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L'intervento del ministro Gualtieri al Rome Investment Forum 2019

09/12/2019

L'intervento del ministro dell'Economia e delle Finanze, Roberto Gualtieri, all’edizione 2019 del Rome Investment Forum

Sono molto lieto di avere l’opportunità anche quest’anno, sia pure in una veste diversa, questa volta nella lingua italiana, di partecipare a questo appuntamento, di alto livello, che si conferma come un forum di primissimo piano per discutere e affrontare temi decisivi per il futuro dell’Europa e dell’Italia.
L’evento di quest’anno si colloca in un momento particolarmente importante, all’indomani dell’insediamento della nuova Commissione europea, l’apertura di un nuovo ciclo europeo, una Commissione il cui programma – avete ascoltato Paolo Gentiloni – ha suscitato forti aspettative per la sua enfasi sul tema della crescita sostenibile, per la proposta, da noi fortemente sollecitata, di un Green Deal europeo.

Un Green Deal europeo non è solo una necessità per ridurre le emissioni, raggiungere la carbon neutrality per il 2050, contrastare i mutamenti climatici, ma è anche una straordinaria opportunità per rilanciare la crescita e l’innovazione e, vorrei dire anche, per dare un’anima, uno scopo e una intellegibilità politica e democratica al necessario rilancio del processo di integrazione europea.
Anche la nostra legge di bilancio si colloca in questo orizzonte, in questa prospettiva. Il Presidente Conte ne ha illustrato bene i caratteri, le misure, e in particolare il fortissimo impegno per il rilancio degli investimenti, pubblici e privati, nell’orizzonte dell’innovazione e della sostenibilità.

Io vorrei quindi concentrarmi, soffermarmi di più sulle sfide a livello europeo e permettetemi da questo punto di vista una breve digressione di natura metodologica e storico-politica.
I due driver principali del processo di integrazione sono stati fino adesso, in sostanza, il mercato unico, edificato sulla base del mercato comune, e la moneta unica, a sua volta sviluppo e condizione del mercato unico. Quindi la costruzione dell’Unione economica e monetaria, dell’Unione bancaria e dell’Unione del mercato dei capitali si sono configurate essenzialmente come sviluppo, prolungamento, completamento del mercato unico e della moneta unica.

In questo quadro, i progressi realizzati negli ultimi anni sono stati, ancorché parziali, significativi, anche per effetto della crisi economico-finanziaria che ha sollecitato le tre innovazioni più rilevanti degli ultimi anni: l’ampliamento degli strumenti utilizzati dalla Banca Centrale europea sulla base dell’articolo 18 del suo statuto (operazioni di credito e di mercato aperto), che ha portato al famoso “whatever it takes” e alle Outright Monetary Transactions e al Quantitative Easing, l’introduzione della vigilanza unica e di un meccanismo unico di risoluzione, e l’introduzione del Meccanismo Europeo di Stabilità attraverso cui fornire assistenza finanziaria condizionale a Stati membri in difficoltà, per salvaguardare la stabilità finanziaria e l’integrità della zona euro.

Nella legislatura che poi si è appena conclusa sono state approvate alla fine quasi tutte, tranne una, le proposte legislative presentate dalla Commissione sulla Capital Markets Union, si è implementata l’Unione Bancaria con l’attivazione concreta della vigilanza unica, della risoluzione unica, e due importanti innovazioni hanno consentito di superare l’impianto più rigido delle politiche di austerità affermatesi negli anni precedenti: cioè la flessibilità nell’interpretazione del Patto di Stabilità e di Crescita, e il piano Juncker, volto a affrontare il gap di investimenti, ereditato dalla crisi e i fallimenti di mercato con lo strumento, appunto, di un fondo europeo di garanzia a supporto della lending capacity della BEI.
Questo insieme di misure, di riforme e di politiche ha consentito sì di raggiungere risultati positivi ancorché insufficienti – vorrei dire – in termini di crescita dell’economia, di stabilità finanziaria e di aumento degli investimenti.

