Benvenuto sul sito del Ministero dell’Economia e delle Finanze, conosciuto anche come Portale mef

Contenuto principale

Roberto Garofoli: il bail-in e le implicazioni sulla sicurezza e la tutela anche penale del risparmio

 08/05/2017

Pubblichiamo l'intervento di Roberto Garofoli, Capo gabinetto del Ministro Padoan nei Governi Renzi e Gentiloni, Presidente di sezione del Consiglio di Stato, apparso sulla rivista scientifica "Diritto Penale Contemporaneo". Il testo riproduce, con ulteriori approfondimenti, l’intervento tenuto nel corso della Tavola rotonda organizzata dalla Scuola superiore della Magistratura a Milano il 15 marzo 2017, sul tema “Per una efficace tutela del risparmio. Rimedi penalistici, amministrativi e rapporto con i poteri di accertamento e di vigilanza”. All'incontro con Garofoli hanno partecipato Giuseppe Maria Berruti (Commissario Consob), Francesco Greco (Procuratore della Repubblica di Milano), Francesco Mucciarelli (Professore di Diritto penale Università Bocconi di Milano), Paola Severino (Rettore Università LUISS, Roma), Ignazio Visco (Governatore della Banca d’Italia).

1. Il bail-in e il rinnovato interesse per il tema della tutela, anche penale, del risparmio.

La nuova disciplina europea dei meccanismi di prevenzione e risoluzione delle crisi bancarie contenuta nella direttiva 2014/59/UE (Bank Recovery and Resolution Directive
BRRD), recepita con i decreti legislativi n. 180 e 181 del 2015, ha riproposto con forza il tema delle forme di tutela, anche penale, del risparmio.
Non vi è dubbio, infatti, che la nuova disciplina – come noto destinata a dar vita (in uno al sistema unico di supervisione ed al sistema integrato di assicurazione dei depositi) al progetto dell’Unione Bancaria – ha prodotto effetti significativi sulla percezione che l’opinione pubblica e i risparmiatori hanno del tasso di rischio proprio del sistema bancario e, quindi, dei risparmi e degli investimenti allo stesso affidati.

1.1 Gli interventi dei Governi Renzi e Gentiloni.

Utile tener conto che l’esigenza di tutelare il risparmio si interseca con quella di assicurare l’integrità del patrimonio dell’azienda bancaria: quest’ultima, peraltro, se da un lato è condizione essenziale per la salvaguardia del risparmio, dall’altro lo è per la stabilità del sistema finanziario(1).
Nel provare a perseguire questi plurimi obiettivi il Governo si è mosso su fronti diversi, trovandosi ad affrontare scenari a tratti inediti.
Sul piano fattuale, si è dovuto far fronte al vero fattore di vulnerabilità delle banche italiane, rappresentato dall’elevato livello dei prestiti deteriorati.
A giugno del 2016 la consistenza dei crediti deteriorati lordi era pari a 356 miliardi; l’ammontare delle sofferenze e degli altri finanziamenti deteriorati, iscritti nei bilanci delle banche al netto delle rettifiche di valore già effettuate, era di 191 miliardi, il 10,4 per cento dei prestiti complessivi.
Dei 191 miliardi di prestiti deteriorati, le sofferenze nette, ossia le esposizioni verso debitori in stato di insolvenza, ammontavano a 88 miliardi, il 4,8 per cento dei prestiti.
Dal 2008 il volume dei crediti deteriorati è aumentato grosso modo del 20 per cento all’anno fino al 2014, registrando una riduzione nell’incremento a partire dal 2015 e un decremento a partire dal 2016.
Se certo, come si dirà più avanti, alla formazione di tale stock hanno concorso fenomeni diffusi di condotte di gestione del risparmio ed erogazione del credito improntate ad infedeltà e conflitto di interessi, l’elevato livello di crediti deteriorati è principalmente l’effetto – non c’è dubbio – della lunga e severissima crisi economica e finanziaria che ha attraversato il Paese, determinando tra il 2007 e il 2014:

  • una riduzione del PIL del 9 per cento e della produzione industriale del 25 per cento;
  • un aumento dei disoccupati da 1,7 a 3,2 milioni, il dato peggiore dal 1977;
  • soprattutto, ai fini del tema che si esamina, la chiusura di 480.000 imprese, di cui 60.000 fallite.

