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Intervento del ministro Tria alla 94° Giornata del Risparmio

31/10/2018

Presidente Guzzetti, Governatore Visco, Presidente Patuelli, gentili Ospiti e Associati,

desidero ringraziarvi per l’invito a partecipare alla 94° Giornata Mondiale del Risparmio, un importante appuntamento promosso dall’Acri per confrontarsi su un tema così centrale per un’economia, quella del nostro Paese, fortemente incentrata sulla cultura del risparmio.

Ho ascoltato le parole del Presidente Guzzetti con molta attenzione. Lo ringrazio anche per le parole di stima, soprattutto nei confronti delle strutture del MEF impegnate ogni giorno nel concretizzare tecnicamente ciò che il Governo ha deciso per dare al Paese una spinta decisiva per uscire dall’incertezza di cui molto si parla.

Incertezza. Non si può eludere questo termine. Caratterizza il sentire degli Italiani su diversi temi, come lo dimostra la vostra ricerca sugli Italiani e il risparmio, ma non solo. È il termine che in questo periodo più viene utilizzato dagli analisti di economia e di politica.

E anche io lo utilizzo. Certamente non per alimentare il clima di incertezza, ma proprio per fornire argomenti solidi affinché si possa dare agli Italiani, ai nostri partner europei, agli investitori un segnale chiaro: dall’incertezza si esce crescendo come sistema economico e come sistema sociale. Crescita e coesione sono il miglior antidoto all’incertezza perché generano fiducia.

L’ho anche detto durante la mia Audizione in Parlamento sul DEF, non esiste stabilità economica senza stabilità sociale. E vorrei andare più a fondo su queste due facce della stessa medaglia, iniziando con la crescita.

Se analizziamo il quadro economico complessivo, l’economia italiana mostra fondamentali positivi, con un grado ancora elevato di fiducia delle famiglie e delle imprese e una buona competitività internazionale. Allo stesso tempo vediamo segnali negativi, quali il deterioramento del quadro internazionale, il rallentamento del processo di ripresa degli investimenti privati, la carenza di domanda aggregata.

In sintesi, l’incertezza deriva dal non sapere se ciò che sta accadendo a livello globale ci consentirà di proseguire un percorso di crescita che rimane, ancora oggi dopo anni di crisi, al di sotto delle attese e a rischio di diventare fragile.

In risposta a questa constatazione, la manovra di bilancio del Governo ha il duplice obiettivo di contrastare il rallentamento della ripresa economica e, soprattutto, di stimolare la crescita di lungo termine attraverso il rilancio degli investimenti pubblici.

Come risultato congiunto di queste due componenti, la manovra di bilancio pone un obiettivo di crescita addizionale del prodotto reale: vogliamo ridurre e in seguito colmare il gap di crescita con il resto dell’Unione Europea. E non lo facciamo con trucchetti contabili. Ho ribadito più volte che la nostra crescita programmata è prudenziale, integra molteplici fattori tra cui l’impatto negativo dell’aumento dello spread.

Va chiarito che anche il deficit previsto dalla manovra è stimato in base alla previsione di crescita tendenziale del PIL, e quindi non aumenterà in caso di minor impatto della manovra stessa sulla crescita, contrariamente a quanto paventato da alcuni interlocutori istituzionali e non. È dunque contrastando il possibile peggioramento della nostra economia che ci rendiamo più forti di prima e per più tempo. E il nostro ruolo ora è di convincere i nostri partner europei e gli investitori che questa è la via maestra a beneficio non solo dell’Italia, ma anche dell’Europa.

Questa incertezza sulla nostra capacità, come sistema paese, di avviare un percorso di crescita solido e sostenibile attraverso una manovra espansiva, si riflette in parte sullo spread attuale.

E questa incertezza si deve combattere spiegando a fondo ciò che veramente la Manovra intende produrre come risultati.

Dico solo in parte perché i livelli di spread che vediamo oggi non si giustificano né guardando alla solidità della nostra economia, né considerando le attese sul breve termine in termini di spesa pubblica. Lo spread a questi livelli è dovuto ad un altro tipo di incertezza, ovvero quella politica. I mercati, gli investitori, interpretano la situazione attuale a livello europeo come un rischio sia per la tenuta dell’euro, sia per la tenuta dell’Europa stessa.

E qui c’è un grande equivoco. Perché in nessun modo il Governo ha espresso l’intenzione di uscire dall’euro o dall’Europa presentando la sua Manovra. D’altra parte, non è mai accaduto che quando un paese europeo ha deviato dalle regole fiscali, e lo hanno fatto quasi tutti, si sia discusso della sua volontà di appartenenza all’Unione Europea o all’Eurozona. Riportiamo il dibattito ai fatti, perché di questa tensione rischiano di risentirne anche le nostre Banche. Il nostro sistema bancario è solido, come lo dimostra la continua e decisa riduzione delle sofferenze. Stiamo vigilando sull’evolvere della situazione perché non venga messo in difficoltà da queste turbolenze. Vorrei anche sottolineare che gli interventi proposti nella futura legge di Bilancio non impattano sul conto economico degli istituti di credito.