Tuttavia, se andiamo però ai nodi irrisolti, ai nodi di fondo, noi vediamo che di fronte alle sfide economiche, sociali e politiche che l’Europa ha dinanzi a sé, è apparso anche evidente che quell’impostazione del processo di riforma e di evoluzione del mercato unico e della moneta unica ha anche conosciuto, incontrato, un suo limite intrinseco e nonostante i vari rapporti dei quattro e poi dei cinque presidenti, l’obiettivo di perseguire il processo di integrazione intorno al concetto del completamento delle varie “unioni” (completiamo l’unione economica e monetaria, completiamo l’unione bancaria, completiamo l’unione dei mercati dei capitali) alla fine ha incontrato – quando si è andati a nodi più profondi – degli ostacoli difficilmente sormontabili, che abbiamo visto e vediamo, quando poi si è trattato per esempio – faccio solo alcuni esempi – di riformare in profondità le tre ESAs, di introdurre la garanzia comune dei depositi o un bilancio della zona euro.
Insomma, l’idea di un completamento dell’Unione economica e monetaria, dell’Unione bancaria, dell’Unione del mercato dei capitali nella pura logica funzionalistica di un mero sviluppo e approfondimento del mercato unico e dell’Unione monetaria ha mostrato e mostra la sua inadeguatezza di fronte agli ostacoli politici interni e alle concrete sfide economiche che l’Unione si trova ad affrontare.

Quello che io trovo convincente e promettente – naturalmente poi verificheremo, c’è anche qui una forma di ottimismo della volontà – nell’impostazione della nuova Commissione europea e che appare in linea con le idee e le proposte che il governo italiano ha affermato in questi mesi e che intende presentare in forma più compiuta nelle prossime settimane, è quello che potrei definire il passaggio dal primato degli strumenti a quello degli obiettivi, cioè partire prima dall’individuazione precisa degli obiettivi che occorre raggiungere, e che con ogni evidenza nessuno Stato Membro da solo potrà conseguire, e utilizzare in modo organico e coordinato le diverse leve di cui dispone l’Unione per realizzarli, collegando in modo più chiaro e diretto le riforme e le politiche necessarie nei vari ambiti appunto a tali obiettivi.

Potremmo dire che è quasi una sorta di ritorno alle origini, quando il primo embrione di comunità europea si formò intorno all’obiettivo molto concreto di una gestione comune del carbone e dell’acciaio. Da lì scaturì il processo successivo.
Oggi qual è l’obiettivo? Oggi occorre definire e praticare una strategia industriale comune che consenta alle imprese europee di ridurre le emissioni e il consumo delle risorse, di sviluppare tutte le opportunità della digitalizzazione, recuperando una leadership europea nelle nuove tecnologie.
Quindi la sfida della transizione climatica e digitale deve essere affrontata per sviluppare la vocazione manifatturiera e produttiva dell’Europa, e al tempo stesso, per rilanciare il modello sociale europeo basato sul welfare universalistico, la coesione sociale e quella territoriale.

Questa sfida richiede una mobilitazione straordinaria di investimenti pubblici e privati e al tempo stesso una capacità inedita di promuovere una politica industriale e una politica economica per guidare e orientare questa transizione.
Quindi in questo quadro, anche la riforma dell’Unione Economica e Monetaria, il completamento dell’Unione Bancaria, la costruzione dell’Unione del mercati dei capitali – che sono i temi al centro di questo convegno, ci sarebbero molti altri aspetti da affrontare in modo organico – rivestono un’importanza cruciale, perché sono condizioni per la realizzazione di questi obiettivi – senza lo sviluppo di questi strumenti non si realizzano quegli obiettivi – e, al tempo stesso, però per consentire di superare lo stallo che si è verificato negli ultimi anni, per evitare di limitarci ad avere un nuovo rapporto dei quattro, dei cinque presidenti, vanno collocati all’interno di questa strategia più generale, appunto, chiamiamolo il Green European Deal, che richiede il concorso e la coerenza di tutto l’insieme delle politiche europee: di quelle della concorrenza, di quelle del mercato interno, di quelle della tassazione, di quelle relative all’utilizzo dei fondi strutturali e della edificazione del pilastro sociale, oltre che delle varie dimensioni dell’azione esterna.

