Benvenuto sul sito del Ministero dell’Economia e delle Finanze, conosciuto anche come Portale mef

Contenuto principale

Il ministro Franco: «Al G20 accordo vicino sulle tasse alle multinazionali»

Corriere della Sera - 01/07/2021

Intervista a cura di Federico Fubini

Ha fiducia che il G20 possa raggiungere un accordo complessivo sulla tassazione minima internazionale a carico delle grandi aziende? Vede ostacoli importanti?
«L’accordo sulla riforma fiscale internazionale si basa su due pilastri. In primo luogo, c’è la questione della riallocazione dei profitti; poi c’è la questione della tassazione minima a livello globale. Raggiungere un accordo su questi due pilastri sarebbe della massima importanza. Ci permetterebbe di costruire un sistema fiscale capace di affrontare le conseguenze negative della globalizzazione e della digitalizzazione. Le nuove regole aiuterebbero i governi a combattere l’erosione delle basi imponibili e il profit shifting (il trasferimento contabile dei profitti verso giurisdizioni con aliquote effettive bassissime, ndr). Vedo l’opportunità concreta di raggiungere un accordo sugli elementi fondamentali dei due pilastri nella prossima riunione ministeriale del G20 a Venezia. Molto lavoro è stato fatto, ma ci sono vari dettagli che devono essere definiti tra questa riunione ministeriale e la prossima in ottobre, che sarà seguita dalla riunione dei capi di Stato e di governo. I prossimi mesi serviranno a mettere a punto tutti questi dettagli. Il consenso sulla necessità di andare avanti è ampio. Non è un processo facile perché i sistemi fiscali sono complessi e molto diversi, dato che riflettono le singole specificità nazionali ed evoluzioni storiche differenziate. Abbiamo davvero sistemi fiscali diversi, trovare una soluzione comune non è semplice. Una soluzione a livello internazionale implica necessariamente che tutti i paesi siano pronti a fare qualche concessione. Ma credo che le lacune che restano possano essere colmate e che raggiungeremo un accordo».

Il clima internazionale a suo avviso spinge nella direzione di un’intesa?
«Il clima è cambiato. L’aria che si respira nel G7 e nel G20 segnala una forte consapevolezza che i regimi nazionali sono ormai inadeguati per la tassazione dei profitti delle grandi imprese che operano su scala multinazionale, sfruttando le leve della globalizzazione e della digitalizzazione. Solo un assetto internazionale condiviso consentirà di tassare queste società in modo che sia, insieme, equo ed efficace».

A quanto pare la Cina sta resistendo a qualsiasi accordo del G20 sulla tassazione minima globale, forse perché cerca di proteggere le proprie zone economiche speciali e le operazioni dei giganti tecnologici cinesi nei paradisi fiscali. Senza il sostegno di Pechino, i paesi del G7 possono raggiungere un accordo al G20?
«Il dialogo con la Cina è amichevole. Venerdì scorso ho avuto una lunga telefonata con il ministro delle Finanze Liu Kun e la Cina è impegnata a continuare il dialogo. Le indicazioni sono positive, sono stati fatti progressi significativi a livello tecnico, anche se c’è ancora molto lavoro da fare. Tutti i paesi, compresa la Cina, sono consapevoli che un accordo globale è ora possibile e che è un’opportunità che nessuno dovrebbe perdere. Credo che nessun paese voglia essere quello che blocca un accordo mondiale. La Cina ha mostrato un approccio costruttivo e aperto e sono fiducioso che troveremo una soluzione con loro sulle questioni in sospeso. Devo sottolineare che siamo grati alla Cina per il sostegno fornito alla Presidenza italiana quest’anno nei gruppi di lavoro del G20».

