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L'intervento del ministro Visco alla 76a Giornata Mondiale del Risparmio

31/10/2000

76a Giornata Mondiale del Risparmio

Intervento del Ministro del Tesoro, del Bilancio e
della Programmazione Economica
Vincenzo Visco

Roma – Campidoglio
31 ottobre 2000

Aspetti macroeconomici

Le prospettive per l'economia internazionale appaiono tuttora complessivamente favorevoli. Dopo aver superato negli ultimi anni gravi crisi finanziarie come quella asiatica e quella brasiliana, il quadro macroeconomico complessivo appare oramai consolidato. In tale contesto, tuttavia, alcuni fattori - in particolare, il disallineamento prevalente nei mercati dei cambi, il deficit delle partite correnti statunitensi, i livelli delle quotazioni di borsa negli Stati Uniti (e non solo) - consigliano qualche prudenza.

Negli Stati Uniti, le autorità monetarie hanno effettuato successivi interventi volti ad evitare l'insorgere di pressioni inflazionistiche, a sgonfiare la bolla speculativa dei mercati, prefigurando un atterraggio morbido dell'economia statunitense che sembrerebbe essersi manifestato già nei dati di crescita relativi al terzo trimestre 2000 (i più contenuti dall'inizio del 1999). L'ipotesi di un passaggio del testimone della crescita dall'economia statunitense a quella europea potrebbe dunque concretizzarsi, come previsto da alcuni, nel 2001. Essa potrebbe comportare una maggiore adesione delle parità ai fondamentali delle diverse economie e quindi un riallineamento dei marcati dei cambi. Di questo riallineamento e della conseguente riallocazione della domanda mondiale si gioverebbe, in primo luogo, l'economia statunitense.

In questo quadro, l'andamento del prezzo del petrolio e le sue possibili ricadute sul tasso di crescita e sul tasso di inflazione dei paesi importatori costituiscono ancora un fattore di rischio.

Fermo restando che, alla luce dello stato corrente del mercato del greggio, sussistono certamente i margini per una riduzione delle sue quotazioni, l'impatto dell'attuale shock petrolifero sarà in ogni caso inferiore a quello del passato, sia perché il prezzo del petrolio in termini reali resta ancora di molto inferiore ai valori raggiunti all'inizio degli anni ottanta, sia perché negli ultimi 25 anni la dipendenza dal petrolio dei paesi industrializzati si è dimezzata. Inoltre, nell'ipotesi in cui i paesi OPEC utilizzino i proventi del petrolio in termini di maggiori importazioni, potrebbe realizzarsi una parziale redistribuzione del surplus petrolifero che attenuerebbe gli effetti negativi sulla crescita dei paesi industrializzati.

Del resto le ottimistiche previsioni internazionali rese pubbliche nel corso dell'estate poggiavano su una ipotesi di base di circa 25 dollari al barile nel 2000 e 22 dollari nel 2001. Secondo l'Ocse, occorrerebbe che il prezzo del greggio si assestasse intorno ai 33 dollari al barile nel corso dell'intero 2001 per assistere a riduzione del PIL tuttavia non superiore a pochi decimi di punto, che possono ulteriormente ridursi in quanto è, appunto, lecito presumere che i proventi della "tassa petrolifera" vengano prima o poi spesi dai paesi esattori e ritornino quindi alle economie occidentali in termini di maggiori importazioni.

In un contesto economico internazionale di forte ripresa e alla luce di queste considerazioni, le previsioni di crescita per il nostro paese permangono positive.

Il PIL dovrebbe aumentare del 2,8 per cento, raddoppiando il tasso di crescita registrato nel 1999. Per il 2001 si stima un aumento del PIL reale del 2,9 per cento, in lieve accelerazione rispetto all'anno precedente.

Tali ritmi di sviluppo, che consentono la progressiva riduzione del divario rispetto agli altri paesi europei, sottintendono, tuttavia, un andamento molto diversificato delle componenti.

Nel 2000 la crescita è principalmente trainata, oltre che dagli investimenti, dalla domanda estera: il positivo andamento del commercio mondiale e il deprezzamento dell'euro, attraverso guadagni di competitività, hanno favorito la crescita delle esportazioni.

Nel 2001 al rallentamento delle esportazioni corrisponderà una accelerazione della domanda interna, in particolare la spesa delle famiglie. Il maggior peso della domanda interna seguirà al mutamento del quadro internazionale ed in particolare del soft-landing dell'economia statunitense, del contestuale consolidamento della crescita europea e del conseguente graduale apprezzamento della moneta unica.

Alla espansione dell'attività produttiva e all'aumentato grado di flessibilità del sistema produttivo si accompagna il netto miglioramento del mercato del lavoro con un aumento di occupazione superiore all'1 per cento sia nel 2000 che nel 2001, concentrato nei servizi e nelle costruzioni, ed un calo del tasso di disoccupazione al di sotto del 10 per cento nel 2001 (rispetto all'11,4 del 1999).

