Benvenuto sul sito del Ministero dell’Economia e delle Finanze, conosciuto anche come Portale mef

Contenuto principale

Intervento del Ministro del Tesoro

07/06/2000

INTERVENTO DEL MINISTRO DEL TESORO

VINCENZO VISCO

Commissione Bilancio, Senato della Repubblica

Mercoledì 7 giugno 2000

Signor Presidente, onorevoli Senatori,

Vi ringrazio per l'invito che mi avete rivolto. Da ormai più di un anno il nostro Paese sta vivendo una strana stagione, nella quale si manifestano segnali forti e incoraggianti di ripresa produttiva, si registrano significativi incrementi nell'occupazione, si può affrontare il dibattito sui documenti di bilancio in modo sereno, essendo finito il tempo dell'aggiustamento forzoso; e tuttavia, contemporaneamente, in varie sedi, cresce invece l'immagine di un'Italia a pezzi, di un Paese ridotto allo stremo, di un'economia che inutilmente cerca di inseguire i suoi partner europei senza riuscire ad affrancarsi dalla storica condizione di "fanalino di coda".

C'è, dunque, una incredibile dicotomia fra ciò che i dati e i nostri "fondamentali" dicono - dicono a noi, ma anche all'estero, dove infatti l'Italia raccoglie lusinghieri apprezzamenti - e ciò che l'Italia pensa di se stessa e gli italiani pensano del proprio Paese.

Non può non stupire, ad esempio, che proprio oggi la gran parte degli organi di informazione abbiano riferito del rapporto Ocse sull'Italia enfatizzando il capitolo dedicato alla riforma delle pensioni: riforma necessaria, naturalmente, sulla quale l'Ocse dà anche alcuni suggerimenti, ma che in nessun modo indica come emergenza, inserendo - al contrario - le sue osservazioni in un contesto di espliciti e ripetuti apprezzamenti per il risanamento compiuto, per la ripresa avviata, per i positivi effetti delle riforme introdotte in materia fiscale e di pubblica amministrazione.

Sembra quindi opportuno cercare ancora una volta di rimuovere questa evidente contraddizione tra realtà concreta del nostro Paese e la capacità degli italiani di capirla e di viverla.

Il quadro macroeconomico: la ripresa è in atto

Le informazioni congiunturali più recenti e le previsioni aggiornate degli organismi nazionali ed internazionali confermano la forte ripresa dell'economia mondiale.

La crescita mondiale è prevista ad una percentuale superiore al 4% nell'anno in corso e il volume del commercio mondiale all'8%.

In questo quadro, la ripresa europea mostra di aver assunto un andamento robusto e stabile. Il corso dell' Euro, che nei mesi scorsi aveva subito la pressione del dollaro, sembra aver superato il suo picco di discesa, tornando adesso a riflettere l'evoluzione positiva dei fondamentali.

In tale contesto, forse anche più positivo di quanto ci si attendesse fino a qualche tempo fa, sta acquistando progressivamente vigore la ripresa dell'economia italiana

A marzo, si è registrato - per il quinto mese consecutivo - un trend positivo della produzione industriale e i dati anticipatori segnalano incrementi anche per i mesi di aprile e maggio. Nello stesso mese gli indici del fatturato e degli ordinativi dell'industria hanno segnato un forte incremento rispetto allo stesso mese dell'anno precedente, tanto sul mercato interno quanto sui mercati esteri. Gli incrementi hanno riguardato, in particolare, i comparti dei beni intermedi e di investimento.

Nel mese di aprile, le imprese industriali hanno visto stabilizzarsi - sui livelli più elevati dell'ultimo triennio - il proprio clima di fiducia mentre rimangono solidamente positive le aspettative di produzione e della domanda a tre-quattro mesi.

Lo scenario 2001-2004: crescita sostenuta senza inflazione

Nel complesso, i segnali di ripresa dell'attività produttiva consentono - per il 2000 - di mantenere un'ipotesi di crescita del prodotto interno lordo vicina al 2,7% (e quindi superiore al 2,2% originariamente previsto) e di ipotizzare una ulteriore accelerazione fino a raggiungere, mantenere e forse superare il 3,0% nel corso del quadriennio successivo.

