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Intervento del Ministro Franco alla 97ª Giornata Mondiale del Risparmio

21/10/2021

97ª Giornata Mondiale del Risparmio
“Risparmio privato e risorse europee per la ripartenza del Paese”
Intervento del Ministro dell’Economia e delle Finanze
Daniele Franco

Roma, 21 ottobre

Ringrazio il Presidente Profumo per avermi invitato a intervenire. È un piacere trovarmi qui e colgo l’occasione per salutare il Governatore Visco e il Presidente dell’ABI, Patuelli. Mi auguro che la prossima Giornata Mondiale del Risparmio possa svolgersi in presenza.

La ripresa della nostra attività economica è intensa.
Le prospettive macroeconomiche per l’anno corrente e il prossimo sono favorevoli, come evidenziato nella recente Nota di Aggiornamento del DEF (NADEF).
La previsione di crescita annuale del PIL sale al 6,0 per cento. È una revisione consistente rispetto alle previsioni del DEF di aprile, che stimavano una crescita del 4,5 per cento.

Diversi fattori concorrono a determinare tale evoluzione:

  • il miglioramento della situazione sanitaria, associato ai progressi della campagna vaccinale;
  • gli interventi di politica di bilancio e monetaria senza precedenti adottati nel corso del 2020 e del 2021;
  • l’azione coordinata dei diversi paesi della domanda mondiale e un’intensificazione degli scambi.

Su quest’ultimo punto vorrei segnalare la performance positiva delle esportazioni.
Nelle ultime elaborazioni del Fondo Monetario Internazionale (World Economic Outlook di ottobre) l'Italia è tra le economie avanzate con il maggior dinamismo delle esportazioni: è seconda solamente al Giappone nel 2021 e alla Spagna nel 2022.
Questa dinamica positiva si riflette sul saldo corrente della bilancia dei pagamenti, che nel 2020 e nel 2021 è positivo per circa 3 punti e mezzo. Questo ci ha condotti, dopo diversi anni, a tornare a una posizione patrimoniale netta sull’estero positiva.
Al rafforzamento della domanda estera si è accompagnato quello della domanda interna, guidata dai consumi delle famiglie e dagli investimenti che, dopo i sostanziali segni di ripresa mostrati già a partire dalla seconda metà dello scorso anno, hanno fatto segnare ulteriori incrementi.
Quest’anno gli investimenti fissi lordi potrebbero aumentare del 15 per cento più che compensando la flessione del 2020 e salendo a quasi il 20 per cento del PIL.
Nelle previsioni del MEF la crescita degli investimenti fissi lordi resta nettamente superiore a quella del PIL anche nel triennio 2022-24.
Anche le condizioni del mercato del lavoro sono in graduale miglioramento, sebbene non siano ancora del tutto superate le conseguenze della crisi pandemica.
Nello scenario programmatico prevediamo una crescita del PIL pari al 4,7 per cento nel 2022, al 2,8 per cento nel 2023 e al 1,9 per cento nel 2024.
Vorrei rammentare che tassi prossimi al 2 per cento, come quello atteso per il 2024, sono risultati molto positivi in prospettiva storica: è dal 2001 che non si registra un ritmo di espansione analogo.

Il miglioramento della situazione congiunturale e sanitaria ha determinato anche un andamento dei conti pubblici più favorevole di quanto atteso in primavera.
Il deficit per l’anno in corso dovrebbe collocarsi al 9,4 per cento, in riduzione di 2,4 punti percentuali rispetto alle stime del DEF (in termini nominali, circa 40 miliardi in meno).
La NADEF inoltre certifica che il rapporto debito / PIL registrerà una riduzione già quest’anno, al 153,5 per cento, in discesa di circa 2 punti rispetto al 2020. Si tratta di un risultato importante che segnala la buona tenuta dei conti pubblici e la sostenibilità del nostro debito. Il punto di picco è stato superato.

Entro la fine del decennio stimiamo che il rapporto debito/PIL converga verso il livello precedente la crisi pandemica.