Invero, analisi di tipo controfattuale condotte in Banca d’Italia mostrano che, in assenza della recessione, i crediti deteriorati sarebbero ammontati a circa il 5 per cento sul totale dei prestiti alle imprese non finanziarie, una percentuale sostanzialmente analoga a quella osservata a fine 2007.
Al riguardo, sono stati messi in campo interventi volti a semplificare le procedure giudiziali (esecutive e concorsuali) per la riscossione dei crediti, anche con il superamento di divieti che storicamente hanno caratterizzato l’ordinamento giuridico (patto marciano).
Altri miglioramenti dovranno essere introdotti; è peraltro al vaglio parlamentare la delega per la riforma organica delle procedure concorsuali (Commissione Rordorf).
Si è inteso altresì fronteggiare l’ulteriore elemento di criticità del sistema bancario italiano, costituito dal non sempre adeguato livello di capitalizzazione: lo si è fatto promuovendo interventi di aggregazione con le riforme in tema di banche popolari e nel settore del credito cooperativo.

1.2 L’evoluzione della disciplina in materia di prevenzione e risoluzione delle crisi bancarie: dall’intervento pubblico…

Il Governo si è inoltre trovato di fronte ad uno scenario inedito sul fronte degli strumenti praticabili nella gestione dei focolai di criticità del sistema bancario.
Agli stessi il sistema economico e politico italiano ha dato risposta sino agli anni novanta facendo leva sulla proprietà pubblica delle banche e, successivamente, mediante processi di acquisizione ed assorbimento degli istituti in crisi che, condotti con la moral suasion della Banca d’Italia, hanno consentito di scongiurare che le crisi precipitassero, così garantendo continuità ai rapporti attivi e passivi transitati presso altre banche, poste nella condizione – con aiuti pubblici o comunque con l’intervento del sistema di garanzia
di assorbire il dissesto(2).
In altri Paesi, anche europei, prima che la disciplina sovranazionale introducesse limiti più stringenti, quella stessa esigenza di stabilizzazione degli intermediari e dei mercati è stata soddisfatta mettendo in campo piani robusti di aiuti pubblici nelle forme di ricapitalizzazioni, garanzie pubbliche sulle passività emesse dalle banche, misure volte a proteggere i bilanci bancari da perdite e svalutazioni di attività deteriorate.
Nel periodo 2008-2014 gli aiuti pubblici al sistema bancario sono stati di:

  • 284 miliardi di euro in Germania;
  • 119 miliardi di euro in Francia;
  • 186 miliardi di euro in Spagna;
  • 332 miliardi di euro in UK.

Le ricapitalizzazioni pubbliche sono intervenute per:

  • 64,2 miliardi di euro in Germania;
  • 61,9 miliardi di euro per la Spagna;
  • 25 miliardi di euro per la Francia.

Si tratta, tuttavia, di forme di intervento che si sono rivelate sempre meno praticabili attesi(3):

  • il cambiamento del ciclo economico;
  • la strutturale modificazione dell’azienda bancaria (sempre meno interessata all’acquisto di ulteriori reti di sportelli in ragione degli oneri molto elevati che gli stessi presentano rispetto a quelli propri dei servizi di home banking);
  • i limiti stringenti che la disciplina europea frappone all’erogazione di aiuti pubblici, categoria destinata a ricomprendere anche forme di intervento assicurate dal sistema interbancario sebbene ricorrendo a Fondi alimentati da contribuzioni obbligatoriamente poste a carico delle banche (è quanto è stato ritenuto con riferimento all’utilizzo del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi in favore della Banca Tercas);
  • l’elevato costo che, per effetto dei salvataggi bancari, ricade sui contribuenti attraverso l’utilizzazione di risorse pubbliche con i conseguenti rischi di compromissione degli equilibri di finanza pubblica;
  • il rischio di moral hazard, insito in un sistema nel quale, a fronte di banche in crisi in conseguenza di ripetute violazioni dei criteri di sana e prudente gestione, sia comunque assicurato il bail-out.