La moderazione salariale e gli effetti delle politiche di controllo dell'inflazione dovrebbero mantenere la crescita dei prezzi al consumo nel 2000 nell'intorno delle previsioni ufficiali, mentre nel 2001 il progressivo rientro degli impulsi inflazionistici esterni e il graduale recupero del valore dell'euro favoriranno il rallentamento della dinamica dei prezzi.

L'effetto combinato della positiva dinamica dell'occupazione e della crescita delle retribuzioni in linea con la produttività condurrà già nel 2000 e poi anche nel 2001 ad un incremento del reddito reale disponibile delle famiglie superiore a quello (pur sempre positivo) osservato nell'ultimo biennio. E' lecito presumere, inoltre, che nell'anno in corso ed in quello prossimo la propensione media al risparmio delle famiglie possa attestarsi sui livelli raggiunti negli ultimi anni. Come segnala la Banca d'Italia, la flessione della propensione al risparmio delle famiglie avrebbe trovato un limite nella revisione al rialzo dei programmi di accumulazione delle famiglie indotta, fra l'altro, dagli interventi in materia previdenziale degli ultimi anni e dalla incertezza circa l'evoluzione futura del processo di riforma.

In questo contesto, l'impianto della manovra finanziaria - attualmente all'esame del Parlamento - mira ad incidere sulle aspettative di medio periodo che determinano l'evoluzione delle componenti dell'economia oggi meno dinamiche: in un contesto di forte ripresa economica, le famiglie mantengono, come si è detto, un atteggiamento ancora prudente mentre la prospettiva di rafforzamento dell'Euro e di graduale rallentamento dell'economia americana prospettano un'evoluzione in cui la domanda esterna all'area euro potrà ridursi. Non si tratta, in altre parole, di un sostegno congiunturale ad una economia peraltro in vivace ripresa, bensì di un rafforzamento strutturale e permanente di alcune componenti della domanda interna.

La manovra, resa possibile dall'emersione di nuova base imponibile determinata dal successo delle riforme fiscali, non compromette il raggiungimento degli obiettivi indicati nel Piano di stabilità -che anzi vengono rafforzati- e favorisce l'instaurarsi di un circolo virtuoso dell'economia: al venir meno della spinta propulsiva delle esportazioni corrisponde la ripresa della spesa delle famiglie, sostenuta dall'aumento del reddito disponibile, legato anche al continuo miglioramento del mercato del lavoro.

Poiché la manovra favorisce per 2/3 le famiglie e per 1/3 le imprese e le misure di riduzione fiscale coinvolgono oltre il 90 per cento delle famiglie, l'impatto sui consumi sarà significativo. D'altra parte, anche gli investimenti risultano favoriti dalla manovra. L'impulso espansivo della manovra potrà sostanzialmente compensare quello negativo derivante dall'aumento del prezzo del petrolio.

Com'è noto, l'impianto della manovra non era influenzabile e non è stato influenzato dall'esito della gara per le licenze Umts. Un atteggiamento prudenziale da parte del Governo, ha fatto sì, infatti, che nel definire l'evoluzione dei conti pubblici si tenesse conto della sola base d'asta che, ad asta conclusa, risulta peraltro superata di circa il 30 per cento. L'esito dell'asta - da cui trarranno beneficio nel medio periodo i consumatori - impone, peraltro, che l'intenso programma di dismissioni - per complessivi 65 mila miliardi - già presente nel Documento di programmazione economico-finanziaria 2001-2004 venga puntualmente rispettato.

L'evoluzione recente del sistema bancario e finanziario nel contesto europeo

A quasi due anni dall'avvio della terza fase dell'unione economica e monetaria, dunque dall'introduzione dell'euro quale moneta unica di undici Stati membri dell'Unione europea, un intervento dedicato al risparmio non può che prendere le mosse da una prospettiva anch'essa europea.

Far confluire le valute nazionali in un'unica valuta ha significato adottare un unico strumento di accumulazione e impiego del risparmio, di determinazione e commisurazione del suo valore.

Parallelamente, la creazione di un'area monetaria comune costituisce per la formazione di un sistema bancario europeo un importante stimolo, complementare alle numerose iniziative che la Comunità ha intrapreso per l'instaurazione di un mercato unico. Solo un sistema finanziario pienamente integrato permetterà ai risparmiatori di fruire appieno dei vantaggi arrecati dall'unione economica e monetaria.

Uno sguardo al mercato bancario europeo - soprattutto se incentrato su ciò che avviene nell'area a più avanzata integrazione, quella dell'euro - rivela che la compenetrazione dei mercati nazionali in un solo mercato è più avanzata di quanto generalmente si pensi, pur essendo l'evoluzione tutt'altro che prossima alla conclusione.