La riduzione del debito

  1. libererà risorse per altri utilizzi;
  2. attenuerà le pressioni sullo spread;
  3. accrescerà l’autonomia della nostra politica economica.

Ci consentirà inoltre di essere pronti per affrontare un futuro aumento dei tassi di interesse. Dovremo tornare a conseguire avanzi primari.
L’intonazione della politica di bilancio resterà espansiva fino a quando il PIL e l’occupazione avranno recuperato non solo la caduta, ma anche la mancata crescita rispetto al livello del 2019. Si può prevedere che tali condizioni saranno soddisfatte dal 2024 in avanti.
Il miglioramento del quadro di finanza pubblica tendenziale consente al Governo di adottare, con la prossima Legge di Bilancio, importanti interventi di rilancio del Paese, iniziando allo stesso tempo un percorso graduale di riduzione del debito pubblico.

Come indicato nel “Documento programmatico di bilancio per il 2022”, recentemente approvato, gli obiettivi della manovra di bilancio sono:

  1. sostenere l’economia nella fase di uscita dalla pandemia e
  2. rafforzare il tasso di crescita nel medio termine.

L’intonazione macroeconomica è ovviamente importante, ma ancora più importanti sono gli aspetti microeconomici (la composizione e la qualità delle politiche).

Le linee di intervento sono:

  • la riduzione del carico fiscale per famiglie e imprese,
  • il rafforzamento del sistema sanitario,
  • il sostegno degli investimenti pubblici e privati (immobiliari e industriali),
  • il rafforzamento del sistema della ricerca,
  • il sostegno alle politiche sociali, non vi può essere una crescita sostenuta se una parte della popolazione è lasciata indietro.

Le prospettive economiche risultano pertanto favorevoli e migliori di quanto si stimasse nella scorsa primavera.
Dobbiamo essere consapevoli che sono tuttavia presenti rischi al ribasso legati all’evoluzione della pandemia. A questo proposito, vorrei precisare che le nostre previsioni si basano su uno scenario in cui la situazione sanitaria continua a migliorare, a livello domestico, e anche a livello globale, e pertanto non si rendono necessarie misure restrittive di mobilità e contatti sociali.
Ulteriori rischi al ribasso sono legati all’andamento della domanda mondiale, alla carenza di materiali e componenti – i cosiddetti colli di bottiglia nelle catene globali del valore - e ai forti aumenti dei prezzi dell’energia registrati negli ultimi mesi.
La crescita dei prezzi energetici non riguarda solo l'Italia, ma interessa molti paesi europei e del resto del mondo. Il Governo è già intervenuto due volte per mitigare l’impatto sulle tariffe del rialzo del costo delle materie prime. Sulle bollette del terzo trimestre con un intervento di 1,2 miliardi e poi recentemente con un nuovo decreto legge con un intervento sulle bollette del quarto trimestre per 3,5 miliardi, con una serie di interventi differenziati su gas ed elettricità.

Nonostante queste misure l’aumento resta considerevole; pertanto la dinamica dei prezzi energetici è oggetto di costante monitoraggio, anche per individuare ulteriori eventuali misure.
Questi fattori – le strozzature dell’offerta e l’aumento dei prezzi energetici – hanno dato luogo a un aumento dell’inflazione significativo, in Italia e in altri paesi avanzati.
Si ritiene in genere che questo incremento sia prevalentemente temporaneo e che debba riassorbirsi, anziché tradursi in un rialzo persistente dell’inflazione.
Occorre valutare con molta attenzione un eventuale maggior radicamento di questi fenomeni al momento transitori.

Malgrado questi rischi al ribasso, le prospettive restano sostanzialmente positive.
È fondamentale che la ripresa sia rapida per consentire di recuperare il terreno perduto a causa della pandemia - dietro ogni decimo di PIL vi sono posti di lavoro e redditi di famiglie e imprese.
Al tempo stesso occorre rammentare che si tratta di un recupero, che segue la perdita di prodotto più profonda del periodo post-bellico.
Una volta consolidata tale ripresa, il banco di prova più difficile e importante per l’azione di politica economica – e per l’azione di Governo e per il Paese più in generale – risiede nella nostra capacità di rafforzare strutturalmente il potenziale per crescere e per creare occupazione.
Conta pertanto soprattutto la crescita che realizzeremo nel medio termine.
Nelle nostre stime, il tasso di crescita potenziale dell’economia, che era quasi nullo nel 2018-19, salirebbe nel 2024 all’1,5 per cento.