È quanto spiega, almeno in parte, le ragioni del passaggio al nuovo meccanismo di prevenzione e gestione delle crisi bancarie introdotto dalla citata direttiva 2014/59/UE, figlia anche della consapevolezza – maturata con la crisi finanziaria globale – della inadeguatezza delle procedure tradizionalmente seguite nella gestione delle crisi di intermediari finanziari a rilevanza sistemica.
In particolare, il dissesto di Lehman Brothers ha reso evidente come fosse impossibile gestire con le normali procedure concorsuali la crisi di banche di rilevanti dimensioni senza cagionare danni sistemici; ha evidenziato anche che un intervento di tipo preventivo, in specie volto a ridurre del 15 per cento il valore dei crediti senior non garantiti di Lehman Brothers, avrebbe evitato il dissesto della banca consentendo di ricapitalizzarla, così evitando le maggiori perdite dai crediti sofferte per effetto della liquidazione(4).

1.2.1 …allo strumento del bail-in.

In linea con i principi elaborati dal Financial Stability Board, su mandato del G20, la citata BRRD ha quindi introdotto un sistema (il bail-in) nel quale, in presenza di talune condizioni, l’autorità di risoluzione può ridurre il valore delle azioni e di alcuni crediti (obbligazioni, altri strumenti finanziari, i depositi, salva la c.d. depositor preference) o disporre la loro conversione in azioni per assorbire le perdite e ripristinare un’adeguata capitalizzazione della banca, così da mantenere la fiducia del mercato(5). Gli azionisti e i creditori non potranno in nessun caso subire perdite maggiori di quelle che sopporterebbero in caso di liquidazione della banca secondo le procedure ordinarie.
Sul piano giuridico, il creditore azzerato perde non solo il diritto di credito, ma anche la possibilità di agire in sede concorsuale, non potendo in nessun caso soddisfarsi su eventuali attivi residui, come invece avverrebbe nell’ipotesi di liquidazione coatta amministrativa(6).
Questa appare la novità più significativa di cui tener conto nel valutare l’attitudine della nuova disciplina a suggerire una riconsiderazione delle tecniche di prevenzione e repressione penale nella materia della tutela del risparmio e degli investimenti.
Infatti, se la finalità sottesa al nuovo sistema è certamente quella di offrire strumenti regolatori delle crisi bancarie più efficaci e flessibili, utilizzando risorse del settore privato, evitando che il costo dei salvataggi gravi sui contribuenti e riducendo gli effetti negativi sul sistema economico, non è men vero, tuttavia, che, in sede di valutazione dell’adeguatezza e dell’effettività del vigente sistema di tutela del risparmio, non possa essere trascurato il rischio di far gravare il sacrificio del risanamento e della crisi bancaria anche sui creditori dell’ente in dissesto (possessori di obbligazioni e depositi, salva la c.d. depositor preference), in tal modo posti sullo stesso piano degli azionisti, ancorché in via subordinata rispetto agli stessi(7).
Si consideri, per vero, che le applicazioni date in Italia alla nuova disciplina si sono caratterizzate per aver affiancato alle misure di c.d. condivisione degli oneri forme di ristoro dei titolari delle obbligazioni subordinate incise.
In particolare, nel caso di Banca Etruria, Cassa di risparmio di Ferrara, Banca delle Marche, Cassa di risparmio di Chieti, risolte con provvedimenti della Banca d’Italia del 21 novembre 2015, è stato messo in campo un meccanismo di indennizzo automatico gravante sul Fondo interbancario, di cui possono fruire i risparmiatori retail che abbiano acquistato direttamente dalla banca risolta le obbligazioni subordinate azzerate per effetto del burden sharing applicato ovvero, alternativamente, una tutela risarcitoria affidata a procedure di tipo arbitrale.
Nel d.l. 23 dicembre 2016, n. 237, convertito dalla legge 17 febbraio 2017, n. 15, con riguardo alle banche che non abbiano superato gli stress test, è stato invece previsto che, allorché ricorrano le condizioni di cui all’art. 32, paragrafo 4, lettera d), della BRRD, l’intervento precauzionale dello Stato è subordinato alla conclusione di accordi transattivi tra l’istituto e i titolari delle obbligazioni subordinate convertite in azioni.
Ciò non toglie che la nuova disciplina abbia aumentato, per le ragioni suesposte, il rischio cui soggiacciono i risparmiatori e i creditori degli istituti di credito così imponendo di riconsiderare i temi(8):

  • dell’educazione finanziaria, ancorché la stessa non costituisca certo una soluzione efficace ai problemi già sul tappeto;
  • del controllo (da rafforzare) sulla correttezza delle comunicazioni, soprattutto pubblicitarie, che le banche sono tenute a rendere al cliente e al mercato;
  • dell’estensione applicativa delle regole di condotta da osservare in sede di collocamenti effettuati dalle banche, rendendole cogenti quando si tratti non solo di prodotti finanziari caratterizzati da una intrinseca rischiosità, ma anche di prodotti bancari in senso stretto, quali conti correnti o depositi.

