, alla razionalizzazione delle reti territoriali, all'integrazione dei differenti tipi di servizi finanziari, al miglioramento della competitività dal lato dei costi.

Il risanamento del sistema bancario è stato avviato e non è disgiunto dal faticoso recupero, tuttora in corso, nelle attività produttive e nella concorrenzialità delle imprese meridionali in mercati sempre più integrati verso l'esterno. Il cammino intrapreso va proseguito con determinazione e completato: il sistema bancario nel Mezzogiorno non ha, infatti, raggiunto i livelli di efficienza allocativa ed operativa osservati nel resto del Paese e rimane più distante dell'altra area dai livelli conseguiti nei maggiori paesi europei.

Aspetti strutturali

L'attività d'intermediazione bancaria ha nel Meridione una consistenza relativamente limitata; nel 1997 rappresentava il 20 per cento del totale della raccolta del sistema e il 16,5 per cento degli impieghi, a fronte di una contribuzione della regione alla formazione del PIL nazionale pari al 24 per cento.

Nel corso di questo decennio, pur in presenza di un rallentamento della crescita economica nell'area, il sistema bancario ha continuato ad ampliare la rete distributiva. Sotto l'impulso delle misure di liberalizzazione, il numero degli sportelli è aumentato del 53 per cento, raggiungendo 5705 unità a fine 1997. La loro densità media sul territorio resta, tuttavia, inferiore a quella del Centro-Nord (3600 abitanti per sportello rispetto a 1900), riflettendo il divario di sviluppo economico.

L'espansione della rete è avvenuta nonostante il processo di concentrazione nell'industria bancaria. Il numero delle banche si è ridotto del 20,5 per cento, misura superiore di oltre un terzo a quella registrata altrove nel Paese. Su un totale di 935 banche esistenti alla fine del 1997 in Italia, 290 sono stabilite nel Mezzogiorno e 252 di queste vi hanno la sede legale.

La mobilitazione del risparmio

Nella mobilitazione del risparmio dell'economia il sistema bancario ha continuato a svolgere nel Meridione un ruolo più importante di quello operato nel Centro-Nord. Pur essendo i tassi sui depositi bancari allineati su quelli prevalenti nel resto del Paese, rispetto ad esso la raccolta bancaria rappresenta ancora una quota della ricchezza finanziaria dei residenti ampiamente superiore.

Al sistema bancario meridionale fanno capo, infatti, oltre i due terzi delle attività finanziarie dei residenti censite dalle banche, mentre nelle altre regioni meno della metà è concentrata nel canale bancario. Il 55,0 per cento delle attività è detenuto sotto forma di depositi bancari, contro il 34,1 al Centro-Nord.

L'offerta di credito

Soltanto una frazione del risparmio raccolto trova occasioni di impiego nel finanziamento delle attività produttive nel Mezzogiorno. Il rapporto tra gli impieghi (al netto delle sofferenze) e la raccolta si è attestato negli ultimi due anni attorno al 64 per cento. Alla fine del 1997 il credito bancario all'economia del Mezzogiorno si commisurava al 43 per cento del relativo PIL, un rapporto nettamente inferiore a quello del Centro-Nord (66 per cento).

Al minor rapporto tra credito bancario e produzione fa riscontro una maggiore dipendenza del finanziamento delle imprese meridionali dalle fonti bancarie. Con riferimento alle società non finanziarie censite dalla Centrale dei bilanci nel 1996, ultimo anno di disponibilità dei dati, l'indebitamento verso le banche delle imprese meridionali sul totale di bilancio era in media pari al 22,7 per cento, contro il 15,6 al Centro e il 19,9 al Nord. Il limitato sviluppo del sistema finanziario si sovrappone, pertanto, al modesto sviluppo del sistema imprenditoriale.

Comparativamente elevata è la quota dei prestiti bancari al settore delle famiglie in relazione sia ad attività produttive, sia a spese per abitazioni e per beni di consumo durevole.

La rischiosità del credito

La consistente ripresa degli impieghi bancari avvenuta nell'ultimo anno ha riguardato anche il Meridione, seppure in minore misura. L'offerta di prestiti in questa area continua ad essere condizionata oltre che dalle incertezze sull'andamento economico dalla maggiore rischiosità che caratterizza i prenditori del credito.