Conosciamo tutti la situazione di partenza. Una crescita anemica accompagna il Paese da oltre vent’anni portando con sé stagnazione dei redditi, maggiori difficoltà a gestire la finanza pubblica, emigrazione di molti giovani in cerca di retribuzioni e prospettive migliori.
Non aggiungerò ulteriori elementi, dato che il nostro strutturale problema di bassa crescita è stato già illustrato efficacemente dal Governatore.
Cambiare passo rispetto a questa tendenza è il vero nodo della politica economica del nostro Paese. Ne parliamo da anni.

Ci sono tre aree di intervento per sostenere la traiettoria della crescita economica di lungo periodo: occupazione, produttività e dotazione di capitale.
Dobbiamo migliorare sensibilmente la nostra performance in tutte e tre le dimensioni.
Il nostro Paese ha un tasso di occupazione molto basso. Alla fine del 2019, per la popolazione tra 20 e 64 anni, in media era pari al 63 per cento, contro il 72 per cento della Francia e l’81 della Germania - ci collochiamo penultimi in Europa. Sono divari enormi.
Per favorire una maggiore partecipazione al mercato del lavoro, la politica economica deve agire su più fronti.

Va innanzitutto disegnato un carico fiscale più favorevole ai fattori di produzione, in particolare al lavoro.

Il Disegno di Legge di Bilancio ha portato le risorse disponibili per la riduzione del prelievo fiscale a 8 miliardi; la riduzione del cuneo sul lavoro è uno degli obiettivi prioritari. Ricordo qui l’approfondito lavoro di ricognizione e di sintesi svolto dalle Commissioni Parlamentari e la bozza di legge delega. Governo e Parlamento devono continuare a lavorare assieme.

Va rafforzata l’efficacia delle politiche attive del mercato del lavoro per sostenere le persone nella ricerca di un’occupazione e nel reinserimento lavorativo.
Va potenziato il sistema di welfare, tenendo a mente il delicato bilanciamento coi disincentivi all’offerta di lavoro.
Va rafforzata l’offerta formativa affinché le competenze e le conoscenze acquisite a livello scolastico e universitario rispondano alle esigenze del sistema produttivo.
È anche indispensabile che le imprese crescano di dimensione e si collochino su segmenti di mercato a valore aggiunto e contenuto tecnologico elevati.
Abbiamo moltissime imprese innovative e con una spiccata proiezione esterna; sono quelle che hanno fortemente contribuito al recupero della nostra competitività degli ultimi anni, come mostra anche la sostanziale tenuta delle nostre esportazioni nel 2020, cui facevo cenno prima.
Nondimeno, nel confronto internazionale le imprese italiane sono in media relativamente piccole e faticano di più a innovare e a imporsi sui mercati globali.

Queste caratteristiche di impresa limitano la domanda di lavoro qualificato, le retribuzioni e le opportunità professionali, rendendo meno conveniente, dal punto di vista individuale, effettuare un significativo investimento nel capitale umano.

È inoltre fondamentale allargare quanto più possibile la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Ricordo che il tasso di occupazione femminile è in Italia di 20 punti percentuali inferiore a quello degli uomini.
Il superamento delle disuguaglianze di genere è una delle tre priorità fondamentali del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che segna un punto di svolta per la politica di parità di genere in Italia in termini di ampiezza e ambizione.
Il basso livello di occupazione complessiva è reso ancora più allarmante dall’evoluzione demografica italiana.
La contrazione della popolazione in età lavorativa che si verificherà nei prossimi decenni è difficilmente compatibile con una dinamica di crescita sostenuta.