2. La disciplina penale di tutela del risparmio.

La nuova disciplina della risoluzione pone, tuttavia, con forza anche il tema della adeguatezza dell’odierno sistema di tutela penale e sanzionatorio del risparmio e, a monte, dell’integrità del patrimonio degli enti che gestiscono fondi altrui o da rimborsare.
Appare ancor più necessario chiedersi, quindi, se il vigente diritto penale sostanziale preveda fattispecie e meccanismi che efficacemente consentano di perseguire e reprimere gli abusi gestori nei particolari settori dell’erogazione del credito e dell’amministrazione del risparmio e degli investimenti: interrogativo da esaminare anche tenendo conto della variegata casistica delle più frequenti forme di aggressione degli interessi patrimoniali, oltre che informativi, di risparmiatori, investitori ed azionisti.
La casistica giudiziaria(9) e le verifiche della vigilanza bancaria danno invero atto di fenomeni – non episodici, ma purtroppo ripetuti e diffusi – di gestione del risparmio e di erogazione del credito improntati a infedeltà e conflitto d’interesse:

  • distrazioni del denaro della banca;
  • erogazione di finanza in favore del cliente subordinata al fatto che questo impieghi parte di quanto ricevuto nel sostegno borsistico del titolo emesso dalla stessa banca;
  • erogazione di credito condizionata all’impiego di quanto ricevuto in favore di altro cliente della banca, insolvente;
  • vendita di titoli obbligazionari ad alto rischio, non accompagnata da adeguata informazione circa le insidie e le criticità dell'operazione, l'anomalo rapporto rischio- rendimento e le ragioni sottese all’offerta alla clientela, ma anzi posta in essere qualificandoli come “sicuri” (casi nei quali la giustizia penale non sempre riesce ad individuare l’esatta responsabilità personale all’interno delle complesse filiere organizzative delle banche intermediarie);
  • concessione di fidi in violazione delle norme sugli affidamenti o di quelle di garanzia
  • stabilite dall'istituto;
  • prestiti da parte delle banche ai propri amministratori e sindaci;
  • ipotesi di aggiotaggio (manipolazione del mercato se riguarda titoli quotati) informativo, perché attuato mediante la diffusione di notizie false, o operativo, perché realizzato con condotta non dichiarativa, quale ad esempio un massiccio rastrellamento di titoli secondo tempistiche che sorprendono il meccanismo di formazione automatica del prezzo di borsa.

2.1 Dall’applicazione dello statuto penale della P.A. alle fattispecie a tutela del mercato finanziario.

Ebbene, a fronte della variegata e multiforme fenomenologia degli abusi nell’esercizio del credito da parte di amministratori, dirigenti e semplici operatori bancari, l’attuale sistema di tutela penale del risparmio può dirsi adeguato ad assicurare una efficace risposta, oggi ancor più attesa in considerazione del rafforzamento dei rischi cui risparmiatori ed investitori sono esposti in considerazione del mutato quadro economico e regolamentare?
Volendo ripercorrere le principali tappe (normative e pretorie) che hanno segnato l’evoluzione della disciplina penale di settore, non è consentito non prendere le mosse dalla nota sentenza Tuzet con cui le Sezioni Unite 23 maggio 1987, disattendendo l’orientamento inaugurato dalla sentenza Carfì (10 ottobre 1981), hanno escluso che l’attività bancaria – a carattere privatistico e imprenditoriale – possa essere qualificata come servizio pubblico in senso oggettivo: venuta conseguentemente meno la possibilità per pubblici ministeri e giudici di utilizzare le fattispecie previste dallo statuto penale della P.A., è stato il legislatore a intervenire ripetutamente introducendo nuove fattispecie o, ancor più frequentemente, riformulando anche a più riprese ipotesi di reato già esistenti.
Su un primo fronte il legislatore è intervenuto introducendo fattispecie che, consistenti in abusi gestionali, richiedono tuttavia una lesività “di mercato”, spesso prevedendo per le stesse cornici edittali severissime: dall’aggiotaggio di cui all’art. 2637
c.c. alla manipolazione del mercato di cui all’art. 185 TUF, dall’abuso di informazioni privilegiate di cui all’art. 184 TUF all’ostacolato esercizio delle pubbliche autorità di vigilanza ex art. 2638 c.c.
Fattispecie penali spesso affiancate da corrispondenti fattispecie illecite che, “formalmente amministrative”, rientrano nell’ambito delle competenze della Consob, dando così vita ad un regime di doppio binario la cui compatibilità con il principio del ne bis in idem è da anni al vaglio della giurisprudenza della Corte EDU, intervenuta nel 2014 nel noto caso Grande Stevens e nel 2016 in quello relativo alla normativa norvegese in tema di frodi fiscali.