Il dato relativo all'integrazione degli assetti proprietari delle maggiori banche del continente non segnala invero alcun significativo progresso sulla strada del mercato bancario unico. Con l'eccezione dell'area nordica e di quella del Benelux, il processo di concentrazione segue direttrici principalmente nazionali. Questa tendenza riflette la natura per lo più "locale" dell'attività al dettaglio, la maggiore riduzione dei costi che possono conseguire banche insediate nello stesso paese per l'eliminazione di sovrapposizioni e duplicazioni, il contributo al successo di un'aggregazione che può apportare la contiguità culturale del management delle imprese coinvolte.

L'esperienza statunitense, che sicuramente ha condotto a un mercato bancario pienamente integrato, è stata segnata da una tappa analoga, la quale ha preceduto il diffondersi di operazioni di rilievo transnazionale; e, ancora oggi, in quel Paese la diffusione delle banche in più stati è un fenomeno contenuto.

L'infrequente integrazione degli assetti proprietari e il limitato numero di istituti con forte presenza transnazionale non costituiscono dunque indici sufficienti per poter escludere l'esistenza di un sistema bancario europeo, seppur incompleto e in via di perfezionamento.

In effetti, la convergenza di taluni prezzi (quali quelli praticati nell'attività bancaria wholesale o i tassi sui finanziamenti a famiglie e imprese), la distribuzione da parte delle banche di prodotti di risparmio gestito sviluppati da istituti di altri paesi specializzati in quel settore, l'internazionalizzazione dei servizi di consulenza finanziaria alle imprese sono alcuni, significativi, esempi di come stia emergendo un mercato integrato.

Il sistema bancario italiano si colloca in maniera adeguata nel panorama europeo. L'azione di ristrutturazione e liberalizzazione intrapresa a partire dall'inizio degli anni '90 ha indotto dinamismo, favorendo incrementi di efficienza e miglioramento della qualità dei servizi di notevoli dimensioni.

Ha concorso in maniera determinante a questo processo la privatizzazione degli assetti proprietari. Alla fine del 1992 gli istituti bancari di natura pubblica - facenti capo allo Stato o alle Fondazioni - detenevano una quota di mercato poco superiore ai due terzi del totale; oggi, il medesimo valore si attesta a circa un sesto.

Al termine dell'anno scorso, oltre il 70 per cento dell'intermediazione creditizia era svolta da istituti quotati in borsa o facenti capo a società quotate. La presenza diffusa e attiva di soci privati e un efficiente funzionamento del mercato del controllo societario possono costituire un ottimo stimolo ad incrementare l'efficienza e la redditività aziendali, anche attraverso concentrazioni con altri intermediari.

Alcuni dati desunti dall'ultima relazione della Banca d'Italia evidenziano un netto incremento della redditività delle banche coinvolte in operazioni di aggregazione, a fronte del calo mediamente registrato dalle altre aziende di credito: mentre tra il 1997 e il 1999 il ROE delle prime ha avuto un significativo aumento, per le seconde esso è calato, nello stesso periodo, dal 5,8 al 4,4 per cento.

Tra il 1990 e oggi il numero delle banche è diminuito del 27 per cento e si attesta a 862 istituti, di cui quasi un terzo è ricompreso in un gruppo creditizio. Un trend analogo si registra negli altri Stati membri dell'Unione.

I primi cinque gruppi bancari nazionali detengono una quota di mercato del 51 per cento, valore analogo a quello francese e superiore a quello registrato in Germania. Il primo gruppo svolge il 16 per cento dell'intermediazione complessiva.

La concentrazione non è andata a detrimento della concorrenza; piuttosto, quest'ultima ha registrato un notevole incremento, come testimoniano la cresciuta diffusione territoriale degli sportelli, la convergenza dei tassi di interesse alla clientela praticati nelle diverse aree del Paese, lo spostamento delle quote di mercato.

Anche il grado di internazionalizzazione del settore presenta aspetti interessanti. Gli intermediari esteri partecipano al capitale delle maggiori banche nazionali, sono significativamente presenti in diversi segmenti del mercato, tra cui, in primis, la consulenza finanziaria alle aziende, il risparmio gestito, i finanziamenti alle famiglie.

È tuttavia auspicabile, per il futuro, una presenza delle banche italiane sullo scenario europeo e internazionale più adeguata alle dimensioni della nostra economia.

Questi risultati sono il frutto di iniziative legislative coraggiose, del forte impegno delle Autorità creditizie, della capacità del sistema bancario di sapere cogliere le opportunità e rispondere alle sfide. Le banche restano lo snodo principale dell'intermediazione creditizia e finanziaria del Paese; per usare un termine in voga, esse costituiscono il "portale" attraverso cui le famiglie e le imprese accedono ad un numero crescente di servizi, non più solo strettamente bancari, ma anche finanziari, assicurativi, previdenziali. E' importante che le banche sappiano rispondere a richieste così ampie, continuando sempre più lungo la via dell'innovazione, dell'orientamento alle esigenze della clientela, della qualità totale dei servizi.

