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202° Anniversario della nascita della bandiera tricolore

07/01/1999

7 gennaio 1797 - Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia, costituitesi il 21 dicembre 1796 in Repubblica Cispadana, proclamano loro bandiera il Tricolore, bianco-rosso-verde.
È una bandiera che evoca i valori della rivoluzione francese, così come pochi mesi dopo, il 27 marzo 1797, la costituzione che l'Assemblea Cispadana approva è modellata su quella francese del 1795.
Il Tricolore bianco-rosso-verde, vessillo della libertà, dell'indipendenza, del riscatto dei popoli, diviene il simbolo del Risorgimento, dell'unità nazionale: la bandiera in cui tutti gli italiani si riconosceranno, la bandiera sotto la quale verranno combattute le quattro guerre di indipendenza; la bandiera che da allora scandirà e scandisce la storia dell'Italia, sia l'Italia della monarchia sabauda sia l'Italia della Repubblica.
Quella bandiera, quel simbolo dell'Italia nazione, si richiama ai valori fondamentali della civiltà europea - che la rivoluzione francese, traducendo in atti politici l'essenza di un movimento di pensiero maturato nell'intera Europa, l'illuminismo, sintetizzò nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino.
Il Tricolore bianco-rosso-verde fu ed è bandiera nazionale, ma al tempo stesso segno di appartenenza a una comunità più vasta, di valori condivisi da tutti i popoli d'Europa.
Celebrando oggi, a più di due secoli di distanza da quell'evento, la giornata nazionale della bandiera, in questa città, che giustamente si definisce la città del Tricolore, il pensiero - queste sono le parole con le quali il vostro Sindaco mi ha invitato ad essere con Voi "volge al presente, guarda in avanti, alla dimensione europea come logico sviluppo di un percorso culturale, ideale e storico".
La realtà di oggi, la partecipazione dell'Italia alla creazione dell'euro fonda le sue radici "nelle vicende che 202 anni fa portarono alla nascita del tricolore come simbolo del primo Stato libero in territorio italiano nell'età moderna".
La bandiera è simbolo di identità: lo è anche la moneta, al di là delle sue funzioni di unità di conto, di mezzo di pagamento, di riserva di valore.
Guardiamo insieme la moneta da 1 Euro, quale la Zecca ha cominciato a coniare. Sul recto - uguale per tutti gli euro che circoleranno negli undici paesi partecipanti - è raffigurata la carta geografica dell'Europa. Sul verso - che è differente per ognuno degli undici paesi - è riprodotto l'Uomo di Leonardo da Vinci. È stata una scelta con un doppio significato: è l'uomo la misura, è l'uomo, il suo miglioramento materiale e spirituale, il fine dell'attività economica di cui la moneta è strumento. Il secondo significato: celebrare un "Grande", il più completo dei "Grandi" del Rinascimento, Leonardo da Vinci, è ricordare quanto l'Italia ha dato e dà all'Europa, in termini di arte, di scienza, di civiltà.
Come il Tricolore ci ha unito e ci unisce in una nazione e al tempo stesso ci ha collegato e ci collega ad altri popoli richiamando valori che trascendono i confini geografici, così l'euro è momento di unione europea nella conferma dei caratteri specifici di ogni Paese che vi fa parte.
Undici Paesi hanno deciso di rinunciare a un aspetto fondamentale della sovranità nazionale, quello di battere moneta, e di affidarlo a un istituto federale: il sistema europeo delle Banche centrali.
È un evento storico. Nasce l'Europa come soggetto politico. Nasce con il generare una struttura istituzionale ben definita.
Trecento milioni di cittadini europei suggellano la fine di questo secolo con un messaggio di pace: i conflitti che hanno dilaniato il nostro continente - due, violentissimi e sanguinosi, nella prima metà di questo secolo - sono superati per sempre. Quel messaggio di pace dovrà trovare progressivo rafforzamento in nuove istituzioni sovranazionali, di tipo federale o confederale a seconda dei casi. Insisto sull'importanza delle istituzioni.
I veri avanzamenti richiedono ordinamenti che li definiscano, li rendano stabili e ben integrati nel contesto storico in cui hanno luogo. Scriveva due secoli fa Vincenzo Cuoco, a commento delle vicende della Rivoluzione napoletana del 1799: " Alla felicità dei popoli sono più necessari gli ordini che gli uomini".
I nazionalismi esasperati sono sepolti. Ma non vengono rinnegati, anzi sono esaltati, in un'atmosfera di pace e di concordia, le tradizioni, i valori peculiari di ogni paese, di ogni comunità, di ogni autonomia locale. Con l'affermarsi di una realtà europea, il concetto di nazione non viene certo annullato.
Già dal maggio scorso, al solo annuncio della partecipazione dell'Italia all'Euro, avvertiamo nella nostra comunità nazionale l'attenuarsi di tensioni preoccupanti, il venir meno di istanze secessioniste. Le stesse minoranze etniche, con l'avanzare dell'Unione europea, dal Trattato di Schengen all'euro, non sentono più il peso di separazioni. Confini, dogane stanno scomparendo; un'unica moneta ha cominciato a circolare senza limitazione alcuna nell'Europa degli undici.