2.2 La reazione penale alle condotte ad offensività endosocietaria.

Su altro fronte, vengono in considerazione fattispecie incriminatrici che, consistenti in abusi di gestione o in violazione di regole di fedeltà, non assurgono sempre ad una lesività di mercato, rilevando tuttavia per una offensività soprattutto endosocietaria(10).
È il campo in relazione al quale, ad avviso di molti, si ritiene che sussistano le maggiori criticità in termini di adeguatezza ed effettività della tutela penale.

Senza pretesa di completezza, si tratta di fattispecie che, oltre a presentare connotazioni strutturali destinate a limitare i distinti ambiti applicativi, presentano il comune carattere di illeciti di danno, la relativa consumazione presupponendo il verificarsi di un pregiudizio spesso di tipo patrimoniale, in ogni caso da valutare in termini economici.
Volendo portare l’attenzione su alcune delle fattispecie riconducibili nella categoria in esame e tralasciando quella di falso in bilancio di recente modificata dal legislatore del 2015 (intervenuto ad eliminare talune criticità rappresentate con riguardo alle scelte del legislatore del 2002, prima tra tutte quella delle soglie quantitative di punibilità), vengono in rilievo gli illeciti – tutti caratterizzati da violazione degli obblighi di fedeltà o delle regole in tema di conflitto di interessi – di:

  • gestione infedele prevista dall’art. 167, d.lgs. n. 58/1998(11);
  • infedeltà patrimoniale di cui all’art. 2634, c.c.(12);
  • corruzione tra privati, di cui all’art. 2635 c.c., come modificato dalla l. n. 190 del 2012 e, più di recente, con il recepimento della decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato(13);
  • omessa comunicazione del conflitto di interessi di cui all’art. 2629-bis c.c.(14)
  • Ebbene, al solo scopo di mettere in luce la non scontata attitudine delle indicate fattispecie a fungere da adeguato presidio penale degli interessi dei risparmiatori e degli investitori non professionali, giova evidenziare che:
  • quanto alla fattispecie di gestione infedele, la relativa previsione, nel pretendere il verificarsi del danno quale evento consumativo, non consente di perseguire prestazioni di servizi di investimento sistematicamente e deliberatamente trasgressive di regole di contenimento del rischio e delle garanzie della clientela;
  • quanto al reato di omessa comunicazione del conflitto di interessi di cui all’art. 2629-bis c.c., la relativa applicabilità è resa disagevole oltre che dalla mancata definizione della nozione dell’interesse sociale e personale, dalla considerazione del danno quale elemento costitutivo del reato e, soprattutto, dalla necessità di offrire la non semplice prova del nesso causale diretto tra la violazione dei doveri informativi e comportamentali ex art. 2391, co. 1, c.c. ed il danno, oltre che del corrispondente dolo.

Per quel che attiene alla corruzione tra privati, nonostante la dottrina dominante e plurime determinazioni sovranazionali (prima tra tutte la Decisione quadro 2003/568/GAI) caldeggiassero l’adozione di una previsione incriminatrice volta a tutelare la concorrenza in chiave onnicomprensiva, prescindendo dal tipo societario e dall’eventuale pregiudizio patrimoniale arrecato al patrimonio sociale, il legislatore ha delineato una fattispecie destinata a trovare consumazione soltanto ove venga causato un nocumento alla società.
Invero, l’art. 2635 c.c., come modificato dalla legge anticorruzione, diversamente da quanto previsto per la corruzione incriminata tra i reati contro la P.A., non aveva assegnato rilevanza all’accettazione della offerta corruttiva, la consumazione presupponendo l’effettivo compimento dell’atto anti-doveroso e la realizzazione del nocumento per la società.