Ricordo alcuni interventi che dovrebbero sostenere la natalità e la partecipazione femminile al mercato del lavoro.

  • l’assegno unico e universale per i figli, che ridisegna in un solo strumento il sostegno alle famiglie con figli.
  • le consistenti risorse destinate al potenziamento degli asili nido e delle scuole dell’infanzia, cui sono destinati 4,6 miliardi nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e resilienza. La manovra di bilancio stanzia inoltre significative risorse per garantire in futuro il funzionamento di queste scuole.
  • le misure di incentivo all’acquisto della prima casa da parte dei giovani (l’esenzione delle imposte di registro, ipotecarie e catastali).

Il nostro Paese soffre di un sostanziale ristagno della produttività da oltre 25 anni: dal 1995 il prodotto per ora lavorata è cresciuto di appena il 7 per cento, contro il 26 per cento dell’area dell’euro nel suo complesso, il 33 per cento del Regno Unito e il 48 per cento degli Stati Uniti.

I fattori che frenano lo sviluppo di queste capacità sono molteplici: si tratta di caratteristiche interne alle imprese (quelle di dimensione e di specializzazione che già citavo prima, ad esempio) e di fattori esterni, relativi al funzionamento dei mercati e all’efficienza delle istituzioni, come la giustizia e la pubblica amministrazione.

In questi due ambiti si concentrano gli interventi di riforma legati al PNRR.
Ricordo che la riforma della Giustizia mira a ridurre del 40 per cento i tempi dei procedimenti civili e il peso degli arretrati.

La riforma della Pubblica Amministrazione mira a renderla più moderna, efficiente e attenta alle esigenze di cittadini e imprese, di modo da poter accompagnare lo sviluppo economico.
A queste due riforme di sistema si accompagna un impulso alle semplificazioni, che renderanno più agile la realizzazione delle opere pubbliche, accelerando la transizione ecologica e la digitalizzazione.

Il terzo fattore chiave per la crescita di lungo periodo sono gli investimenti, in capitale fisico e capitale umano. Investiamo poco in entrambi.

Cominciamo dal primo. Gli investimenti complessivi, in rapporto al PIL, in Italia sono relativamente bassi: nel 2019 il 18,0 per cento, a fronte di una media del 22,2 nell’area dell’euro.
Il loro ammontare è sostanzialmente invariato rispetto a 20 anni prima, mentre negli altri paesi dell’area dell’euro è in media di oltre il 35 per cento più alto.
Da alcuni anni la politica economica sostiene gli investimenti.
Ricordo i fondi quindicennali introdotti con la Legge di Bilancio del 2016, finora hanno destinato agli investimenti quasi 200 miliardi fino al 2035.

Agli interventi ordinari si aggiunge il PNRR che mette in campo un pacchetto di investimenti di dimensioni senza precedenti. Nel complesso, il Piano e il Fondo nazionale complementare stanziano 222 miliardi da impiegare in poco più di cinque anni. Con i fondi di REACT-EU si giunge a 235 miliardi.
Sostanzialmente, si prevede il raddoppio dei volumi annuali di investimenti fissi realizzati dalle Amministrazioni Pubbliche negli ultimi anni.
Se sapremo spenderli bene e nei tempi previsti, il Piano potrà costituire un punto di svolta per la nostra dotazione di infrastrutture e per la crescita della nostra economia.

Nell’anno finale del Piano (il 2026) il DEF stima che il PIL sarebbe più alto del 3,6 per cento rispetto allo scenario tendenziale (in assenza di PNRR).
Un ulteriore impulso agli investimenti pubblici viene fornito dalla manovra di bilancio. Si stanziano ulteriori 70 miliardi per i fondi quindicennali (fino al 2036). Inoltre, il Fondo Sviluppo e Coesione verrà accresciuto di ulteriori 23 miliardi per il periodo 2022-30, per interventi prevalentemente destinati alle regioni del Mezzogiorno.

