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Intervento del ministro Tria alla Camera di Commercio americana sulla crescita degli investimenti tra Italia e Stati Uniti

04/03/2019

Presidente Tomassi Marinangeli, Consigliere Crolla, Gentili Soci,

Desidero ringraziare anzitutto l’American Chamber of Commerce per l’invito a questa importante e necessaria sessione di confronto con Voi che rappresentate le principali aziende multinazionali americane in Italia e imprese italiane operanti negli USA.

È per me un grande piacere incontrarvi a poche settimane dal mio rientro dagli Stati Uniti, dove ho compiuto una visita intensa ed articolata. Una visita programmata da tempo, con l’obiettivo di rafforzare ulteriormente una partnership strategica che da oltre settanta anni costituisce una delle colonne portanti della politica estera italiana.

Come potete immaginare, ho voluto incentrare la mia missione e i miei incontri istituzionali a Washington e New York principalmente sulle relazioni economiche, tema che ho già affrontato con il Segretario al Tesoro Steve Mnuchin, con il Chairman del Consiglio degli Economisti della Casa Bianca, Kevin Hassett, con il Presidente del Financial Stability Board, Randall Quarles – ma anche con i tanti investitori che ho avuto modo di incontrare a New York.

Solo pochi giorni prima, peraltro, avevo avuto modo di intrattenermi con molti importanti operatori americani anche a Davos, in occasione del World Economic Forum.

Non sono mancate dunque, in questi mesi, le opportunità di interlocuzione.

In tutte queste occasioni, il messaggio che ho voluto evidenziare e trasmettere, e che intendo ribadire anche oggi in questa sede, è un messaggio di fiducia nei confronti dell’Italia e delle sue capacità: un invito ad approfittare delle molte importanti opportunità di investimento offerte dal nostro meraviglioso Paese, ad esempio la sua posizione geografica, la qualità dei servizi e dei collegamenti, il turismo, l’elevata qualità della vita e del capitale umano.

In una fase di evidente rallentamento economico che continua a registrarsi nel contesto europeo, non dobbiamo infatti distogliere l’attenzione dai fondamentali che caratterizzano la nostra economia nazionale.

L’Italia può infatti vantare un largo attivo di partite correnti, un surplus primario di bilancio che dura da vent’anni, con un un’unica eccezione, un livello modesto di indebitamento del settore privato, a fronte di un elevato volume di risparmio, di un sistema bancario che si è notevolmente rafforzato in questi anni e di un vasto pool di talenti imprenditoriali.

I dati, tuttavia, parlano chiaro e l’intento del Governo è quello di cogliere l’opportunità di una fase di profondo cambiamento per attuare una politica moderatamente espansiva, incentrata sulla crescita, sugli investimenti e sull’equità sociale.

Le sfide, come sapete, sono notevoli e necessitano di uno sforzo comune per definire strategie condivise sia all’interno del Paese che con i nostri partner internazionali come gli Stati Uniti, Paese al quale ci lega un’alleanza transatlantica fondata su valori e identità culturali affini.

In quest’ottica è quanto mai necessario strutturare un lavoro congiunto finalizzato non solo ad attrarre nuovi investimenti esteri, ma anche a prevedere misure che incentivino la crescita di quelli esistenti e storicamente legati all’Italia, quali la capacità di fare impresa e la vocazione alle esportazioni.

Anche su questo fronte, deve necessariamente proseguire l’impegno volto ad aumentare l’attrattività del nostro Paese. Infatti, se da un lato i dati sull’export forniscono elementi di ottimismo sull’andamento dell’internazionalizzazione delle imprese italiane, molto resta ancora da fare sul fronte dell’“incoming” e dei “Foreign Direct Investments” in Italia, che ancora non appaiono incidere concretamente sulla crescita del Paese.

Prendendo ad esempio il rapporto Italia-USA, questo gap è ancora più evidente: sebbene da un lato gli investimenti delle imprese italiane negli USA continuino a crescere (dal 2003 addirittura di oltre il 300%) gli FDI americani in Italia hanno registrato, in particolar modo negli ultimi anni, lievi cali posizionando il nostro Paese solamente al 12° posto in Europa ed al 26° a livello mondiale.

È evidente che questi dati si inseriscono in uno scenario più ampio di riforme necessarie per incrementare la crescita economica e la competitività del nostro Paese.

Risulta pertanto necessario intervenire da subito con misure concrete ed immediatamente attuabili – spesso anche a costo zero per lo Stato – finalizzate a risolvere alcune criticità che da tempo influiscono negativamente sulla crescita dell’Italia.

Prima fra tutte, la giustizia, la burocrazia e le procedure troppo farraginose nei rapporti tra Pubblica Amministrazione e industria nella definizione di partnership pubblico-private.

A tal riguardo, prosegue il mio impegno e quello del Governo per affrontare e rimuovere gradualmente i principali ostacoli e creare un clima più favorevole agli investimenti italiani ed esteri, anche al fine di promuovere la crescita delle numerose PMI che costituiscono parte integrante del tessuto imprenditoriale italiano.