La norma incriminatrice è stata tuttavia di recente riscritta con l’adozione (nel Consiglio dei Ministri del 10 marzo 2017) dello schema di decreto legislativo che attua la decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato. Secondo la nuova formulazione, l’illecito è integrato già con la sola accettazione di denaro o altra utilità non dovuti, a prescindere, dunque, dall’effettiva realizzazione dell’atto in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà (che diventa oggetto del dolo specifico) e del nocumento per la società.
La procedibilità della fattispecie resta tuttavia subordinata alla querela di parte. Si consideri, peraltro che nel testo vigente è prevista l’iniziativa officiosa per il caso in cui “dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi”.
Ancor più problematica è apparsa la norma che incrimina la fattispecie di infedeltà patrimoniale introdotta dal legislatore del 2002, come peraltro attestato dai limitatissimi casi in cui, in quattordici anni di vigenza, ha trovato applicazione.
Detta fattispecie è stata introdotta a seguito di un dibattito nel quale non mancava chi proponeva l’introduzione in Italia di una norma incriminatrice corrispondente a quella francese dell’“abus des biens sociaux”, volta ad incriminare il fatto degli amministratori (come pure dei presidenti o dei direttori generali) che dolosamente fanno dei beni o dei crediti, ovvero anche dei poteri o dei voti sociali, un uso che sanno essere contrario all’interesse della società, per il perseguimento di fini personali ovvero per favorire società o altre imprese in cui hanno interesse (pena prevista è la carcerazione di cinque anni e un’ammenda di 375.000 euro). È dunque la contrarietà all’interesse della società ad esprimere il disvalore della condotta senza che, ai fini dell’integrazione della fattispecie, assuma alcuna rilevanza la produzione di un nocumento in danno della società.
Tuttavia, la fattispecie di cui all’art. 2634 c.c. presenta caratteristiche che ne hanno segnato l’incidenza applicativa.
Invero, il compimento di atti infedeli lesivi del patrimonio sociale costituisce reato soltanto se sorretto da un duplice dolo specifico ed intenzionale (il primo rivolto al profitto, il secondo al danno): ma l’efficacia applicativa della disposizione risulta ancor più incisivamente minata dalla procedibilità del delitto a querela di parte. La valenza restrittiva di tale previsione, del resto, è mitigata soltanto in parte dalla tesi giurisprudenziale che attribuisce il diritto di querela anche al singolo socio, nonostante la formulazione normativa individui chiaramente la persona offesa nella sola società(15).

Ad ogni modo, la centralità attribuita dalla previsione normativa al danno patrimoniale, configurato come evento naturalistico oggetto di dolo intenzionale, ha indotto l’opinione maggioritaria a individuare il bene giuridico tutelato dall’art. 2634 c.c. nella sola integrità patrimoniale della società, configurando il conflitto di interessi come mero presupposto della condotta(16).
Almeno tre, in specie, i tratti strutturali della fattispecie che hanno concorso al suo insuccesso applicativo;

  • la necessità che siano compiuti o deliberati atti di disposizione dei beni sociali, destinata a tener fuori dall’area del penalmente rilevante le condotte omissive e organizzative;
  • la specialità e l’intenzionalità del dolo, implicanti l’irrilevanza di comportamenti dolosi perché diretti a conseguire interessi extrasociali, ma connotati dalla sola accettazione del rischio del danno per il patrimonio sociale;
  • il regime di procedibilità a querela, salve le indicate aperture giurisprudenziali.

Residuano le fattispecie comuni poste a presidio del patrimonio, quali l’appropriazione indebita e la truffa, o ancora, i reati fallimentari.
Fattispecie tuttavia che, presupponendo quasi tutte l’intervenuto verificarsi di eventi di danno, in specie la compromissione dell’integrità degli operatori, costituiscono un presidio spuntato, destinato spesso ad operare allorché si è già al cospetto di non rimediabili macerie finanziarie.