L’ho detto in apertura, il nostro è un paese con una forte cultura del risparmio, e appare evidente che non possiamo guardare alla crescita e agli investimenti senza guardare al risparmio.

Il quadro del risparmio delle famiglie italiane appare oggi equilibrato, con investimenti prevalenti in attività reali, mosso soprattutto da motivi precauzionali, e passività contenute.

La nostra ricchezza finanziaria, in termini di valore pro-capite, e il nostro indebitamento, godono di valori in linea o migliori della media europea.

A questo si aggiunge la crescita notevole del risparmio societario, che ha una valenza precauzionale e fa parte di un fenomeno più ampio, il deleveraging, che ha interessato anche gli altri paesi industrializzati.

Le fondazioni bancarie hanno partecipato in modo determinante a questo processo, mobilitando a loro volta risorse per investimenti di natura sociale. Ma due sono gli elementi che alimentano l’incertezza se pensiamo a risparmio e investimenti. Prima di tutto la quota di reddito destinata al risparmio dalle famiglie italiane, si è ridotta dai valori del 19% degli anni novanta a valori dell’ordine dell’8% del Pil, ed è oggi inferiore a quella degli altri paesi europei. In secondo luogo, gli investimenti delle imprese e del governo hanno subito una forte riduzione negli ultimi dieci anni, una riduzione complessiva che si può stimare, al netto del deprezzamento del capitale, in più di 100 miliardi di euro annui.

Questa simultanea riduzione dei risparmi e degli investimenti forma una trappola che contribuisce a determinare la situazione di bassa crescita alla quale ci si sforza di rimediare. Questa trappola conta inoltre un “danno collaterale” sul quale il Governo interviene in modo deciso e innovativo, ovvero il crescente indebolimento della capacità amministrativa di sviluppare e portare a termini progetti. Usciamo da questa trappola facendo due cose: accrescendo le risorse a disposizione per gli investimenti, e stiamo parlando di quasi 100 miliardi per i prossimi 15 anni, di cui quasi 18 nel prossimo triennio. A questo dobbiamo aggiungere anche i Fondi Europei.

E dall’altro lato, dobbiamo rimediare a questo deficit di capacità progettuale. In altre parole, investendo negli investimenti. Su questo punto credo che troppa poca attenzione sia stata data finora, nell’ambito del dibattito pubblico e istituzionale, allo sforzo del Governo nell’assicurare un capacity building adeguato a supporto della sua strategia di investimenti. A questo si aggiungono riforme strutturali in numerosi settori quali gli appalti pubblici, la digitalizzazione della PA e la Giustizia civile. Fra gli strumenti principali del rilancio delle capacità progettuali e realizzative della PA ci sarà, da un lato, la creazione di una cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio per il coordinamento strategico dei piani e progetti e la costituzione di una task force con il compito di centralizzare le informazioni sui progetti in corso, attraverso la gestione attiva di una banca dati unificata e collegamenti diretti con i terminali di spesa, promuovendo in maniera sistematica il monitoraggio, la valutazione e il coordinamento degli investimenti.

In supporto a questi due attori centrali, la costituzione di una Centrale di Progettazione che avrà il compito di offrire servizi di assistenza tecnica e di assicurare standard di qualità per la preparazione, la valutazione e la esecuzione, anche come centrale di committenza, di programmi e progetti da parte delle amministrazioni pubbliche centrali e periferiche.

Con l’investimento in capacità progettuale di cui ho appena parlato, si aprono ulteriori opportunità a livello europeo, dove Gap di investimenti si stima a circa 400 miliardi di euro e dove si potrebbero attrarre investitori diversificati al loro interno, in modo da ridurre i rischi, e da combinare “opere calde”, ossia investimenti pubblici che possono generare cash flow attraenti per gli investitori privati, con “opere fredde” con benefici sociali, ma poco redditizie dal punto di vista privato. E questa ultima riflessione mi ricollega al tema della vostra Giornata: etica del risparmio e sviluppo.

L’etica di un investimento pubblico fatto bene sta anche nel fatto che, oltre a generare crescita, genera fiducia, e mantiene coesa la rete degli attori istituzionali pubblici e privati con un obiettivo chiaro: si cresce per il benessere dei nostri cittadini e lo si fa scommettendo anche su chi finora è stato svantaggiato. Su questo aspetto della coesione sociale, voi siete attori di primo piano. E i numeri parlano chiaro: dal 2000 ad oggi, le Fondazioni hanno erogato più di 20 miliardi di euro per progetti di utilità sociale su tutto il territorio nazionale, favorendo l’integrazione, la crescita e la coesione sociale. Come ho detto prima, stabilità finanziaria e stabilità sociale sono due facce della stessa medaglia.

Ed è proprio in questa ottica che dobbiamo inquadrare la strategia del Governo per far rientrare nel tessuto produttivo le fasce più vulnerabili della nostra società. Ho spesso definito il Reddito di Cittadinanza un investimento nel nostro capitale umano, un investimento sulle persone, sui concittadini che con le Vostre iniziative, incontrate quotidianamente nelle vostre realtà territoriali.