Alla fine del 1997 le sofferenze nel Paese ammontavano a 120.000 miliardi, pari al 9,4 per cento degli impieghi, ed erano in diminuzione. Nel Mezzogiorno le sofferenze si sono ridotte dell'8 per cento nell'anno, portandosi al 21,8 per cento degli impieghi. La riduzione dell'incidenza dei prestiti inesigibili è da attribuire all'uscita dai bilanci bancari dei prestiti in contenzioso ceduti dal Banco di Napoli alla società non bancaria SGA e di quelli rimasti in capo alla Sicilcassa in liquidazione.

Permane particolarmente elevato il rapporto tra le sofferenze ed i prestiti al settore delle famiglie produttrici, al comparto delle costruzioni e a quello dei servizi (rispettivamente, 32,1 e 34,2 e 21,4 per cento); in crescita risulta la rischiosità del credito al settore delle famiglie consumatrici. Nel Centro-Nord lo stesso rapporto alla fine del 1997 era pari al 6,9 per cento, con percentuali del 10,7, 15,9 e 7,8 rispettivamente per i crediti alle "famiglie produttrici", al comparto delle costruzioni e a quello dei servizi.

Nel Mezzogiorno la distribuzione delle sofferenze presenta disparità, pur dopo l'esclusione di quelle cedute dal Banco di Napoli e di quelle della Sicilcassa: presso le banche con sede centrale nel Mezzogiorno la loro incidenza è maggiore che nelle altre banche operanti nell'area (24 per cento contro 19,7). La relativamente minore selettività delle banche meridionali nella concessione dei crediti si riscontra anche tra i loro prestiti nell'area del Centro-Nord: l'incidenza delle sofferenze (10,2 per cento) supera la media regionale.

Il divario di rischiosità del credito nel Mezzogiorno rispetto al resto del Paese continua ad essere ampio in tutti i settori economici. Nello scorso anno la quota aggiuntiva di prestiti dichiarati in sofferenza era due volte e mezza maggiore che nel Centro-Nord (4,8 contro 1,3 per cento).

I tassi sugli impieghi bancari

La maggior rischiosità contribuisce in misura rilevante al differenziale di costo del credito che si riscontra tra le due aree. Nel 1997, in corrispondenza con la discesa nel Paese dei tassi d'interesse sugli impieghi a breve termine, il differenziale rispetto al Centro-Nord risulta diminuito da 2,4 a 2,2 punti percentuali; è una riduzione statistica più che effettiva se si tiene conto dell'alleggerimento dell'onere delle sofferenze nelle due grandi aziende di credito meridionali in crisi. Il differenziale aveva toccato nel 1992 il livello più basso del decennio, pari a 1,6 punti percentuali, ma era salito fino a 2,6 punti percentuali nell'ultimo trimestre del 1994.

Il perdurare di un consistente divario di tasso riflette anche fattori specifici della domanda di credito, quali il limitato importo unitario dei prestiti, la prevalenza tra gli affidati di imprese di dimensioni medie e piccole, la loro debolezza patrimoniale e il loro elevato grado di dipendenza dal credito bancario a breve termine. Pesano altresì fattori attinenti al contesto economico e istituzionale, in particolare la debolezza dell'andamento della produzione nel Mezzogiorno negli anni novanta, e la lunghezza e il costo delle procedure di recupero dei crediti in sofferenza.

Un rafforzamento del sistema produttivo meridionale, un miglioramento della struttura finanziaria delle imprese, unitamente a una diversificazione delle loro fonti di finanziamento, sono le vie che possono condurre al restringersi del divario. Un segnale in tal senso si può trarre dal minor costo del credito pagato nel Mezzogiorno dalle imprese del Centro-Nord operanti nel Mezzogiorno (9,8 per cento contro l'11,2 per cento corrisposto dalle imprese meridionali nel 1997).

Dal lato dell'offerta di credito non è trascurabile il peso che hanno sul maggior costo del credito delle banche meridionali la minore capacità di valutazione del rischio sugli impieghi e la più bassa efficienza operativa. Un più attento monitoraggio delle condizioni delle imprese affidate ed un ampliamento della gamma dei servizi per soddisfare il fabbisogno delle stesse potrebbero permettere alle banche di migliorare la qualità del loro portafoglio impieghi.