Per quanto riguarda l’Unione economica e monetaria, l’impegno preso da Ursula von der Leyen nel suo recente discorso di fronte al Parlamento Europeo di “utilizzare la flessibilità consentita dal Patto di Stabilità e Crescita per dare alla nostra economia il tempo e lo spazio necessari per crescere” appare positivo, in linea con quelle che erano le nostre richieste, nell’accordo politico che ha portato al sostegno, alla formazione della nuova Commissione. E questo è positivo soprattutto in una congiuntura economica difficile che richiede – come ha ricordato anche Paolo Gentiloni – un più deciso e coordinato utilizzo della leva della politica fiscale. Al tempo stesso – anche qui richiamo le parole pronunciate poco fa da Paolo Gentiloni – di fronte agli evidenti caratteri che fanno vedere come il Patto di Stabilità e Crescita risenta anche del contesto storico-politico in cui è stato definito e riformato, è evidente che sarebbe importante e utile che questa flessibilità fosse ora più orientata e rafforzata incontro agli specifici obiettivi di policy che intendiamo perseguire a partire appunto da quello di incoraggiare gli investimenti per la sostenibilità e l’innovazione nel quadro del Green European Deal. Questo può avvenire attraverso una revisione delle regole del Patto di Stabilità con l’introduzione a livello legislativo della famosa limited green golden rule che abbiamo iniziato a discutere, può avvenire attraverso una riformulazione e uno sviluppo della clausola degli investimenti già introdotta con la comunicazione sulla flessibilità e già ampliata in relazione al piano Juncker e a InvestEU. Devo dire che io stesso, alla luce di questo approccio orientato ai risultati più che agli strumenti, io sono abbastanza neutrale, mi interessa che, appunto, nell’uno o nell’altro modo questo elemento ci consenta di passare da un limitato e generalizzato utilizzo della flessibilità a una flessibilità mirata e rafforzata e coerente con l’obiettivo di policy del sostegno, dell’incoraggiamento, degli investimenti, nella direzione dell’innovazione e della sostenibilità, economica, ambientale e sociale.

In secondo luogo, occorre sviluppare la proposta di uno schema europeo di riassicurazione dei sistemi di indennità di disoccupazione, dotando l’area euro di quel necessario strumento di stabilizzazione macro economica che affianchi e sviluppi lo strumento di bilancio per la competitività e la convergenza, su cui si è raggiunto recentemente un accordo politico, che positivamente consentirà la nascita di questo primo embrione di bilancio dell’area euro, all’interno del bilancio non all’esterno. Tuttavia appare con ogni evidenza un primo embrione limitato, che quindi non potrà svolgere compiutamente queste funzioni di stabilità e di stabilizzazione macroeconomica che appaiono invece necessarie, come ha mostrato anche la crisi che ha fatto vedere come l’idea che era alla base dell’impostazione originaria di Maastricht – cioè che fosse possibile, in un’unione economica e monetaria, affidare il compito di rispondere agli shock simmetrici alla politica monetaria e quello di rispondere agli shock asimmetrici alla politica fiscale nazionale – si è rivelata, alla prova dei fatti, inadeguata, mostrando che occorre invece uno strumento fiscale comune per affrontare gli shock asimmetrici.

A questo proposito, è anche bene sottolineare, in questa discussione spesso confusa sul MES, che il carattere limitato e, alla fine, assai poco ambizioso della riforma del MES concorre a indirizzare gli sforzi di riforma in questa direzione, cioè nella direzione della costruzione di una capacità di stabilizzazione macroeconomica all’interno del bilancio europeo e del metodo comunitario e non all’esterno.
Da questo punto di vista, la riforma del MES, su cui, come sapete, si è raggiunto all’ultimo Eurogruppo un accordo di principio non ancora finalizzato in attesa delle procedure nazionali ma anche del chiarimento della natura giuridica dei Terms of Reference relativi alle Clausole di Azione Collettiva, si limita a riproporre la configurazione attuale del MES quale strumento di gestione delle crisi, senza introdurre alcun meccanismo automatico di ristrutturazione del debito né attribuendo al MES funzioni di governance economica, di sorveglianza sulle politiche di bilancio e di stabilizzazione macroeconomica.

L’unica innovazione sostanziale, come è noto, riguarda la possibilità di fungere da backstop del Fondo Unico di Risoluzione, senza – fortunatamente, altrimenti non lo potremmo sostenere – nessuna condizionalità e nel rispetto delle regole e delle procedure europee di gestione delle crisi bancarie, definite dal diritto dell’UE, alquanto perfettibili – per usare anche un eufemismo – ma del tutto indipendenti dal trattato MES, che offre solo risorse di backstop e non interviene, interferisce, nelle decisioni circa la risoluzione che saranno affidate al Single Resolution Board e regolate da una serie di regolamenti e direttive, su cui attendiamo anche fasi di processi di revisione.