2.3 Le proposte.

Da più parti è stata prospettata l’opportunità di un cambio di passo nel sistema di tutela penale del risparmio, ruotante attorno alla revisione delle indicate fattispecie, con l’intento di eliminare le esposte criticità che non poco ne riducono la portata applicativa e l’attitudine preventiva e repressiva.
In una prospettiva più ambiziosa, è stata proposta l’introduzione di una fattispecie che, sul modello di quella francese dell’“abus des biens sociaux” e attesa la specificità dell’attività di raccolta del risparmio e di esercizio del credito, non sia costruita attorno all’evento di danno, ma – connotandosi per un’anticipazione della soglia di punibilità anche al livello del pericolo – veda riconosciuto carattere di centralità all’elemento della grave violazione delle regole proprie della gestione ed erogazione del credito: una fattispecie integrata, quindi, da condotte di infedeltà e di conflitto d’interessi in cui incorra l'intraneus(17). Si tratterebbe cioè di sanzionare la violazione del rapporto di lealtà che lega il “corrotto” o l’“infedele” all’ente che gestisce il risparmio altrui, focalizzando il disvalore sulle condotte di infedeltà e sull’abuso del potere che l’intraneus, chiamato ad esercitarlo in funzione di interessi altrui, ha tradito alterando i processi decisionali che lo vedono coinvolto(18): si passerebbe così da un modello patrimonialistico di repressione ad uno di tipo c.d. “lealistico”, nel quale è presidiata la relazione fiduciaria che lega l’agente all’ente nel cui ambito svolge la propria attività.
Certo, il ricorso al diritto penale costituisce sempre l’extrema ratio sicché è necessario chiedersi fino a che punto le indicate esigenze di rafforzata protezione del risparmio non possano essere soddisfatte agendo sul versante della repressione amministrativa. Il tema dell’adeguatezza dell’odierno sistema di protezione del risparmio merita, tuttavia, di essere posto al centro del dibattito, anche politico e istituzionale.

 


(1) Sulla oggettività giuridica presidiata con l'incriminazione delle fattispecie relative al settore bancario cfr. SEVERINO, Sicurezza dei mercati finanziari: interessi tutelati e strumenti di tutela (Relazione al Convegno “Economia e diritto penale nel tempo della crisi”, Palermo, 15-16 novembre 2013), in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, 2, p. 672 e ss.
(2) INZITARI, BRRD, bail in, risoluzione della banca in dissesto, condivisione concorsuale delle perdite (d.lgs. n. 180 del 2015), in Contratto e impresa, 2016, 3.
(3) INZITARI, BRRD, bail in, risoluzione della banca in dissesto, cit.
(4) DE ALDISIO, La gestione delle crisi nell’Unione Bancaria, in Banca, Impresa, Società, 2015, 3, p. 391 e ss.
(5) Sulla disciplina introdotta dalla direttiva BRRD, DE ALDISIO, La gestione delle crisi, cit.
(6) LENER, Bail-in: una questione di regole di condotta? Scritto per il Convegno «Salvataggio bancario e tutela del risparmio», in Riv. dir. banc., 2016, 9.
(7) DI VIZIO, Tutela penale del risparmio: forme di repressione degli abusi nell’erogazione del credito e nella gestione degli investimenti, in Questione Giustizia, 2016.
(8) LENER, Bail-in: una questione di regole di condotta?, cit.
(9) Cfr. Indagine conoscitiva sulle condizioni del sistema bancario e finanziario italiano e la tutela del risparmio, anche con riferimento alla vigilanza, la risoluzione delle crisi e la garanzia dei depositi – Valutazione degli elementi di criticità del sistema bancario e finanziario nella prospettiva del magistrato penale, Senato della Repubblica, sesta Commissione permanente Finanze e Tesoro, audizione di Luigi Orsi (Sostituto Procuratore generale presso la Corte di Cassazione), 15 settembre 2016.
(10) FOFFANI, Economia, sistema bancario e intervento penale, in Dir. pen. proc., 2016, 8, p. 985 e ss.
(11) Salvo che il fatto costituisca reato più grave, chi, nella prestazione del servizio di gestione di portafogli o del servizio di gestione collettiva del risparmio, in violazione delle disposizioni regolanti i conflitti di interesse, pone in essere operazioni che arrecano danno agli investitori, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, è punito con l'arresto da sei mesi a tre anni e con l'ammenda da euro cinquemilacentosessantacinque a euro centotremiladuecentonovantuno.
(12) 1. Gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori, che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale, sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni. 2. La stessa pena si applica se il fatto è commesso in relazione a beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi, cagionando a questi ultimi un danno patrimoniale. 3. In ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall'appartenenza al gruppo. 4. Per i delitti previsti dal primo e secondo comma si procede a querela della persona offesa.
(13) Testo come modificato dalla legge n. 190 del 2012:
1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni.
2. Si applica la pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma. 3. Chi dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma è punito con le pene ivi previste. 4. Le pene stabilite nei commi precedenti sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’art. 116 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 e successive modificazioni. 5. Si procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi.
Testo approvato nel Consiglio dei Ministri del 10 marzo 2017:
1. All’articolo 2635 del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il primo comma è sostituito dal seguente: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, di società o enti privati, che, anche per interposta persona, sollecitano o ricevono, per sè o per altri, denaro o altra utilità non dovuti, o ne accettano la promessa, per compiere o per omettere un atto in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni. Si applica la stessa pena se il fatto è commesso da chi nell’ambito organizzativo della società o dell’ente privato esercita funzioni direttive diverse da quelle proprie dei soggetti di cui al precedente periodo.»;
b) il terzo comma è sostituito dal seguente: «Chi, anche per interposta persona, offre, promette o dà denaro o altra utilità non dovuti alle persone indicate nel primo e nel secondo comma, è punito con le pene ivi previste.»;