Come accennavo prima, gli ultimi dati congiunturali sono confortanti circa le prospettive di investimento delle imprese.
Occorre però che il rafforzamento dei piani di investimento sia duraturo; senza di questo rischiamo di non colmare il ritardo accumulato negli ultimi decenni.
Una spinta agli investimenti è resa ancora più urgente alla luce della trasformazione del capitale e delle infrastrutture dettata dai processi di transizione ecologica e digitale che le nostre economie e società debbono intraprendere. Ricordo qui i lavori sulle infrastrutture svolti in ambito G20.

La politica economica mira a rafforzare anche gli investimenti privati, in particolare quelli produttivi, ad esempio con il programma Transizione 4.0, già rifinanziato per il 2022, che viene esteso dalla Manovra fino al 2025, anche se con aliquote più basse. L’intento è quello di fornire un quadro di certezze di medio termine al sistema produttivo. Ricordo anche il prolungamento degli incentivi al settore immobiliare.
Inoltre, anche il PNRR sosterrà gli investimenti privati, attraverso incentivi diretti e le esternalità positive dell’accumulazione di capitale pubblico.

Il Piano e l’intervento pubblico in generale non sono tuttavia sufficienti per colmare il ritardo negli investimenti privati; il ruolo dell’iniziativa e del risparmio privati resta fondamentale.
Il sostegno agli investimenti privati da parte di banche e altri intermediari sarà indispensabile.

Le imprese stesse dispongono in media di ampie scorte di liquidità, anche per effetto dei massicci interventi pubblici di sostegno, che hanno scongiurato che temporanee crisi di illiquidità si trasformassero in perduranti fenomeni di insolvenza.

Dallo scoppio della pandemia (dalla fine del 2019 alla fine di agosto di quest’anno), i depositi delle imprese presso il sistema bancario sono aumentati di oltre 110 miliardi. Quelli delle famiglie di quasi 100.
Al momento sono ancora attive moratorie su circa 68 miliardi di prestiti; i prestiti assistiti da garanzia pubblica ammontano a circa 202 miliardi per le PMI e quasi 29 per le imprese più grandi. Nella Manovra vengono stanziati 3 miliardi per prorogare il programma di garanzie erogate dal Fondo per le PMI.

In questo frangente, è importante rendere più equilibrata la struttura finanziaria delle imprese, in particolare delle PMI, e rafforzare l’accesso ai finanziamenti a medio-lungo termine per investimenti. Nel corso di quest’anno sono state introdotte tre specifiche misure con queste finalità.

In primo luogo, è stato facilitato il ricorso a strumenti di debito alternativi al credito bancario, a esempio con l’introduzione dei cosiddetti basket bond.
Inoltre, si è previsto un regime transitorio di carattere straordinario nella disciplina dell’Aiuto alla Crescita Economica (ACE) per favorire la patrimonializzazione delle imprese di piccole e medie dimensioni.
Infine, è stata inoltre introdotta una garanzia di portafoglio con l’obiettivo di incentivare l’erogazione di credito bancario per progetti innovativi e/o di sviluppo.
Queste misure contribuiranno a rafforzare la capacità di investire delle imprese.

L’altro nodo chiave dell’investimento è quello nel capitale umano, che richiede un potenziamento consistente nella quantità e nella qualità dell’istruzione, e nell’attività di ricerca e sviluppo.
Il PNRR sta dando un importante contributo con interventi sull’intero ciclo di studio.

Diversi progetti del Piano mirano inoltre a sostenere la ricerca e favorire la sua integrazione con il sistema produttivo. Riguardano sia la ricerca di base che quella applicata, i centri di ricerca e trasferimento tecnologico e la partecipazione delle imprese italiane ai grandi progetti innovativi europei.

Nell’ambito della politica economica ordinaria, vi sono altre iniziative a sostegno alla ricerca, intraprese nella convinzione che questa sia una priorità per la crescita di lungo periodo della nostra economia.

Abbiamo istituito il Fondo italiano per la Scienza, le cui risorse saranno assegnate sulla base di procedure competitive secondo modalità consolidate a livello europeo. La dotazione di 150 milioni inizialmente prevista per il 2022 verrà aumentata nella Manovra a 250 milioni.