Per quanto riguarda l'anno in corso, potrebbe trattarsi di una sottostima: nel suo rapporto annuale sull'Italia - presentato proprio ieri - l'Ocse ci attribuisce, infatti, una previsione di crescita per l'anno in corso anche maggiore di quella da noi stessa formulata e pienamente in linea con l'andamento della crescita europea.

La ripresa sarebbe sostenuta, in larga misura, dalla domanda interna ed in particolare dagli investimenti fissi lordi (per i quali stanno avendo piena efficacia gli incentivi fiscali).

All'interno di questo quadro previsivo, un elemento di incertezza è legato alla crescita dei consumi delle famiglie i cui comportamenti - ancora volatili nella rappresentazione dei relativi indicatori di fiducia - potrebbero essere positivamente influenzati dalla qualità e quantità delle prossime scelte di finanza pubblica.

Sotto il profilo occupazionale, le unità di lavoro supererebbero nel 2004 i 24,4 milioni rispetto ai 23,4 milioni previsti per il 2000; il tasso di disoccupazione scenderebbe sotto il 10% nel 2001 per collocarsi intorno all'8% nel 2004. Se la crescita rimanesse elevata e stabile in Europa, come è avvenuto negli Stati Uniti, l'obiettivo della piena occupazione prima del 2010 sarebbe raggiungibile.

Il tasso di inflazione programmato - rivisto per il 2000 al 2.2% - verrebbe fissato all'1,7% nel 2001 ed all'1,2% negli anni successivi.

L'evoluzione del tasso d'inflazione, il cui valore tendenziale è sceso, in aprile, sotto il 2,3% per poi ritornare nelle stime provvisorie di maggio intorno al 2,5%, mostra una dinamica che richiede tuttavia grande attenzione. Si tratta di una dinamica destinata, in linea di principio, a rallentare, anche se permangono i segni di tensione sul mercato petrolifero e incidono - sia pure in misura limitata - fluttuazioni anche ampie dei tassi di cambio. Una dinamica che, non essendo più limitata ai prodotti energetici o energy-intensive, è tornata ad evidenziare le ragioni interne e settoriali dell'inflazione italiana, con particolare riferimento al comparto dei servizi dove spesso permangono vincoli, impliciti o espliciti, alla concorrenza o dove - come nel caso dei servizi pubblici locali - la disciplina competitiva è ancora assente. Valgano, per tutti, gli esempi di settori come i servizi bancari (+5,5% a maggio), gli alberghi e ristoranti (+5,1%) ma anche la raccolta dei rifiuti (+5,3%).

Detto ciò, va comunque messo bene in evidenza che siamo di fronte a percentuali di inflazione molto bassa, di assai scarsa pericolosità, che è bene sorvegliare ma che non hanno niente a che fare con quelle di tempi, neppure troppo lontani, in cui l'Italia soffriva di tassi molto superiori e, soprattutto, molto maggiori di quelli diffusi negli altri Paesi europei. Nella situazione di allora, la spirale inflazione - tassi - debito - svalutazione del cambio aveva condannato il nostro Paese all'inesorabile espulsione dal consesso dei Paesi avanzati. Quella spirale è stata spezzata definitivamente con il risanamento del 1997.

La politica economica: una nuova stagione di politica dei redditi.

Lo scenario descritto poggia su una precisa ipotesi di moderazione salariale: le retribuzioni lorde per dipendente - per le quali si prevede una crescita del 2.3% nel 2000 - crescerebbero del 2.2% nel 2001 e dell'1,7% negli anni successivi; in termini reali, le retribuzioni lorde crescerebbero quindi in maniera apprezzabile, anche se non superiore alla crescita della produttività del lavoro che risulta pari al 2%.

In questo contesto, la difesa dei redditi reali netti dei lavoratori è ottenibile attraverso una compressione del cuneo fiscale che separa le retribuzioni nominali dall'effettivo potere d'acquisto dei lavoratori.

Per chi non lo ricordasse: è un'azione - questa - che è già stata intrapresa. E' appena il caso di ricordare, per quanto riguarda il passato, che fra il 1996 ed il 1999, le retribuzioni lorde reali sono cresciute del 4.4% (a fronte di una diminuzione pari al 2,3% fra il 1992 ed il 1995); nello stesso periodo la produttività del lavoro è cresciuta del 3.2% (a fronte di un incremento pari all'8.8% fra il 1992 ed il 1995).