La prima parte della riforma sulla tassazione delle multinazionali un complesso accordo di suddivisione del gettito sulle entrate raccolte.A proposito, si sente dire che Amazon per qualche motivo sarebbe esente. Come potrebbe funzionare l’accordo nella pratica?
«Il primo pilastro riguarda le regole di ripartizione dei profitti; queste si applicheranno a tutte le multinazionali con un fatturato globale significativo e un’elevata redditività, indipendentemente dal settore. Il campo di applicazione include ovviamente le aziende digitali, ma non solo loro. Le soglie di fatturato e di redditività sono ancora in discussione. Credo che non siamo lontani da un accordo. I profitti saranno ridistribuiti sulla base di un nuovo nesso con le giurisdizioni dove effettivamente le multinazionali conseguono ricavi dalla vendita di beni e servizi. Una questione importante per le multinazionali è la certezza fiscale. Questa dovrà essere un elemento dell’accordo, poiché dobbiamo introdurre nuovi meccanismi efficaci di prevenzione e risoluzione delle controversie fiscali, che impediscano qualsiasi forma di doppia imposizione. Per quanto riguarda il secondo pilastro, quello sulla tassazione minima effettiva, le nuove regole sono pensate per garantire che le multinazionali siano soggette a un livello minimo di imposizione fiscale in ogni giurisdizione in cui operano. Il punto chiave è che questo tasso minimo di tassazione effettiva non dovrebbe essere a un livello troppo basso. In ambito OCSE e G20 non vogliamo un livellamento verso il basso delle aliquote minime. Gli Stati Uniti hanno proposto un’aliquota minima effettiva di almeno il 15%. A Venezia, il dialogo continuerà».

E Amazon?
«Vedremo. Non voglio entrare ora in questi dettagli. Non è utile fare nomi di aziende in questo momento».

Lei si dice fiducioso che il G20 trovi un accordo. Ma se guardiamo all’UE, vediamo già una serie di approcci diversi. Da una parte paesi come l’Italia, la Spagna e la Francia hanno già delle “web tax”. Alcuni rischiano addirittura di perdere entrate fiscali con la “global minimum tax”. Dall’altro lato abbiamo - alcuni dicono - “paradisi fiscali” come Irlanda, Olanda, Malta e altri. Una volta raggiunto un accordo del G20 con la Cina, come si può far sì che tutta Europa si adatti ad esso?
«La dimensione dell’Unione europea è importante per un accordo mondiale. Nell’UE ci sono soluzioni e approcci diversi, ma non credo che l’Unione sia o sarà divisa su questo in futuro. Direi piuttosto che è fondamentale rafforzare la cooperazione e il sostegno reciproco, in modo da non perdere l’occasione di trovare un accordo globale. Per quanto riguarda le “web tax” nazionali, è chiaro che saranno abrogate una volta che i nuovi pilastri saranno pienamente applicati nei prossimi anni. Questi aspetti saranno definiti in ottobre, con il nostro secondo ciclo di discussioni nel G20. Non vedo il rischio di perdere entrate fiscali, perché stiamo passando dalle tasse nazionali a un nuovo sistema globale. Ovviamente, seguirà una discussione in Europa. Ma sono fiducioso che un nuovo standard comune a livello internazionale creerà le condizioni per un accordo nell’Unione. Di accordi ne abbiamo fatti tanti in passato e lo stesso sarà in futuro».

Il G20 sta per discutere un rapporto sui servizi sanitari dopo Covid. Quali conclusioni si aspetta?
«La pandemia ha inflitto costi terribili in termini di sofferenze e vite umane. E ha prodotto anche pesanti costi economici. C’è una lezione da imparare: dobbiamo essere tutti più preparati per il futuro, insieme. Per i bisogni più immediati delle prossime settimane e mesi, la risposta globale si è concentrata sull’acceleratore per l’accesso agli strumenti contro Covid-19 (ACT-A), e sul suo pilastro vaccinale, COVAX. Dobbiamo continuare con decisione a sostenere questo sforzo. In parallelo, il G20 sta lavorando su come prepararsi a shock simili in futuro. A gennaio abbiamo istituito un gruppo indipendente di alto livello, proposto dalla Presidenza italiana. Al gruppo è stato chiesto di identificare le lacune del sistema finanziario per la prevenzione, la preparazione e la risposta alle pandemie. Il rapporto del gruppo sarà presentato a Venezia e ci aspettiamo che si concentri su due questioni principali. In primo luogo, come aumentare gli investimenti su beni pubblici globali per la prevenzione, la preparazione e la risposta alle crisi sanitarie. E secondo, come rafforzare la governance globale. La lezione dell’ultimo anno è che il mondo non era del tutto preparato. Il dibattito su questi temi è stato intenso nella comunità sanitaria globale e tra gli economisti e gli esperti di finanza. Credo che una visione comune stia emergendo e il G20 è il luogo giusto per esaminare proposte in questo senso. Discuteremo il rapporto e vedremo come procedere. Penso che la strada da seguire sia una riunione congiunta tra i ministri della Salute e i ministri delle Finanze per formulare delle proposte in vista del vertice dei capi di Stato e di governo del G20 in ottobre. Questo sforzo dovrebbe continuare anche dopo la Presidenza italiana. Sono felice che abbiamo avviato il lavoro, ma certamente proseguirà».