L'evoluzione dell'attività bancaria: nuove prospettive per la tutela del risparmio

I processi produttivi, le tecniche di finanziamento delle imprese, il modo di operare dei soggetti finanziari sono stati condizionati, soprattutto nell'ultimo decennio, da un forte sviluppo tecnologico che ha permesso un'ulteriore estensione dei confini dei mercati di riferimento già ampliati dal progredire dell'integrazione europea.

I Governi dei Paesi industrializzati hanno assecondato la forza innovativa di tale processo. L'Italia, anche se ancora in ritardo rispetto alla media dei Paesi industrializzati negli investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo, sta significativamente allungando il passo anche in questi settori.

Contestualmente, nel nostro Paese sono state attuate politiche di cambiamento del quadro normativo, con la finalità di assicurare al sistema finanziario e produttivo interno un insieme di regole competitive. Snellezza delle norme, semplicità delle procedure, efficienza della Pubblica Amministrazione acquistano un'importanza fondamentale per il successo di un "sistema-Paese" nello scenario della globalizzazione dei mercati.

Il Governo segue con attenzione l'evolversi del sistema creditizio e finanziario e non si sottrae dal promuovere le azioni necessarie per rispondere alle esigenze manifestate dalle nuove prospettive del risparmio. Provvedimenti quali il Testo unico della finanza, la disciplina della cartolarizzazione dei crediti, il riordino del trattamento fiscale degli strumenti finanziari, le modifiche apportate al Testo unico bancario, il recepimento della direttiva comunitaria sui bonifici transfrontalieri vanno inquadrati in questo sforzo complessivo di adeguamento della cornice normativa finanziaria e creditizia ad un contesto operativo in evoluzione.

Anche in sede comunitaria il Governo manifesta attenzione e impegno sul fronte della regolamentazione dell'intermediazione, fornendo il proprio contributo nella cosiddetta fase normativa "ascendente". Particolare rilievo assumono per il settore bancario e finanziario la recente direttiva sul commercio elettronico, che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 2002, e la proposta di direttiva sulla vendita a distanza dei prodotti finanziari attualmente in discussione. Si tratta dei primi tasselli della piattaforma giuridica comune prefigurata dal Quadro d'azione per i servizi finanziari" approvato dalla Commissione Europea nel 1999.

Sul fronte operativo, il Governo e le Autorità di settore seguono con attenzione il processo di innovazione finanziaria, che dischiude al risparmiatore un crescente spettro di opportunità d'investimento, diversificate in relazione a innumerevoli combinazioni di elementi, quali l'area geografica, il profilo di rischio, le modalità di gestione del portafoglio.

Il complementare processo di innovazione tecnologica, ed in particolare la diffusione a ritmi esponenziali della tecnologia internet, permette agli operatori del settore bancario e finanziario di offrire i nuovi prodotti e gli stessi servizi tradizionali beneficiando dell'apertura di nuovi bacini d'utenza derivante dalla riduzione delle barriere geografiche e, più in generale, dell'attenuazione dei vincoli e dei costi connessi ai canali tradizionali di distribuzione.

Con riguardo specifico al settore bancario, l'opzione strategica dell'internet banking appare attualmente ineludibile, tanto se si concepisce l'operatività on-line come puntello della struttura distributiva esistente, quanto se la si voglia rendere l'asse portante dell'intera operatività dell'intermediario bancario.

Le banche devono però essere consapevoli e affrontare con serietà i risvolti problematici al quale il nuovo strumento espone. Ciò in relazione sia alle difficoltà che il contatto impersonale via rete potrebbe creare in ordine alla valutazione del merito di credito e alla misurazione degli altri rischi tradizionali, sia all'evoluzione dei cosiddetti "altri rischi" innescata dall'integrazione tra tecnologia e attività bancaria. Il riferimento è ai rischi strategici, connessi all'entità degli investimenti richiesti a fronte della rapida obsolescenza dei prodotti; ai rischi operativi, tecnologici e di sicurezza, collegati a possibili inefficienze procedurali, nei controlli o a possibili frodi; ai rischi legali, rivenienti da possibili insufficienze nella conoscenza del regime giuridico dei rapporti e amplificati dalla difficoltà delle normative di stare al passo con la tecnologia; ai rischi di reputazione, connessi alla circostanza che eventuali inefficienze o errori del fornitore dei servizi informatici nonché la mancata realizzazione tecnica delle promesse pubblicitarie possono riflettersi negativamente sull'immagine di mercato dell'intermediario.

Alle banche italiane, che già scontano un sistema di automazione aziendale mediamente poco sviluppato, il salto qualitativo nei canali di distribuzione-informazione interattivi che prescindono dal contatto personale con il cliente risulta però sostanzialmente imposto dalle condizioni competitive del mercato.

Da un lato, aumentano le sollecitazioni competitive indotte da intermediari, anche non bancari, provenienti da paesi tecnologicamente più progrediti: nuovi concorrenti sono anche le imprese operanti nel settore dell'information technology, elettivamente in grado di sviluppare con rapidità prodotti orientati al cliente, sui quali possono canalizzare direttamente parte dei portafogli della clientela bancaria.