Si sta creando un fondo per la ricerca in campo tecnologico, che pure opererà su base competitiva.
Stiamo inoltre aumentando la dotazione del Fondo per gli enti di ricerca e stanziando ulteriori risorse per il rilancio del CNR.
Infine, stiamo incentivando la ricerca dei soggetti privati con incentivi fiscali. Oltre al credito d’imposta per promuovere la ricerca e lo sviluppo di farmaci innovativi, abbiamo esteso il credito di imposta per progetti ricerca e sviluppo fino al 2031.

Dobbiamo continuare su questa strada di rafforzamento della ricerca pubblica e privata. La durata degli interventi è cruciale: interventi anche molto generosi ma di breve durata non possono in genere incidere sulle strategie delle imprese.
L’azione dell’operatore pubblico, attraverso università, centri di ricerca, sostegno ai giovani ricercatori, è essenziale, ma non può bastare. L’apporto del settore privato è fondamentale e anche qui la dimensione di impresa è una variabile chiave.

Il sistema bancario può fornire un notevole contributo alla ripresa del nostro Paese.
Le riforme regolamentari varate a livello internazionale in risposta alla crisi finanziaria della fine del decennio passato e il sostegno pubblico all’economia hanno consentito di limitare l’impatto della crisi sulla redditività e sulla ponderazione media delle attività di rischio delle banche.

Ciò ha permesso al sistema bancario di svolgere una funzione essenziale di sostegno alla liquidità delle imprese, anche agendo da cinghia di trasmissione delle misure di supporto pubblico.

A oggi, le evidenze empiriche circa lo stato di salute del sistema bancario consentono un cauto ottimismo. I dati riferiti allo scorso giugno pubblicati dall’Autorità bancaria europea (EBA) evidenziano che i principali indicatori di solvibilità e redditività dell’industria bancaria italiana sono in linea con la media europea.

Anche la quota di crediti deteriorati (NPL ratio) su base lorda ha continuato a scendere e si attesta ben sotto il 4 per cento.

L’ottimismo non deve tuttavia far venir meno le dovute cautele. È importante che le proiezioni reddituali delle banche incorporino adeguatamente il potenziale deterioramento della qualità degli attivi a seguito della graduale rimozione delle misure di supporto emergenziale.

Guardando al futuro, il superamento della pandemia riorienterà l’attenzione del settore bancario dal sostegno alla liquidità delle imprese al supporto alla crescita di medio-lungo periodo.
Nella fase di ripresa dell’attività economica le banche dovranno affrontare varie sfide.
Dovranno assicurare un’accurata selezione del merito creditizio, che è una funzione fondamentale per la ripresa e per un’allocazione efficiente del risparmio verso impieghi produttivi e sostenibili.
Le banche dovranno rafforzare la loro capacità di offrire consulenza (advisory) alle imprese, e in particolare alle PMI, per accompagnarle verso un maggiore ricorso ai mercati dei capitali, così da differenziare la struttura del passivo, ancora sbilanciato sul credito bancario.
Un’altra sfida è rappresentata dalla digitalizzazione, che la pandemia ha accelerato. Gli operatori potranno sfruttare nuove opportunità, come quelle offerte dall’open banking nonché dagli instant payments che, in linea con la Retail Payment Strategy europea, diverranno presto il metodo più diffuso di pagamento.

Le banche sono chiamate ad adeguare i loro modelli organizzativi e operativi a questo nuovo mondo.
L’ultima sfida è rappresentata dalla transizione all’economia sostenibile, con particolare riferimento all’impatto climatico.
È un processo che richiede investimenti enormi, che in parte rilevante dovranno venire dal settore privato.
Le banche dovranno agire da catalizzatori di tale processo, anche attraverso l’analisi del merito di credito e la valutazione dei rischi.