I conti economici delle aziende di credito meridionali

In contrasto con la tendenza alla diminuzione a livello nazionale, il margine tra tassi sugli impieghi e costo della raccolta per le banche meridionali si mantiene su valori strutturalmente elevati (nel 1997 2,83 per cento dei fondi intermediati). In una prospettiva di crescente concorrenza sui mercati creditizi, sono da attendere nel Mezzogiorno nuove spinte verso l'assottigliarsi del margine di interesse in rapporto ai fondi intermediati, con effetti positivi per i costi finanziari delle imprese.

Alla flessione del margine dovrebbe corrispondere per le banche un'espansione dei ricavi derivanti dall'offerta di altri servizi, in particolare di quelli di gestione del risparmio. Questa tendenza è già in atto nel Paese, ma tocca con minore intensità il gruppo delle banche meridionali.

L'aumento di questi ricavi è servito alle banche meridionali per elevare il margine di intermediazione al livello del 3,75 per cento nel 1997, in controtendenza rispetto all'andamento nelle altre aree.

Sul fronte dei costi operativi, un primo progresso significativo è stato compiuto con la riduzione dei costi del personale (7 per cento). Essa è stata ottenuta in gran parte con le misure adottate nel contesto della ristrutturazione dei cinque principali istituti, con effetti sia sul numero degli addetti (-7,5 per cento), sia sul costo per addetto (-6 per cento). Il contenimento delle spese per il personale, necessario nell'intero Paese, è priorità particolarmente urgente per le banche meridionali, considerato che queste spese assorbono una quota del margine di intermediazione più elevata che nelle altre banche italiane e nelle concorrenti europee.

Il maggior peso è attribuibile alle eccedenze di personale. Il costo per addetto si colloca infatti su livelli inferiori del 9 per cento rispetto a quelli delle banche del Centro-Nord. Nelle banche meridionali la quantità di fondi intermediati per addetto risulta di un terzo al di sotto di quella delle altre banche italiane e il margine di intermediazione è più basso del 23 per cento.

Nel complesso gli aggiustamenti dal lato dei costi operativi hanno permesso nel 1997 un recupero del risultato di gestione; insieme alla riduzione delle perdite su crediti, hanno contribuito a limitare le perdite di bilancio allo 0,03 per cento dei fondi intermediati.

 

La ristrutturazione delle banche meridionali

Sul piano strutturale l'efficienza delle banche del Mezzogiorno trova uno dei suoi limiti nello scarso grado di patrimonializzazione; ne discende la necessità di promuovere operazioni di aumento di capitale, di concentrazione e di acquisizione che inseriscano la banca in gruppi con mezzi propri adeguatamente dimensionati.

Interventi di questa natura si sono realizzati negli anni recenti. Escludendo i processi che hanno coinvolto le grandi banche, sulla base delle rilevazioni della Banca d'Italia, dal 1990 sono state portate a compimento da parte di gruppi del Centro-Nord operazioni di incorporazione e di acquisizione di aziende di credito meridionali, che rappresentano il 15 per cento degli impieghi nell'area. Gli stessi gruppi hanno altresì posto in essere accordi di collaborazione con banche meridionali indipendenti, che erogano il 7 per cento circa degli impieghi.

Queste operazioni possono rappresentare l'occasione per una riorganizzazione degli assetti proprietari, la quale consenta l'ingresso nella compagine azionaria di soggetti in grado di apportare non soltanto mezzi patrimoniali, ma anche una gestione più efficace.

In questo quadro assumono rilevanza i processi di privatizzazione, con l'uscita dall'azionariato dei soggetti pubblici, non sempre adeguatamente motivati a contribuire alla crescita e alla competitività della banca.

Al superamento dei fattori di inefficienza del sistema creditizio meridionale ha concorso in misura sostanziale l'azione dei poteri pubblici.

Il contributo dello Stato si è espresso in primo luogo nel riordino e nell'adeguamento del quadro normativo di riferimento per gli operatori finanziari: dapprima con la redazione del testo unico bancario e più recentemente con il testo unico sull'intermediazione finanziaria.