Dall'altro lato, quello della domanda, il comportamento e i bisogni dei risparmiatori stanno registrando un cambiamento rapido, in connessione con la veste di "protagonista delle scelte" che la rete internet attribuisce a ciascun utente in tempo reale.

Nel nuovo contesto, il risparmiatore sente ancor più la necessità di essere posto nelle condizioni di valutare consapevolmente tutte le opportunità che gli si presentano, in base ad un plafond informativo ispirato a canoni di completezza, correttezza e trasparenza almeno equivalenti a quelli che troverebbe allo sportello. La tecnologia informatica pone poi esigenze specifiche di sicurezza, che vanno affrontate aggiornando la tecnologia costantemente.

Gli operatori del sistema finanziario dovrebbero soddisfare queste esigenze della clientela prima ancora che venga approvata in sede comunitaria una normativa a tutela della clientela che acquista "a distanza" prodotti finanziari.

Ciò tanto più se si considera che la rete internet rappresenta il più rapido ed economico strumento utilizzabile per la comparazione delle offerte dei diversi operatori.

È dunque anche nell'interesse delle aziende bancarie garantire al cliente "telematico" condizioni che rispondano a standard non inferiori a quelli offerti mediante i canali tradizionali. E' a tutto vantaggio delle banche innescare un circolo virtuoso che conduca il risparmiatore, informato con correttezza e completezza tramite la rete, ad acquistare i prodotti offerti dalle banche, attraverso la stessa distribuzione on-line e nella massima sicurezza, ovvero rivolgendosi ai canali tradizionali.

Sta cioè alle banche fare dell'internet banking l'occasione per operare un salto qualitativo nella direzione del miglioramento dell'offerta dei servizi alla clientela; sta alle banche comprendere, nell'ottica di una competizione a tutto campo, il valore strategico di una "corsa al rialzo" del grado di soddisfazione del cliente.

Le fondazioni bancarie

È ormai giunto in prossimità di significativi traguardi il processo di riordino volto a dare alle fondazioni bancarie una compiuta disciplina. Sembra così finalmente avviarsi a conclusione l'annosa vicenda degli enti conferenti, a distanza di quasi venti anni da quando un "libro bianco" della Banca d'Italia aprì il dibattito sulla privatizzazione delle banche pubbliche, e circa un decennio dopo l'entrata in vigore della Legge Amato-Carli che ha dato inizio al processo di ristrutturazione.

La legge di riforma, seguendo un orientamento costante della recente legislazione, ha inteso scomporre l'ordinamento di settore in una pluralità di fonti tra loro interdipendenti, in maniera tale da temperare la rigidità della disciplina di rango primario con la elasticità tipica delle fonti subordinate e degli atti amministrativi, e da assicurare al contempo adeguati spazi all'autonomia statutaria ed operativa degli enti.

Ferma la fissazione a livello legislativo dei principi generali della materia, da un lato si è riservata agli statuti un'ampia area di disciplina, dall'altro si sono attribuiti all'Autorità di vigilanza poteri di regolamentazione del settore, al fine di coniugare l'imprescindibile esigenza di tutela degli interessi pubblicistici in gioco con le prerogative di autonomia dei soggetti vigilati.

Il procedimento di approvazione delle modifiche statutarie, compiuto anche alla luce delle indicazioni fornite dall'apposito atto di indirizzo emanato dal Ministro del Tesoro, ha costituito il primo delicato banco di prova della validità degli assetti normativi sopra descritti.

La conclusione dell'iter di approvazione si è rivelata più faticosa del previsto. L'Organo di vigilanza, chiamato a verificare la conformità alla legge dei nuovi statuti ha rinvenuto, nella gran parte dei casi, sostanziali scostamenti dal dettato normativo, dovuti anche alla oggettiva difficoltà di recepire in tempi brevi il nuovo e complesso assetto della materia.

Si è reso necessario, pertanto, formulare osservazioni e attendere le risposte delle fondazioni interessate, con notevole dilatazione dei tempi inizialmente previsti. A ciò si aggiunga che diversi attori sociali, economici e politici sono intervenuti nel processo rappresentando opinioni e interessi che sono stati oggetto di attente valutazioni da parte dell'Autorità e che costituiscono conferma della grande attenzione con cui le comunità locali seguono la fase attuativa della riforma.

Si è aperta così una intensa fase dialettica, dai toni talora accesi, sfociata anche in iniziative di carattere giudiziario, in parte ancora in corso. Queste ultime, peraltro, apparivano in gran parte il frutto di una malintesa percezione del contenuto e dello spirito dell'atto di indirizzo e delle osservazioni formulate dal Tesoro, che non rappresentavano altro che lo sviluppo di principi già contenuti nella normativa primaria, come riconosciuto dai giudici amministrativi, e non l'espressione di una volontà di comprimere l'autonomia degli enti.