Investire nel nostro capitale umano più svantaggiato non consente solo di far uscire dalla povertà milioni di persone. Porterà invece, per come si stanno disegnando le condizioni di erogazione del Reddito di Cittadinanza, a una fluidificazione dei processi di entrata nel mercato del lavoro, anche a beneficio delle imprese, soprattutto in un contesto globale marcato da forte competizione e da mutamenti economici e tecnologici.

Le molteplici convergenze tra le attività delle Fondazioni e gli obiettivi prefissati dall’attuale Governo, dimostrano quanto sia centrale la collaborazione pubblico-privata. In qualità di Ministro dell’Economia, desidero anzitutto sottolineare il prezioso contributo che tutti voi fornite nel definire l’indirizzo di uno strumento fondamentale per la crescita economica del nostro Paese come la Cassa Depositi e Prestiti, fornendo oltre alla vostra riconosciuta esperienza manageriale anche una prospettiva più ampia e un senso di stabile responsabilità a servizio del Paese e delle sue comunità locali. In secondo luogo, tengo personalmente a citare tra le iniziative nate da tale collaborazione istituzionale, il Fondo per il Contrasto della Povertà Educativa Minorile.

Un progetto che mi sta particolarmente a cuore e che ritengo prioritario nell’obiettivo di raggiungere una società più inclusiva partendo dai più giovani. Istituito con la legge di stabilità 2016, il Fondo ha finanziato circa 270 progetti stanziando oltre 212 milioni di euro al fine di “rimuovere gli ostacoli di natura economica, sociale e culturale che impediscono la piena fruizione dei processi educativi da parte dei minori”.

Anche considerati gli importanti risultati raggiunti negli ultimi anni – e ribadendo il pieno supporto del Governo a tale nobile impegno – desidero confermare in quest’occasione lo stanziamento annuale di 100 milioni di euro fino al 2021. Infine, credo fermamente che vi sia un grande bisogno di iniziative congiunte che aiutino ad avvicinare i temi dell’economia e della finanza ai nostri cittadini. Prendo, ad esempio, la Strategia Nazionale di Educazione Finanziaria, elaborata dal Comitato per la Programmazione e il Coordinamento delle Attività di Educazione Finanziaria, Assicurativa e Previdenziale. L’Italia ha bisogno di educazione finanziaria e di iniziative capaci di arrivare a tutti: bambini, anziani, giovani e adulti, uomini e donne, nei diversi momenti di vita.

Alcune di queste sono già in atto, come la prima edizione del Mese dell’Educazione Finanziaria, un’iniziativa lanciata dal Comitato a luglio scorso e che si conclude oggi, nella Giornata Mondiale del Risparmio. Grazie al Mese dell’Educazione finanziaria sono stati realizzati 350 eventi gratuiti in circa 120 città italiane, ai quali hanno collaborato oltre 180 partner, con un importante contributo offerto dal mondo bancario e finanziario qui presente. Prima di Concludere questo mio intervento, vorrei ribadire che l’orientamento espansivo del Governo mira a rispondere alle incertezze derivanti dalle prospettive di deterioramento dell’economia globale, facendo leva su una politica di investimenti pubblici e privati e sul rafforzamento della coesione sociale.

E vorrei anche fare, insieme a voi, una riflessione che mette a sistema ciò che ho illustrato e lo contestualizza al dialogo in corso con la Commissione Europea. E lo faccio attraverso una domanda. Quale sarebbe il costo di un “non deficit”, ovvero di un non investimento nelle opere e nel nostro capitale umano? Qual’è il costo di non risolvere il problema della bassa crescita? Dopo 10 anni e due recessioni, siamo già oltre gli effetti della Grande Depressione degli anni ‘30, come ricordava il Presidente Guzzetti.

Questo ci fa capire che il costo del “non-deficit” non ce lo possiamo permettere né economicamente, né socialmente. Siamo convinti come Governo che il costo del deficit sia non solo sostenibile e responsabile: ci consente come sistema-paese di affrontare i prossimi anni con la certezza che ridurremo il rapporto debito/PIL e con maggiore fiducia nella nostra capacità di creare benessere, coesione e stabilità attraverso la crescita. È il risultato di questa convinzione che ci avvicina ancora di più all’Europa e non il contrario. Ed è con questa convinzione che il dialogo con la Commissione europea deve continuare perché una Italia che cresce non fa bene solo all’Italia, ma anche all’Europa.

Come nel caso dell’Acri e delle sue Associate, il Governo crede fermamente nella necessità di dotare le molte eccellenze presenti sul territorio degli strumenti e delle risorse per far ripartire il Paese su basi solide. Ci tengo pertanto a rinnovare il mio ringraziamento al Presidente Guzzetti e a tutti gli Amministratori e il Management delle rispettive Fondazioni, che con dedizione e lungimiranza contribuiscono alla crescita economica e sociale del Paese tutelando ogni singolo risparmiatore e, nel complesso, l’interesse collettivo.

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