Sul piano patrimoniale, il Tesoro ha provveduto alle erogazioni previste dalla legge Amato-Carli a favore delle banche meridionali e, relativamente al Banco di Sicilia, al conferimento della propria partecipazione nell'IRFIS, tendente anche a razionalizzare il sistema creditizio dell'isola.

L'intervento del Ministero si è espresso soprattutto nella soluzione delle recenti crisi che hanno interessato due grandi banche del Mezzogiorno: il Banco di Napoli e la Sicilcassa.

La gestione delle due crisi bancarie si è ispirata a un'ottica di progetto, non di mero salvataggio, in una linea di criteri e modalità di intervento che ha avuto inizio negli anni ottanta.

La soluzione adottata a favore del Banco di Napoli, pur mantenendo in essere l'originaria entità bancaria, equivale ad una liquidazione, nei presupposti e nelle conseguenze. Si sono evitate però la drammaticità dell'estinzione di una realtà essenziale per lo sviluppo del Mezzogiorno e la dispersione delle componenti aziendali. Il capitale sociale è stato completamente azzerato e ricostituito dal Tesoro; gli organi aziendali rinnovati; le responsabilità degli amministratori evidenziate; spetterà ora all'autorità giudiziaria accertarle, giudicarle.

Sul piano progettuale, l'intervento pubblico, sia direttamente sul patrimonio, sia attraverso la creazione della "SGA" è stato subordinato alla predisposizione di un piano aziendale di ristrutturazione e alla stipulazione di accordi sindacali che riducessero il costo del lavoro. Su questa base si è avviato il processo di privatizzazione, secondo le regole di mercato; esso ha permesso l'inserimento del Banco in un importante gruppo assicurativo che, oltre a contribuire al rafforzamento patrimoniale, assicura la realizzazione del piano di ristrutturazione.

L'obiettivo finale del processo è la creazione di un grande gruppo bancario-assicurativo che abbia livelli dimensionali adeguati alle sfide competitive in atto e contribuisca alla diversificazione dei prodotti.

E' auspicabile che il progetto di fusione con la Banca Nazionale del Lavoro possa avanzare sulla base dei principi di mercato e secondo le regole delle operazioni di privatizzazione.

In questo quadro non dovrà perdersi il tradizionale collegamento del Banco con il territorio, ma vanno abbandonate impostazioni puramente localistiche. Si confida nella lungimiranza dei soggetti partecipanti al processo, nella consapevolezza che le visioni campanilistiche non sono mai state fonte di prosperità.

Analoghi principi hanno ispirato le autorità creditizie nel gestire la crisi della Sicilcassa, pur nella diversità delle modalità seguite. La irrimediabile situazione patrimoniale ha imposto la liquidazione coatta della banca; essa è stata inserita in un modello, più volte sperimentato, che prevede l'intervento di un soggetto bancario che rilevi attività e passività della banca liquidata, eviti lo smembramento del patrimonio professionale dell'azienda, ne mantenga la tradizionale presenza nell'Isola.

In assenza di manifestazioni di interesse da parte di altre banche, l'azienda è stata rilevata dal Banco di Sicilia sulla base di un piano di sviluppo e di razionalizzazione della presenza sul territorio e con la partecipazione del Mediocredito Centrale al rafforzamento del capitale netto del Banco stesso. In questo contesto sono stati importanti la collaborazione di tutti gli azionisti pubblici del Banco e l'apporto finanziario di alcune banche popolari del Nord attraverso un prestito subordinato a lungo termine al Mediocredito Centrale.

La partecipazione del Mediocredito servirà altresì a valorizzare le tradizionali capacità operative del Banco soprattutto verso le piccole e medie imprese e ad arricchirle con altre in settori, quali il "project financing", utili per sostenere la realizzazione di opere infrastrutturali nell'Isola.

Sul piano aziendale, già è in atto un'incisiva azione per il contenimento degli oneri per il personale, sì da renderli compatibili con l'equilibrio aziendale.

Il processo continua attualmente con la fase di privatizzazione, tra l'altro condizione per la compatibilità comunitaria dell'intervento pubblico. Una prima apertura dell'azionariato, attualmente composto interamente da soggetti pubblici, verrà realizzata con l'ingresso nel capitale di una compagnia di assicurazioni, in attuazione degli accordi conclusi tra i soci nell'agosto dello scorso anno. La selezione è in corso, si concluderà entro brevissimo tempo. L'accordo servirà alla diversificazione dell'offerta di prodotti del Banco.