Ciò va ribadito in particolare per quanto concerne le numerose fondazioni di origine associativa, alcune delle quali hanno contestato l'impianto stesso della riforma. Il Tesoro resta convinto che le peculiarità di tali enti siano una risorsa da valorizzare e non già un'anomalia da eliminare e ha mostrato la massima disponibilità ad un confronto aperto e costruttivo; prova visibile è stato l'accordo intervenuto all'inizio dell'estate con il Presidente dell'ACRI per pervenire a soluzioni idonee a garantire tutti gli interessi coinvolti.

La delicata fase dell'approvazione degli statuti sembra comunque avviata a conclusione. Considerando i dati relativi alla seconda decade di ottobre, risultano approvati definitivamente 60 statuti su complessivi 89. Altri 17 statuti sono stati approvati in forma condizionata, ossia subordinatamente al recepimento di talune indicazioni fornite dall'Organo di vigilanza, che erano state trascurate.

Considerato che all'inizio di luglio solo 8 statuti avevano ottenuto l'approvazione, non sembra azzardato affermare, sia pure con le cautele del caso, che la strada appare ormai in discesa. E di ciò va dato merito anche all'ACRI, che con l'occasione intendo ringraziare per lo sforzo profuso.

Con l'approvazione degli statuti sarà giunta a compimento la fase per così dire "preparatoria" della riforma. Prenderà così il via la fase della concreta operatività delle fondazioni, le quali, divenute soggetti di diritto privato, saranno chiamate a dimostrare la propria capacità di porsi come punti di riferimento della società civile e in particolare della comunità territoriale di riferimento.

Condizione essenziale affinché le fondazioni possano svolgere con efficacia il nuovo ruolo è la realizzazione di un'adeguata redditività del patrimonio e l'abbandono degli interventi in settori di impresa che non siano strettamente strumentali ai fini di utilità sociale. Conseguenza immediata è la necessaria dismissione delle partecipazioni di controllo detenute nella società bancaria conferitaria

Fin dalla legge Amato-Carli, uno dei punti nevralgici del processo di riforma delle fondazioni bancarie è stato la disciplina delle partecipazioni di controllo detenute dagli enti conferenti nel capitale delle banche. Sul punto, le scelte della legge di riforma appaiono inequivoche: continuando sulla strada della privatizzazione sostanziale già intrapresa dal legislatore a partire dalla metà degli anni '90, si prevede che le fondazioni bancarie potranno perseguire esclusivamente scopi non profit di utilità sociale e di sviluppo economico; coerentemente, ad esse è stato espressamente vietato di continuare ad esercitare il controllo sulle banche conferitarie, ferma invece la facoltà di acquisire partecipazioni di controllo in enti o società che abbiano per oggetto esclusivo l'esercizio di imprese strumentali, in armonia con la loro vocazione etica.

Alla stessa logica di separatezza tra fondazione e banca obbedisce del resto l'intero impianto della riforma: così il divieto di cumulo delle funzioni di amministratore nella fondazione e nella banca conferitaria e l'obbligo di prevedere in sede statutaria ipotesi di incompatibilità riferite anche alla carica di direttore generale della società bancaria conferitaria.

Affermato il principio di separazione, il legislatore si è preoccupato di contemperarlo con le prerogative di autonomia delle fondazioni, nonché con l'obiettiva esigenza di tenere conto della delicatezza delle operazioni di dismissione, specie se riguardanti società quotate, così da permettere alle fondazioni di valorizzare il proprio investimento, evitando i rischi di una affrettata alienazione.

Allo scopo di incoraggiare la spontanea uscita delle fondazioni bancarie dal settore del credito, è stato riproposto l'ormai consueto meccanismo volontario basato sulla incentivazione fiscale. Come è noto, la Commissione europea ha sollecitato la sospensione dei benefici in discorso, al fine di poterne acclarare la compatibilità con i principi comunitari in materia di aiuti di Stato e di concorrenza. La questione forma ancora oggetto di un dialogo istituzionale tra Governo e Commissione e personalmente confido che - anche alla luce della natura non profit degli organismi in considerazione - la vicenda possa giungere ad una conclusione che non pregiudichi in alcun modo gli interessi della categoria.

La maggiore novità introdotta in materia dal D.Lgs.153/99 rispetto alla precedente normativa era l'attribuzione alla stessa Autorità di vigilanza del potere di provvedere alla cessione della quota azionaria, anche mediante la nomina di un commissario ad acta, in caso di mancato rispetto del termine concesso per la dismissione del controllo.

È bene però sottolineare che, nonostante il termine concesso dalla legge, le fondazioni saranno comunque tenute a disfarsi della propria partecipazione in tempi più rapidi qualora il perdurare della titolarità incida negativamente sulla gestione del patrimonio dell'ente, impedendo una sufficiente diversificazione o il raggiungimento di un'adeguata redditività.