Gli investimenti inbound possono infatti rappresentare importanti opportunità per trasformare aziende spesso a conduzione familiare in veri e propri players globali, potendo contare sia sui capitali che su nuove capacità manageriali nella gestione d’impresa.

In secondo luogo, facendo anche leva sulla permanente fiducia degli investitori esteri nel nostro Paese e sull’immenso valore del brand “Made in Italy”, è fondamentale poter mettere a sistema tutti gli stakeholder direttamente coinvolti al fine di attivare pienamente il potenziale competitivo del nostro Paese.

In questo sforzo, ricopre un ruolo di primaria importanza l’attività di promozione e diffusione della conoscenza del mercato italiano – oggi ancora in parte superficiale – finalizzata ad illustrare agli investitori interessati i vantaggi e le potenzialità offerte da un investimento in Italia.

Un terzo elemento da valorizzare è sicuramente il ruolo di hub logistico che l’Italia, sfruttando il proprio posizionamento nel Mediterraneo ed i relativi riflessi geopolitici storicamente associati alla penisola, potrebbe assumere per le aziende americane e straniere interessate al mercato unico europeo e alle potenzialità offerte dai mercati africani.

Per fare ciò, tuttavia, sarà sempre più importante dotare il Paese di infrastrutture e sistemi logistici innovativi e all’avanguardia per rispondere alle necessità di un mercato sempre più rapido e globale.

Da qui, l’impegno del Governo delineato nella Legge di Bilancio, di promuovere il ruolo degli investimenti pubblici nel favorire crescita economica, competitività e occupazione.

Con la creazione – e la relativa dotazione finanziaria – della struttura “Investitalia”, ad esempio, si è infatti voluto mettere l’accento sul comparto infrastrutturale in quanto catalizzatore anche di investimenti privati, che consentono di generare un effetto positivo non solo sulla domanda ma anche sull’offerta.

Molte altre sono le tematiche che spero di affrontare con Voi in sessioni di confronto come quella che seguirà e che considero fondamentali per poter raccogliere e scambiare opinioni in particolar modo sui temi più sensibili.

Tra questi, ci tenevo in conclusione a citare l’introduzione della cosiddetta “Web Tax” – misura che, ne sono consapevole, ha suscitato non poche perplessità e che ho avuto modo di illustrare anche al Segretario al Tesoro Mnuchin, a Washington.

Vorrei, a tal proposito, cogliere questa ulteriore occasione per sottolineare che, dal punto di vista del Governo, la misura ha una natura essenzialmente transitoria, nelle more dell’adozione di uno strumento internazionale che tratti in modo uniforme questa materia.

L’Italia è infatti fortemente impegnata nel negoziato in corso nei diversi tavoli di discussione presso l’Unione Europea, l’OCSE, e il G20. Discussioni che hanno tuttavia evidenziato difficoltà oggettive nel raggiungimento di un consenso globale, lasciando prevedere tempi lunghi, incompatibili con la pressione politica e la richiesta dell’opinione pubblica di assicurare maggiore equità di trattamento fiscale tra aziende digitali e aziende tradizionali.

Non è un caso altri paesi europei (Francia, Regno Unito, Spagna) hanno anch’essi deciso di introdurre misure a livello nazionale.

Ci tengo tuttavia a sottolineare che la scelta di intraprendere un simile percorso non intende in alcun modo danneggiare una specifica azienda, settore o nazione; l’intenzione è semplicemente quella di assicurare un “level playing field” per tutti gli operatori del digitale, riconfermando l’impegno del Governo a mantenere un dialogo aperto con le società americane operanti nel settore.

Nel complesso, è chiaro che la capacità di un Paese di attrarre investimenti dall’estero – che siano essi in ambito industriale, commerciale o finanziario – dipende da una moltitudine di fattori, che non dipendono mai solo da un singolo ente o da un’Amministrazione specifica.

La sfida di ottenere la fiducia delle aziende, dei fondi di investimento, di private equity e di venture capital ricade infatti sull’intera filiera del Sistema Paese: dai più alti livelli governativi alle realtà locali, dalla capacità della grande impresa a quella del singolo imprenditore di continuare ad innovare nell’ambito del proprio settore, in una cornice di misure e regolamentazioni favorevoli.

Come dimostra questa lodevole iniziativa dell’American Chamber of Commerce, è quindi necessario mettere a fattor comune tutte le esperienze e le peculiarità di ogni singolo stakeholder in un’unica strategia, chiara ed efficacemente comunicata, che possa massimizzare il moltiplicatore generato dal singolo investimento estero sul territorio e sulla nostra economia.

Desidero quindi ringraziarVi nuovamente per l’impegno profuso nella definizione di proposte e policies a supporto dei rapporti economici ed istituzionali tra Italia e Stati Uniti. E ribadisco nuovamente l’impegno mio e del Ministero a trovare soluzioni condivise che possano contribuire alla crescita del nostro Paese.

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