Certo, il cammino verso l'unione istituzionale e politica è ancora lungo; ma il disegno è tracciato. Con l'euro, l'Unione monetaria ed economica è una realtà, da completare anch'essa nelle istituzioni oltreché nella prassi. Dall'economia, dalla moneta, inesorabilmente il principio "unitario" si propagherà ad altri aspetti della vita civile, politica, sociale.
Un esempio: fino a pochi mesi fa, l'occupazione, problema grave per l'intera Europa, non solo per l'Italia, era ritenuto problema da affrontare con decisioni nazionali. Ora esso è riconosciuto problema la cui soluzione richiede anche decisioni comuni, europee.
Il richiamo all'occupazione non è casuale: la creazione di nuovi posti di lavoro è pensiero dominante nell'azione del Governo. A questo obbiettivo conclusivo mira l'opera di risanamento dell'economia privata e di quella pubblica.
È stata ed è un'opera profonda, incisiva; ha provocato mutamenti radicali nei comportamenti degli operatori.
In primo luogo, ha cambiato l'approccio delle parti sociali, sindacati e imprese, nelle loro relazioni: dalla logica del conflitto a quella della concertazione, che non è consociativismo né cogestione.
L'accordo del luglio 1993 è stato atto politico di rilevanza fondamentale per assicurare stabilità economica e sociale, bene in se stesso e condizione necessaria per lo sviluppo.
Il patto sociale del dicembre scorso ha confermato quell'accordo, nei principi informatori e nel contenuto, e lo ha arricchito di elementi più direttamente mirati a stimolare la crescita e l'occupazione.
Il nuovo modo di regolare le relazioni fra le parti sociali si coniuga con il risanamento del pubblico bilancio, che ha visto come primo momento l'abbandono della pratica, troppo a lungo invalsa, di ricercare il superamento delle tensioni sociali addossandone il costo sul bilancio pubblico.
Le due fondamentali innovazioni avvenute nella politica dei redditi e nel governo del bilancio pubblico si sono affermate a partire dal 1992-93, allorché sotto l'incalzare di eventi drammatici, che configurarono una emergenza economica e politica, si è consumata una frattura con il passato, si è diffuso nel Paese un anelito di rinnovamento.
Da allora le vicende interne si sono intrecciate più strettamente con l'accelerazione in Europa del processo di unione economica e monetaria, culminata nel Trattato di Maastricht, e ne sono state condizionate.
L'aver colto, sia pure "in limine", l'appuntamento europeo - ed è questo merito del Governo presieduto da Romano Prodi - ha spinto a risolvere o quanto meno ad avviare a soluzione problemi che altrimenti sarebbero caduti nella prassi dei rinvii, o comunque delle costose e incerte lentezze.
I risultati sono stati rilevanti, ma siamo consapevoli che molto resta da fare sia per consolidare e completare quanto compiuto, sia per mettere a profitto le possibilità che la nuova realtà offre.
L'esperienza di questi ultimi anni ci deve, in primo luogo, confortare nel convincimento della validità del metodo seguito: dalla chiarezza degli obbiettivi, alla consapevolezza delle nostre potenzialità, alla tenacia dell'impegno quotidiano.
Per essere fruttuosa, la nostra opera deve essere sostenuta da una forte passione civile che è senso di responsabilità, orgoglio delle proprie tradizioni, coerenza di comportamenti, desiderio di progresso, cioè di benessere economico nella equità, di arricchimento e di elevazione dello spirito umano.
Una settimana fa, la mattina del 31 dicembre, prima di partire per Bruxelles per partecipare alla riunione dei Ministri finanziari che sanciva la nascita dell'euro, sono andato alla Zecca per dare il via alla coniazione dell'euro italiana.
In quella occasione, ho voluto ricordare le vicende, che non ho esitato a definire gloriose, della Lira italiana, divenuta moneta nazionale nel 1862, poco dopo la dichiarazione dell'Unità d'Italia. Esistevano in quel 1862 ben otto Zecche e un numero ancor maggiore di monete degli Stati italiani pre-unitari. Tutte furono ricondotte a unità. La lira, come una bandiera, è stato elemento fondamentale dell'unificazione nazionale; come il vessillo tricolore, ha tenuto unito il Paese anche nei momenti più drammatici della nostra storia.
Il Tricolore: ogni volta che lo vediamo sventolare, ci riconosciamo in esso, avvertiamo forte in noi il senso di appartenenza all'Italia, alla nostra Patria. Ma sentiamo anche come questa entità, la Patria-Italia, racchiuda gli ideali, i valori di una comunità più ampia, della quale sappiamo di essere componente essenziale.
Così sentivano i padri stessi del Risorgimento, da Cavour a Mazzini: la Giovine Europa è coeva della Giovine Italia. L'Europa è nel sangue degli italiani, amo ripetere. La vocazione europea è parte integrante del patrimonio civile dell'Italia. Su questo patrimonio dobbiamo saper costruire un futuro di progresso e di civiltà: è un compito che sta soprattutto a voi giovani realizzare.