Successivamente all'entrata in vigore del D.Lgs.153/99, trentatré fondazioni hanno deliberato operazioni di alienazione delle azioni detenute nella società bancaria conferitaria, mentre numerose altre fondazioni hanno portato a termine operazioni di dismissione già intraprese nel corso del passato regime. Può ben dirsi, dunque, che il processo di progressivo abbandono del settore creditizio da parte delle fondazioni stia andando avanti, seppure risultano sussistere ancora numerose posizioni di controllo azionario.

Il processo di riordino del settore si avvia quindi a conclusione. Esaurita la fase statutaria il Tesoro potrà concentrarsi sul completamento della normativa di settore, procedendo all'emanazione degli altri atti di carattere generale previsti dalla legge concernenti, tra l'altro, i bilanci, la diversificazione degli investimenti, le procedure operative in materia di partecipazioni nella società bancaria conferitaria e i parametri di adeguatezza delle spese di funzionamento.

Per l'ultimazione del processo di riordino, comunque, un decisivo contributo può e deve essere fornito anche dalle singole fondazioni. Ad esse si chiede di superare gli atteggiamenti di diffidenza o addirittura di ostilità, talora assunti in passato, per guardare alla riforma come ad una occasione per proporsi come protagoniste della società civile. Le attende una missione ambiziosa: assumere un ruolo di centralità nel settore del non profit; e ciò sia come imprenditori sociali, ossia attraverso la gestione diretta di iniziative e progetti, sia come sovventori del terzo settore, sia come catalizzatori di iniziative che vedano la partecipazione e lo sforzo congiunto anche di altri soggetti operanti nel territorio di riferimento.

È ancora presto per capire verso quale dei modelli di fondazione, operating o grant-making, si orienteranno le concrete scelte gestionali delle singole fondazioni; ciò che può dirsi fin d'ora è che entrambi i moduli operativi sono potenzialmente in grado di soddisfare l'istanza di sussidiarietà orizzontale tra operatori pubblici e privati che ormai costituisce uno dei cardini degli ordinamenti del post welfare.

La riforma dell'assistenza - la prima dopo oltre un secolo - approvata dal Parlamento nei giorni scorsi esemplifica, con chiarezza, questa impostazione e, stimolando la crescita dell'impresa sociale, apre uno spazio importante alle iniziative del non profit. Uno spazio che gli attori principali del settore - fra cui spiccano oggi le Fondazioni bancarie - vorranno e sapranno certamente occupare.

Il mercato finanziario italiano

Il mercato finanziario italiano negli ultimi anni è stato caratterizzato da elementi di forte crescita ed innovazione. L'introduzione di significative riforme nel campo dell'intermediazione finanziaria e, nel contempo, il collocamento di un ingente ammontare di titoli azionari nell'ambito delle politiche di privatizzazione, ne hanno favorito lo sviluppo.

Il panorama delle riforme concluse nel corso degli anni '90 - ed in particolare l'adozione dei due testi unici in tema di banche e di intermediari finanziari - è stato ispirato dall'obiettivo di dotare il sistema finanziario italiano di un ordinamento efficiente e competitivo. La ricerca di strumenti normativi idonei ad ottimizzare il circuito di trasferimento del risparmio dalle famiglie alle imprese è stata condotta tenendo presente l'esigenza di confrontarsi su posizioni di parità con gli altri principali paesi europei e di adeguare il sistema italiano agli standard internazionali.

I dati oggi disponibili sui volumi di risparmio gestito ovvero quelli sulla capitalizzazione di borsa consentono di affermare che il mercato finanziario ha raggiunto dimensioni più vicine a quelle di economie aventi dimensioni analoghe alla nostra.

Lo sforzo compiuto sino ad oggi per inserire il mercato finanziario italiano nel contesto dei sistemi più evoluti si trova ad affrontare una nuova sfida: la creazione di un mercato finanziario integrato in ambito europeo.

Il mercato europeo non può più operare con le frammentazioni ancora esistenti che si traducono in costi ed inefficienze per i risparmiatori e le imprese. Nonostante i progressi compiuti, l'attuale sistema è ancora caratterizzato da una pluralità di realtà nazionali, che mal si conciliano con la prospettiva della competizione globale.

L'esigenza di eliminare i residui ostacoli, per il raggiungimento dell'obiettivo di un mercato finanziario unico, è divenuta ancor più urgente con l'avvio della terza fase dell'Unione Monetaria Europea. L'introduzione dell'euro, oltre a rendere più evidenti le segmentazioni del settore finanziario rispetto a quello della moneta, ha accresciuto la potenziale competizione tra mercati organizzati nell'offerta di attività finanziarie cross-border, mettendo in evidenza l'inefficienza e le distorsioni competitive provocate dall'attuale quadro regolamentare.

È necessario agire con convinzione su due leve distinte ma connesse tra loro: da un lato è indispensabile contribuire alla realizzazione delle iniziative concepite in sede comunitaria per sviluppare il processo di integrazione dei mercati, secondo quanto previsto dal Financial Services Action Plan, dall'altro lato occorre proseguire l'autonomo processo di modernizzazione della normativa nazionale in materia.