La definitiva privatizzazione del Banco potrà anche avvenire attraverso il collocamento della partecipazione detenuta dal Ministero nel Mediocredito Centrale, maggiore azionista del Banco, collocamento che è in corso di valutazione e potrebbe essere portato a compimento nel prossimo anno.

Un'altra operazione di privatizzazione di una banca meridionale, in cui è impegnato il Ministero, riguarda il CIS, per il quale si sta svolgendo una trattativa volta ad individuare un "partner" bancario di riferimento che possa rafforzare la banca e valorizzarne le relazioni con la clientela.

Nel processo di ristrutturazione del sistema bancario meridionale e nella prospettiva del rafforzamento del sostegno finanziario allo sviluppo dell'area si sono inserite in misura crescente le banche popolari del Nord. Al giugno scorso esse avevano acquisito il controllo di 20 aziende di credito con sede nel Mezzogiorno, a seguito per lo più di interventi connessi con il risanamento di situazioni di crisi aziendale.

L'espansione del ruolo di questa categoria di banche va vista positivamente, essendo esse particolarmente attente a soddisfare le specifiche esigenze delle imprese di dimensioni medie e piccole, elemento portante del tessuto produttivo dell'area. L'afflusso di capitale a queste realtà produttive dovrebbe essere altresì favorito dallo sviluppo sia del mercato di capitali, sia di società di "venture capital", di "merchant banks" e di altri gestori di fondi dedicati all'investimento in questo comparto di imprese.

L'azione dello Stato non si è limitata al superamento delle situazioni di crisi; essa si è concretizzata anche in interventi volti a favorire l'accesso delle imprese al mercato del credito, ovvero ad agevolare direttamente gli investimenti produttivi.

Molteplici sono le leggi di incentivazione e molte di esse sono destinate ad operazioni nel Mezzogiorno; sono strumenti ben noti, che mi limito a richiamare.

Tra le misure normative è da ricordare il recente disegno di legge governativo sulla cartolarizzazione, il quale apporterà benefici alle banche meridionali maggiormente gravate di crediti in sofferenza o problematici.

Più in generale il Ministero ha inteso stimolare un processo di privatizzazione delle banche controllate da fondazioni presentando un disegno di legge di riforma, attualmente al vaglio del Senato dopo aver superato l'esame della Camera.

Le prospettive

L'azione sul sistema creditizio non è sufficiente se ad essa non si accompagnano interventi diretti a creare nel Mezzogiorno un ambiente idoneo a favorire lo sviluppo delle imprese; è necessaria la realizzazione di adeguate infrastrutture che non emarginino le regioni meridionali da circuiti europei; ugualmente importante è la presenza di un ambiente economicamente sano, libero da interferenze di organizzazioni criminali, che oltre a contaminare il tessuto produttivo pregiudicano l'autonomia allocativa degli intermediari finanziari, compromettendo le condizioni per lo sviluppo e le regole di concorrenza.

Proprio stamani ho avuto modo in una Conferenza Stampa al Tesoro di fare il punto su quanto si sta facendo per accelerare lo sviluppo e l'occupazione nel Mezzogiorno.

Nel nuovo contesto di integrazione dei mercati finanziari su scala europea, la sfida competitiva si vincerà sul piano dell'efficienza e della capacità di offrire prodotti e servizi finanziari aggiunti a quelli tradizionali.

La banca potrà compensare la minore redditività derivante dalle attività tradizionali di raccolta e di impiego integrando i servizi di consulenza alle imprese e l'offerta di servizi finanziari innovativi. Donde la necessità per le banche, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni, di proseguire nei processi di concentrazione e di collaborazione operativa, preservando il radicamento sul territorio.

Anche nel futuro prossimo lo sviluppo del sistema creditizio meridionale non potrà basarsi soltanto sulle attività delle banche e delle imprese. Un ruolo essenziale continuerà ad essere svolto dall'operatore pubblico; il suo compito è quello di favore la convergenza in maggior misura del risparmio del Mezzogiorno verso gli investimenti nell'area, sia nella costruzione di infrastrutture, materiali e immateriali, sia in iniziative di impresa.