Il cambiamento climatico è un altro grande tema all’attenzione del G20 quest’anno. Abbiamo compreso appieno i costi e le conseguenze economiche della transizione energetica?
«Il cambiamento climatico è uno dei temi essenziali [centrali?] del G20. La Presidenza italiana ha tre pilastri principali: “Persone, pianeta e prosperità”. Non possiamo promuovere una prosperità condivisa per tutti senza prenderci cura del nostro pianeta. Questo tema è diventato parte integrante dell’agenda del G20 Finanze. È ormai riconosciuto che il cambiamento climatico e il degrado ambientale hanno un forte impatto sulla performance dell’economia. C’è anche un ampio consenso sul fatto che la transizione verso emissioni nette pari a zero sarà raggiunta solo se il sistema finanziario globale è pienamente coinvolto. Il G20 Finanze potrà essere decisivo per costruire un efficiente mercato finanziario verde e per sostenere progetti ecologici nelle nostre strategie di ripresa. Quest’anno abbiamo rilanciato il gruppo di studio del G20 dedicato alla finanza sostenibile. L’abbiamo trasformato in un vero e proprio gruppo di lavoro. L’idea è di avere un forum permanente per discutere le questioni climatiche. Il gruppo si sta ora concentrando su tre priorità: la rendicontazione aziendale sui temi della sostenibilità, i diversi approcci per gli investimenti sostenibili e il ruolo delle istituzioni finanziarie internazionali. Sono molto felice che la Cina e gli Stati Uniti abbiano accettato di co-presiedere questo gruppo, che ha l’opportunità di accelerare gli sforzi per affrontare la sfida del clima. Il G20, il G7 e la COP26 vanno tutti nella stessa direzione. Abbiamo bisogno di un approccio comune che includa anche il settore privato, importanti operatori del mercato e i cittadini. A luglio organizzeremo anche un simposio del G20 incentrato sulla questione della tassazione, inclusa quella del carbonio. Aumentare le tasse sull’uso dell’energia può essere un modo per accelerare la transizione verso un’economia a emissioni nette a zero. Non è il solo strumento. Se ne possono usare anche altri: per esempio la regolamentazione, la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie».

Ma le famiglie europee dovranno pagare un prezzo più alto sull’elettricità rispetto ad oggi, se si accelerano gli sforzi di decarbonizzazione?
«Beh, dipende dal punto di partenza. In alcuni paesi l’elettricità è già costosa, quindi non credo che ci sia una risposta comune per tutti. Dipende dal punto di partenza».

L’Europa e l’economia globale stanno registrando una crescita del PIL più forte del previsto e un’inflazione più alta del previsto nel 2021. Secondo lei, è un rimbalzo post-recessione o l’inizio di una ripresa sostenuta con rischi al rialzo sui prezzi?
«Il balzo dell’inflazione che vediamo soprattutto negli Stati Uniti sembra essere in parte dovuto a fattori transitori. Questi derivano principalmente dal rimbalzo nei prezzi dell’energia e delle materie prime dopo i minimi raggiunti durante la pandemia e dalla carenza di componenti intermedi, dovuta alla combinazione di una domanda crescente e di investimenti insufficienti per adeguare la capacità produttiva. Per esempio, questo vale nell’industria dei semiconduttori. Se si guarda oltre l’immediato, credo che le politiche monetarie e di bilancio accomodanti, l’aumento degli investimenti pubblici e i cambiamenti nelle catene globali del valore porteranno probabilmente a un’inflazione di fondo più elevata. Ma stiamo partendo da un livello molto basso. Stiamo partendo da una situazione in cui le banche centrali cercano da tempo di far salire il tasso di inflazione. L’aumento di cui parlo sarà moderato e sarà coerente con l’obiettivo dei responsabili di politica economica di aumentare la crescita del PIL nominale. Credo che nell’area dell’euro siamo sulla buona strada verso questo scenario, ma dovremmo monitorare attentamente l’andamento dei salari e dei prezzi per verificare che la ripresa dell’inflazione resti moderata».