Sul piano nazionale occorre rammentare che la normativa italiana emanata con il Testo Unico della Finanza, e completata dai relativi regolamenti di attuazione, esprime già una disciplina tra le più avanzate nel contesto comunitario e dotata di un grado di flessibilità che le consente di adeguarsi con rapidità all'evoluzione del mercato.

È tuttavia necessario ampliare lo sforzo riducendo ulteriormente le rigidità normative esistenti per evitare i rischi di un'emarginazione competitiva del mercato italiano per effetto di fenomeni di arbitraggio regolamentare.

Sul piano europeo le istituzioni nazionali sono chiamate a cooperare per elaborare nuove soluzioni che consentano di dotare il mercato comunitario di una strumentazione normativa idonea a favorirne l'integrazione.

Il percorso è stato delineato nel Financial Services Action Plan, che si articola in una pluralità di iniziative che devono essere attuate negli ordinamenti nazionali entro l'anno 2005; è impegno di tutti gli Stati contribuire alla sua realizzazione, rinunciando alle posizioni più marcatamente campanilistiche.

Occorre valutare quali siano gli interessi nazionali imprescindibili da difendere e abbandonare la difesa strenua dell'ordinamento nazionale anche nei suoi aspetti più analitici, che potrebbe oltretutto indebolire l'efficacia dell'azione del nostro Paese nel processo di determinazione delle scelte in ambito comunitario.

Tra le questioni alle quali il nostro Paese ha attribuito maggiore rilievo vanno menzionate la necessità che l'integrazione finanziaria sia accompagnata da un accettabile grado di convergenza fiscale e, aspetto di particolare interesse in questa giornata dedicata al risparmio, la tutela dei consumatori.

In particolare l'utilizzazione dei canali informatici, e in primo luogo di Internet, per la prestazione dei servizi finanziari pone delicati problemi di protezione dei risparmiatori. La direttiva sul commercio elettronico, prendendo atto della naturale attitudine del commercio on line ad agevolare l'operatività transfrontaliera, pone quale principio generale l'applicazione della regolamentazione del Paese di origine del prestatore dei servizi.

Per parte italiana si è sostenuta la necessità di non privare il consumatore della protezione derivante dall'applicazione delle regole del suo Paese di residenza. Una diversa impostazione può essere seguita solo in presenza di un elevato grado di armonizzazione delle norme dei Paesi dell'Unione; il negoziato sulla direttiva sulla vendita a distanza dei servizi finanziari può costituire la sede per il perseguimento di un più elevato livello di tutela degli investitori non professionisti.

Ciò detto, siamo tutti consapevoli che rimane ancora molto da fare per garantire una collocazione adeguata alla nostra industria finanziaria in ambito europeo.

Al Consiglio europeo di Lisbona del marzo scorso, i capi di Stato e di Governo hanno collocato entro il 2005 l'obiettivo di un mercato integrato dei capitali e dei servizi finanziari nell'Unione.

Per monitorare il complesso delle iniziative in atto tra le piazze finanziarie europee e valutare le implicazioni del processo di integrazione dei mercati finanziari è stato ricostituito nel luglio scorso il Comitato Piazza finanziaria italiana.

Il Comitato sta attualmente affrontando due rilevanti questioni di carattere prevalentemente normativo e tecnico, che sono alla base di qualsiasi scelta sul futuro dell'industria nazionale dei servizi finanziari.

La prima riguarda l'impatto sul quadro normativo italiano della tendenza alla concentrazione a livello europeo dei mercati e delle istituzioni relative nonché le necessarie iniziative di armonizzazione in sede comunitaria.

La seconda prospetta la definizione di indirizzi atti a valorizzare le strutture del nostro Paese attraverso forme di coordinamento che coinvolgano l'intero processo produttivo della filiera dei mercati.

Sotto questo secondo profilo, l'indirizzo strategico non può che essere quello inteso a salvaguardare e sfruttare i punti di forza della piazza finanziaria italiana: dall'esistenza di mercati telematici efficienti alla presenza di un'unica infrastruttura per le attività di trading e post-trading operante su tutti i mercati, al ricorso crescente al mercato azionario di imprese di media dimensione, da un lato, e di investitori privati ed istituzionali, dall'altro.

Questo obiettivo è perseguibile anche all'interno di un sistema di mercati europei cui partecipino, a parità di condizioni, tutti i mercati nazionali, garantendo piena operatività in remote linking per tutte le fasi di cui si compone una contrattazione.

Un network di poli dotati di tutte le funzioni, al cui interno potessero liberamente muoversi gli investitori e gli intermediari di tutta l'Unione, indurrebbe una utile concorrenza fra le infrastrutture locali di mercato mobiliare.

Una competizione alla quale l'industria finanziaria italiana - irrobustita dalle trasformazioni normative e tecnologiche intervenute negli ultimi anni - può validamente partecipare con concrete possibilità di affermazione.