Per quanto riguarda, invece, il reddito disponibile delle famiglie (cioè, al netto delle imposte) questo è cresciuto - sia pure in misura modesta - nell'ultimo quadriennio nonostante la pesante riduzione dei redditi netti da proprietà (ed in particolare degli interessi netti) intervenuta a partire dal 1997.

A ciò hanno contribuito, sia pure parzialmente, gli interventi fiscali a favore delle famiglie e dei pensionati. Alcune simulazioni effettuate sulla base della indagine Banca d'Italia sui redditi delle famiglie separatamente per le famiglie con capofamiglia lavoratore dipendente o pensionato suggeriscono che il cuneo fiscale sui redditi di quelle tipologie familiari avrebbe invertito la tendenza già nel 1998 riducendosi apprezzabilmente; e ciò - si noti - in presenza di un miglioramento sensibile di alcuni indicatori distributivi il che sottolinea come gli interventi abbiano beneficiato in particolare i meno abbienti.

Lo stesso può dirsi per quanto riguarda la politica tariffaria. Nell'insieme dei servizi di pubblica utilità, le tariffe sono aumentate in media dell'1,5% all'anno tra il 1996 ed il 1999 e quindi hanno contribuito alla discesa dell'inflazione. Nel 1999 l'aumento medio è stato dello 0,6%, e quindi significativamente inferiore al tasso di inflazione. E, al netto degli effetti del rialzo dei prezzi del greggio, ciò sarà in ogni caso vero per l'intero paniere dei prezzi controllati (1.1% nel 2000 rispetto al 2.7% che incorpora l'andamento dei prezzi del petrolio).

Una nuova stagione di politica dei redditi è dunque oggi possibile in quanto è possibile disporre dei frutti dei quattro anni di attività dei governi di questa legislatura: frutti che, in molti campi fra cui in particolare quello fiscale, possono oggi essere non già semplicemente redistribuiti ma utilizzati per garantire al Paese un sentiero di crescita stabile e non inflazionistico.

Non si tratta dunque - come in passato - di porre le condizioni per un'azione decisa di risanamento della finanza pubblica. Si tratta - piuttosto - di utilizzare i risultati dell'opera di risanamento e di riforma che in misura considerevole può considerarsi già compiuta per consentire una stagione rinnovata di politica economica.

La finanza pubblica: rischi ed opportunità

Se e quanto sia possibile colmare il divario di crescita dei salari reali rispetto alla produttività dipende crucialmente dagli andamenti di finanza pubblica le cui tendenze richiedono - per quanto riguarda la spesa - una attenta vigilanza.

Sono noti i segnali di attenzione sollevati sui recenti andamenti di alcuni capitoli di spesa e ci si riferisce, in particolare, alla spesa degli enti regionali (inclusa la spesa sanitaria).

Per quanto riguarda gli andamenti congiunturali di questi ultimi mesi, si osserva infatti una accelerazione dell'impatto dell'attività regionale sul fabbisogno del settore statale. I dati che il Tesoro diffonde mensilmente mostrano una accelerazione che è stata molto forte nei primi due mesi dell'anno e che sta gradatamente rientrando verso valori che tuttavia permangono molto elevati: i primi 4 mesi del 2000 rispetto ai primi 4 mesi del 1999 registrano una crescita superiore al 10%. Si deve sperare che una parte di tale incremento possa essere dovuto al millenium bug che ha spostato pagamenti dal dicembre 1999 al gennaio 2000, nel qual caso il fenomeno sarebbe destinato ad essere riassorbito nella contabilizzazione di più lungo periodo.

La preoccupazione, viceversa, trova conferma se osserviamo l'incremento del fabbisogno e della spesa nel corso del triennio 1996-1999, un periodo nel quale si è avuto, anche per effetto di iniziative legislative che hanno aumentato il ruolo delle regioni nel processo di spesa, un aumento del fabbisogno e delle spese, sanità inclusa, superiore alla crescita del reddito nazionale in termini monetari.