L’anno scorso il G7 e il G20 hanno raccomandato ai governi di andare avanti a tutta forza con il sostegno delle politiche di bilancio. Pensa che questa volta il comunicato del G20 potrebbe includere qualche messaggio nuovo?Si aspetta che raccomanderà di mantenere il sostegno fiscale agli attuali livelli elevati o di ritirarlo gradualmente rendendolo più mirato, magari puntando sugli investimenti piuttosto che sul sostegno di emergenza per famiglie e imprese?
«Non posso anticipare il contenuto della dichiarazione del G20, ci stiamo lavorando. Ma come si può vedere dal più recente comunicato del G7, c’è un ampio consenso sul fatto che le politiche di bilancio e monetarie debbano restare accomodanti per tutto il tempo necessario ad alleviare le conseguenze sociali della pandemia, riportare il PIL e l’occupazione ai livelli pre-crisi e a tornare sulle traiettorie di crescita di prima della crisi. Le prospettive economiche globali stanno migliorando, in particolare in alcuni paesi avanzati, grazie ai progressi nella vaccinazione e al continuo sostegno delle politiche economiche. Eppure la ripresa resta molto disomogenea. Alcuni paesi emergenti e la maggior parte dei paesi a basso reddito sono in ritardo, perché i tassi di contagio sono ancora preoccupanti e il rischio di diffusione di nuove varianti è reale. Quindi le situazioni sono diverse da paese a paese, non c’è una soluzione unica per tutti. Ma possiamo certamente concordare sull’idea che, man mano che la situazione epidemica migliora, il sostegno delle politiche di bilancio dovrebbe spostare il proprio focus dalla reazione immediata alla crisi al sostegno alla crescita. Anche se le condizioni differiscono a livello internazionale, un approccio coordinato è della massima importanza per evitare divergenze ulteriori, che rischiano di influenzare in modo negativo le prospettive di crescita a lungo termine. Ovviamente, a un certo punto in futuro i livelli di disavanzo dovranno essere ridotti, e anche i livelli dell’incidenza del debito sul prodotto dovranno tornare a scendere significativamente e gradualmente. Una politica di bilancio prudente nel medio termine, insieme alla crescita economica, permetterà ai nostri Paesi di ridurre il debito in proporzione al PIL. Su questo siamo tutti d’accordo, credo, ma l’attenzione ora va ancora all’uscita da questa recessione e a come sostenere le nostre economie fino a quando non saremo in sicurezza».

Lei ha detto che dovremmo passare dalla risposta alla crisi a politiche fiscali favorevoli alla crescita. Come lo tradurrebbe in un modo che sia chiaro ai non addetti ai lavori?
«Penso che la politica economica dovrebbe diventare sempre più mirata a sostenere settori, categorie, famiglie o cittadini in difficoltà. Dovremmo diventare sempre più selettivi, per poi concentrarci su quegli strumenti che ci permetteranno di crescere a un ritmo stabile dopo la pandemia. Dobbiamo raggiungere un tasso di crescita continuo e significativo, dopo aver eliminato gradualmente le politiche introdotte durante l’emergenza».