Una volta completata quindi la riforma MES, la vera sfida sarà quella di tenere aperta la prospettiva di un’integrazione del MES nel quadro giuridico dell’Unione e della possibilità che la sua capacità di indebitamento sui mercati – di emettere quelli che poi sostanzialmente sono eurobond – possa essere meglio utilizzata a sostegno della governance economica dell’area euro.
Per quanto riguarda il completamento dell’Unione Bancaria, come è noto, non vi è ancora consenso su una road map, anche perché l’Italia ha detto con molta chiarezza che ritiene che una revisione del trattamento prudenziale dei titoli di Stato sarebbe dannosa, inopportuna, perché renderebbe l’Unione Europea l’unica giurisdizione del mondo priva di un asset liquido a rischio zero. Quindi, è molto chiaro che, essendo anche stato chiarito che tutti i passaggi successivi avverranno sulla base della logica del consenso, questa cosa non ci sarà perché per noi è inaccettabile.

La nettezza della nostra posizione su questo punto – che appunto si è espressa anche recentemente con chiarezza – non significa naturalmente che non ci sia disponibilità a ragionare, invece, in parallelo alla graduale introduzione di uno schema europeo di garanzia dei depositi, che noi sosteniamo anche in fasi: prima in una fase di sostegno alla liquidità, poi in una fase di assorbimento comune delle perdite, di incentivi alla diversificazione dei portafogli, di tutti i portafogli, sia per quanto riguarda i titoli di Stato, sia per gli altri asset. Tutto ciò in un quadro – noi siamo disponibili a ragionare – di una maggiore armonizzazione dei meccanismi di gestione delle crisi che garantisca però la sufficiente flessibilità e proporzionalità, sul modello, quello vero, dell’americana FDIC, e di una graduale rimozione, necessaria, delle barriere regolatorie che attualmente riducono la possibilità di un uso efficiente del capitale e della liquidità all’interno dell’Unione bancaria.
Infine il rilancio dell’Unione del mercato dei capitali deve essere più direttamente collegata all’obiettivo di canalizzare l’ingente mole di risparmio privato intorno al duplice obiettivo del sostegno alla transizione climatica e digitale e della crescita dimensionale e patrimoniale delle imprese a partire dal tessuto fondamentale, vitale, in particolare per l’Italia, di piccole e medie imprese, e ciò anche a partire da un ruolo maggiore degli investitori istituzionali. Qui c’è un ampio arco di sfide regolatorie, attuative anche, che occorre affrontare in questa prospettiva a livello nazionale ed europeo, faccio solo degli esempi, dalla revisione di Solvency all’implementazione degli Eltif e dei nuovi Pir, come li abbiamo inseriti nella nuova manovra.

In questo quadro, il ruolo della Bei, degli strumenti finanziari sostenuti dal bilancio europeo e delle National Promotional Banks come Cassa depositi e Prestiti appare decisivo in un quadro integrato di azioni e di politiche che vedranno in InvestEU un perno dalle enormi potenzialità. Insomma, l’azione del governo, sia a livello europeo, che a livello nazionale attraverso la manovra di bilancio e la strategia di riforme per il sostegno agli investimenti e alle imprese che svilupperemo nei prossimi mesi, si colloca in questo orizzonte e intende concorrere ad aprire una stagione di crescita e di sviluppo, all’insegna dell’innovazione e della sostenibilità.

Questo obiettivo può essere definito e conseguito non solo attraverso l’impegno politico dei governi ma attraverso la costruzione di un dialogo, di un confronto che deve vedere la partecipazione delle forze migliori, a livello italiano ed europeo, del mondo dell’impresa, della finanza, delle professioni, del lavoro, della ricerca e dell’accademia. Questo è il metodo attraverso cui questa nuova impostazione – partiamo dagli obiettivi e costruiamo gli strumenti e i processi in relazione agli obiettivi – attraverso una doppia dimensione, nazionale ed europea, e concorso e dialogo tra attori politici e sociali deve realizzarsi.

Se questo è il metodo, non c’è dubbio che anche un appuntamento come il Rome Investment Forum costituisce un’occasione preziosa di dialogo e di elaborazione che sono certo ci accompagnerà anche nel corso dei prossimi anni decisivi. Grazie

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