I dati di fabbisogno per il sistema regionale nel suo complesso mostrano, per il triennio 1996-1999, tassi di crescita medi annui pari al 6,7%, cioè una percentuale molto superiore alla crescita del PIL monetario.

Un po' di questa crescita è dovuta allo sviluppo dei programmi comunitari gestiti attraverso i bilanci regionali, un piccola parte è dovuta al ripiano di disavanzi pregressi della sanità. In larga parte, invece, risponde a una reale crescita della spesa sanitaria e della spesa per le altri funzioni ordinarie delle Regioni a statuto ordinario e a statuto speciale.

Su questa materia credo che occorra la massima chiarezza, anche per evitare che il Parlamento e il Paese giungano al formarsi di opinioni condizionate da onde polemiche alle quali il governo è e vuole restare assolutamente estraneo, e per ottenere, invece, su tale delicata questione tutta l'attenzione e tutto l'impegno che, ai diversi livelli di responsabilità, sono comunque necessari.

E' probabilmente opportuno ricordare ciò che è stato fatto in materia di riforma della finanza regionale. Proprio in questa commissione ci sono state importanti discussioni sul testo del decreto delegato presentato dal governo. Molte delle osservazioni proposte dal Parlamento sono state incorporate nel testo del decreto delegato. Tutto il decreto delegato è stato discusso ripetutamente, in sedi tecniche e in sedi politiche, con le rappresentanze delle Regioni. Il governo ha accettato suggerimenti, proposte e condizioni poste dalle Regioni per dare il loro assenso e sono state trovate così anche buone soluzioni ai delicati problemi di interazione tra principi di autonomia, regole di solidarietà e progressivo superamento della spesa storica.

Quella vicenda ha costituito un importante precedente per una strategia delle riforma della finanza regionale. Ricordo che nel provvedimento sono incluse anche norme che consentono un finanziamento automatico delle nuove funzioni trasferite ai sensi della legge 59/1997.

Oggi i dati mensili sul fabbisogno suscitano qualche preoccupazione. Il fabbisogno del settore statale è l'indicatore a cui i mercati guardano per valutare la continuità dell'azione di risanamento intrapresa in quattro anni dai governi di questa legislatura. Che deve fare il governo quando osserva dati non coerenti con le proiezioni che il Parlamento stesso ha assunto come base per le proprie determinazioni? Non può né vuole ingerirsi negli affari di governi dotati di autonomia politica e finanziaria, anche se dalla Comunità già emergono segnali che ci ricordano come la responsabilità del rispetto delle politiche di bilancio contenute nei patti appartenga comunque al governo nazionale. Ciò non toglie, tuttavia, che il vincolo di bilancio richieda l'impegno di tutti i soggetti di governo e tanto più lo richiede quanto più convinta è la costruzione dell'autonomia nella cui sfera è compreso il principio di responsabilità.

Quello della coerenze dei comportamenti con le indicazioni programmatiche costituisce nei rapporti finanziari tra centro e periferia il tema più delicato e più complesso. Il federalismo fiscale è, sì, fatto di decentramento, di devolution, di autonomia finanziaria ma è fatto anche di separazione delle responsabilità, di vincoli di bilancio e di contribuenti da rispettare.

Per queste ragioni è intenzione del governo procedere, con le Regioni e gli Enti locali, ad un attento esame della situazione allo scopo di individuare le origini e le voci della crescita del fabbisogno, valutarne il merito, misurarne le prevedibili evoluzioni e individuare insieme, là dove sarà opportuno, le iniziative necessarie perché ciascuno nel proprio ambito eserciti i propri poteri al fine del rispetto dei vincoli di bilancio stabiliti: ciò nell'interesse primo dei cittadini, ai quali non è lecito negare, per errori amministrativi o per scarsa vigilanza, la distribuzione dei benefici derivanti dal risanamento compiuto.

A questi fattori legati alla spesa primaria, va aggiunta una tensione alla crescita della spesa per interessi derivante dalla sia pur contenuta crescita dei tassi, che rende necessaria una rigorosa gestione del debito.