L’Eurozona reintrodurrà le regole di bilancio entro il 2023. Pensa che il Patto di Stabilità debba essere modificato prima di allora? In caso di riforma, quali sono le sue priorità?
«Siamo a favore dell’estensione della clausola di sospensione generale delle regole al 2022. E siamo per la riapertura di un dibattito sulla riforma delle regole di bilancio dell’UE, a partire dalla seconda metà di quest’anno. Penso che nei prossimi trimestri dovremmo evitare una stretta prematura della politica di bilancio in Europa che rischierebbe di inficiare l’impulso alla crescita indotto dal progetto Next Generation EU. Prima di intraprendere un graduale processo di risanamento di bilancio, dobbiamo tornare alle tendenze di prima della crisi in termini di traiettoria di crescita del PIL reale, non solo al livello di PIL. Quanto alla riforma delle regole di bilancio, credo che le nuove regole debbano evitare effetti pro-ciclici. Dovrebbero anche essere disegnate in un modo che siano ragionevolmente semplice da gestire e da far rispettare. Vale anche la pena considerare un sistema che i paesi e i cittadini dei vari paesi sentano come proprio, comprese le misure necessarie al suo rispetto. Il dibattito inizierà più avanti nell’anno in corso e continuerà il prossimo. Confido che troveremo una soluzione».

Pensa che ci saranno regole diverse per i paesi più indebitati della zona euro? O le stesse per tutti?
«Le regole dovrebbero applicarsi a tutti. Quindi penso che saranno omogenee. Ovviamente i paesi ad alto debito dovrebbero ridurre il rapporto fra debito e PIL, come ho detto prima».

Il candidato della CDU tedesca Armin Laschet ha già avvertito che “la festa è finita” e dobbiamo tornare a regole di bilancio forti. Il ministro delle finanze austriaco ha detto che per lui è “immorale” per i paesi ignorare le regole di finanza pubblica e poi chiedere solidarietà agli altri. Teme che nell’Europa post-Covid le divisoni fra Nord e Sud, fra falchi e colombe, possano riemergere?
«In un’unione monetaria le regole sono necessarie. Nessun paese dovrebbe ignorarle e poi chiedere solidarietà dopo averle ignorate. L’emergenza che abbiamo affrontato a causa della pandemia è stata senza precedenti per natura e dimensioni. Sospendere le regole è stata la decisione giusta. Quando finalmente supereremo la crisi, le regole saranno ripristinate. Discuteremo sui tempi e sul percorso da seguire. Ma ovviamente le regole devono tornare. Poi discuteremo se le regole saranno le stesse di prima o andranno modificate. Ho fiducia che raggiungeremo un accordo. I paesi dell’UE lo hanno sempre fatto in passato e credo che questa volta non sarà un’eccezione. L’esperienza dell’anno scorso dimostra che gli Stati membri possono raggiungere rapidamente un’intesa anche all’unanimità. Quindi, per rispondere alla sua domanda: no, non credo che ci sia un rischio. Penso che raggiungeremo un’intesa fra tutti. Forse avremo un dibattito vivace come al solito, ma alla fine, raggiungeremo un consenso».

Italia e Spagna hanno una grande responsabilità nell’uso dei fondi del Recovery. Pensa che questa volta i paesi del Sud saranno in grado di trarre benefici dal programma e introdurre le riforme necessarie?
Se fallissimo, quali sarebbero le conseguenze per l’Unione europea?
«Ho fiducia che useremo bene i fondi. Questo è il nostro impegno. Riguarda sia i progetti d’investimento che le riforme disegnate per accelerare l’introduzione dei progetti d’investimento. Questa è la nostra priorità. Il successo sarà importante, prima di tutto, per i singoli paesi e poi per l’Unione europea nel suo insieme.

La parte di popolazione che esita a farsi vaccinare può creare dei rischi per gli altri e, oltretutto, rallentare le riaperture e la ripresa. Secondo lei i paesi occidentali devono continuare a basarsi sulle adesioni volontarie alla vaccinazione o per esempio istituire la vaccinazione obbligatoria?
«È una questione delicata dal punto di vista etico. Di sicuro stiamo utilizzando tutti i vaccini disponibili ogni giorno, finora. Vedremo alla fine quante persone non si sono vaccinate e decideremo cosa fare. Questa è una questione che riguarda il nostro ministro della Salute e i suoi colleghi dell’UE. Come ho detto, è una questione con profonde implicazioni etiche. Ma finora stiamo procedendo velocemente e abbiamo quasi un terzo della popolazione completamente vaccinata e più della metà della popolazione che si è sottoposto almeno a un’iniezione».

Elenco dei Tag. Di seguito sono elencate le parole chiave associate ai contenuti di questa pagina. Selezionando il TAG potrai individuare facilmente altre pagine o argomenti correlati.