Il ruolo della finanza sostenibile, sul quale l’agenda del G20 ha posto una speciale attenzione, è infatti cruciale.
Il conseguimento di una transizione verde efficace, rapida e inclusiva richiede la predisposizione di una strategia ambiziosa da parte di tutti i diversi attori coinvolti: i governi e i regolatori, le imprese e naturalmente anche il sistema finanziario, che dovrà mobilizzare ingenti risorse per una profonda trasformazione tecnologica.
Inoltre, il coordinamento tra questi operatori sarà fondamentale, e questo è uno dei messaggi chiave sul tavolo della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP26) che si terrà a Glasgow in novembre.

Mi accingo a concludere sottolineando come la crescita debba essere inclusiva. L’inclusività è uno dei tre obiettivi del Next Generation EU e del nostro Piano.
In questo contesto, le fondazioni bancarie possono svolgere un ruolo molto importante.
Un contributo in tal senso è stato già fornito nel corso della crisi pandemica, quando l’attività istituzionale delle Fondazioni di origine bancaria, è notevolmente aumentata. Ciò è stato reso possibile dall’utilizzo, in funzione anticiclica, delle risorse disponibili accantonate negli esercizi precedenti proprio per fare fronte a periodi di difficoltà.

Nella prima metà dell’anno, l’azione del Governo si è concentrata

  1. da un lato, sulla gestione dell’emergenza pandemica,
  2. dall’altro, sulla definizione e l’avvio del PNRR, comprese le riforme di cui ho detto prima.

Adesso la nostra priorità è instradare l’economia su un sentiero di crescita strutturalmente più alto nel medio-lungo termine.

È una sfida ambiziosa che passa per una strategia che sappia incidere sull’occupazione, sugli investimenti e sulla produttività in modo deciso.
Rispetto a ogni intervento di politica economica, dobbiamo domandarci se potrà produrre benefici tangibili sull’Italia del 2025, del 2030, del 2050.
Questo è l’orizzonte temporale di riferimento per una strategia di politica economica (e, più in generale, per un’azione di governo) che voglia gettare le basi di un’economia e di una società prospere, sostenibili e inclusive.

Inoltre, dobbiamo sempre ricordarci che facciamo parte di un’unione economica e monetaria e che siamo un Paese caratterizzato da una tradizionale apertura internazionale.
Il disegno della nostra agenda di lungo periodo non può prescindere dall’evoluzione degli scenari esterni.
Deve essere fortemente radicato in una lucida analisi del contesto mondiale in cui operiamo ed essere orientato al coordinamento internazionale.

Spesso il dibattito pubblico si sofferma su temi dal respiro corto, che tendono a trascurare i cambiamenti strutturali di carattere globale che condizionano i meccanismi economici in modo permanente.

La Presidenza italiana del G20 è stata un’occasione per porre nuovamente quest’ottica globale al centro della nostra agenda e per riappropriarci di un ruolo importante nel coordinamento multilaterale tra paesi.

A questo proposito, vorrei ricordare i principali risultati raggiunti dalla nostra Presidenza.

  • L’accordo sulla tassazione delle multinazionali;
  • L’aiuto ai paesi più vulnerabili, in particolare l’accordo su una nuova ingente allocazione dei diritti speciali di prelievo del FMI;
  • Il deciso impegno per la gestione dell’emergenza sanitaria e per la prevenzione e una gestione coordinata delle pandemie future. La Presidenza italiana ha inoltre promosso un forte collegamento tra i lavori del filone finanziario e i colleghi dei ministeri della salute.
  • Ricordo anche l’enfasi trasversale sulla lotta al cambiamento climatico, che, superata la pandemia, torna a essere la sfida globale più importante e più difficile.

Il raggiungimento di questi risultati è frutto di una visione d’assieme e di un impegno e uno sforzo corali, di tutti i soggetti coinvolti, sia a livello nazionale, nell’ambito della nostra Presidenza, che dei diversi paesi del G20.
Gli stessi ingredienti sono essenziali nell’ambito della strategia per la crescita del nostro Paese.

Sono certo che il sistema bancario e finanziario sarà parte attiva di questo processo, fornendo un contributo concreto al conseguimento degli obiettivi che ho prefigurato.

Grazie per la vostra attenzione.

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