c) al sesto comma le parole «utilità date o promesse» sono sostituite dalle seguenti: «utilità date, promesse o offerte».
(14) L'amministratore o il componente del consiglio di gestione di una società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altro Stato dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 e successive modificazioni, ovvero di un soggetto sottoposto a vigilanza ai sensi del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 o del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124 che viola gli obblighi previsti dall'articolo 2391, primo comma, è punito con la reclusione da uno a tre anni, se dalla violazione siano derivati danni alla società o a terzi.
(15) Cfr. ex plurimis Cass., sez. V, 7 maggio 2014, n. 35080, in Cass. Pen., 2015, 2815 ss. con nota critica di FRASCHETTI, “Quel che resta del singolo socio”. Bene giuridico e diritto di querela nel reato di infedeltà patrimoniale. Non a caso, tra gli argomenti spesi per estendere ai singoli soci la legittimazione a proporre querela vi è la manifesta illogicità di circoscrivere tale iniziativa a soggetti coincidenti con gli autori del reato, atteso che la legittimazione della società si traduce nella necessità di una deliberazione dell’organo gestorio. Per superare l’impasse senza al contempo attribuire il diritto di querela ai singoli soci (il che potrebbe finanche tradursi nell’attribuzione di un mezzo per influenzare indebitamente i rapporti sociali), parte della dottrina ha proposto di distinguere i reati c.d. esosocietari od endosocietari, a seconda che l’offesa agli interessi sociali provenga dall’esterno o dall’interno del plesso societario: nel primo caso, l’esercizio del diritto di querela sarebbe rimesso alle determinazioni degli amministratori, mentre nel secondo la logica impone di attribuire l’iniziativa ad una deliberazione assembleare. Tuttavia, anche tale lettura non elimina le incongruenze applicative, atteso che l’azione penale non verrebbe ad essere esercitata in tutti i casi in cui l’interesse dell’amministratore infedele coincida con quello dei soci di maggioranza. Peraltro, anche laddove non sussista una siffatta convergenza di interessi, è plausibile che l’assemblea decida di non esercitare il proprio diritto, allo scopo di evitare alla società la produzione dei pregiudizi connessi all’instaurazione di un processo penale, che verrebbero ad addizionarsi a quelli provocati dagli amministratori infedeli.
(16) Sulla natura “ibrida” della fattispecie italiana di infedeltà patrimoniale, elaborata avendo riguardo ai distinti modelli di penalizzazione delle infedeltà gestorie, rappresentati, da una parte, dalla storica Untreue, disciplinata al § 266 dello Strafgesetzbuch (Codice Penale tedesco – StGB), dall’altra, dal delitto di Abus de biens sociaux, di cui agli artt. L241---3 e L242---6 del Code de Commerce francese, BRUNORI, L’infedeltà patrimoniale a confronto con la fattispecie di Untreue: bilancio di un traguardo e prospettive di riforma. La prima, a portata “generale”, trasversale all’intero ordinamento, integra un delitto “patrimoniale”, concentrando quindi il disvalore nella deminutio patrimonii; nell’Abus de biens francese, viceversa, il mirino della tutela penale, oltre a riservarsi per il solo ambito societario e finanziario, si sposta da un piano prettamente patrimoniale ad uno “istituzionale” (quasi---pubblicistico), incentrato sul détournement de pouvoirs e dunque sull’eccesso di potere per sviamento.
(17) FOFFANI, Economia, sistema bancario e intervento penale, cit.
(18) DI VIZIO, Tutela penale del risparmio, cit.