E' il debito, infatti, il problema più pesante che il Paese deve superare: si tratta di un onere doppio, in quota di Pil, rispetto a quello che grava sui nostri Partner europei e che assorbe, quindi, il doppio delle risorse che gli altri devono destinare al pagamento degli interessi. Il percorso di rientro è già ben avviato e nei 4 anni trascorsi siamo scesi dal 122,1% del Pil al 115,1%: ma ciò non ci esime dall'obbligo di spendere ogni anno per il pagamento degli interessi circa 70.000 miliardi più di quanto non dovremmo se fossimo a quel 60% che è ritenuto equilibrato per l'Europa e che rappresentava il livello del debito italiano all'inizio degli anni '80. Con una disponibilità aggiuntiva di 70.000 miliardi, avremmo avuto - e avremmo anche oggi - risorse per robuste riduzioni di imposta, per energici interventi sociali, per importanti investimenti aggiuntivi: chi oggi reclama queste cose e protesta per la prudenza del governo, o ignora quanto quel debito abbia pesato sulle vicende italiane degli ultimi 10 anni, o ritiene che ad esso si possa disinvoltamente tornare nonostante lo sforzo compiuto per avviarne il taglio.

E' opportuno poi sottolineare come la gestione del debito pubblico italiano in questi ultimi anni sia considerata, a livello internazionale, fra le più efficienti del mondo, sia per la completezza della gamma di strumenti offerti, sia per come si è riusciti a creare le condizioni di efficienza e di competitività del mercato secondario.

Per conseguire questi risultati si sono tempestivamente sfruttate tutte le potenzialità offerte dalle innovazioni tecnologiche via via che queste si presentavano:

  • così l'Italia è stato fra i primi paesi al mondo ad impiantare un sistema di asta telematica aperto ad un elevato numero di partecipanti, con caratteristiche di grande affidabilità e sicurezza;
  • così il modello di mercato secondario telematico MTS (di cui si è peraltro guidato il processo di privatizzazione) sta diventando lo standard a livello europeo;
  • così, più recentemente, si è sfruttato il sito Internet del Tesoro per raccogliere gli ordini di collocamento di un global bond, emesso nel quadro di tutte quelle emissioni che sono complementari al programma di asta dei titoli tradizionali (BOT, BTP, CCT, CTZ) e consentono di allargare la base degli investitori, riducendo nel contempo i costi di finanziamento. Oltre ai global bond, tali emissioni comprendono strumenti di breve termine, quali la carta commerciale, e di medio lungo termine, come le EMTN (Euro Medium Term Notes), le quali, introdotte dal 1999, proprio grazie al fatto di non essere legate ad una struttura standard, danno grande flessibilità alla gestione del debito e consentono di soddisfare, a condizioni di favore per il Tesoro, nicchie di mercato che altrimenti non potrebbero essere raggiunte.

La progressiva riduzione del numero delle aste, cominciata nel 1997 con i BOT, poi gradualmente estesa agli altri strumenti di debito, ha consentito di alleggerire la pressione sui tassi di mercato, contribuendo significativamente alla riduzione del costo del debito. Un ulteriore passo in questo senso si avrà nel prossimo semestre, quando anche il BTP quinquennale verrà proposto una sola volta al mese, e non più quindicinalmente.

Particolarmente importante è il fatto che tutto questo processo si sta svolgendo senza diminuire la liquidità dei titoli in circolazione, pur in un contesto estremamente competitivo quale quello del mercato, ormai continentale, delle obbligazioni in euro. Anzi, in alcuni comparti, come ad esempio il titolo trentennale, il BTP ha assunto il ruolo di riferimento nel mercato europeo.

Non bisogna infine dimenticare la componente di gestione del debito che opera attraverso il Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato, utilizzando i proventi delle privatizzazioni per il riacquisto di titoli sul mercato o per il rimborso a scadenza.

Questa attività ha consentito, dal 1995 ad oggi, di ridurre il debito per oltre 107.000 miliardi di lire, con un risparmio di spesa per interessi cumulato fino al 2003 stimato in oltre 18.500 miliardi.

Le privatizzazioni

Per ridurre il debito, ma anche per attuare la conversione della nostra economia resa necessaria ed urgente dai profondi cambiamenti in atto, è intenzione del governo procedere con la maggiore speditezza possibile nel programma di dismissioni.

Oltre alla vendita delle partecipazioni residue in Imi-San Paolo, Ina, Unim e Cis, è prevista la vendita della partecipazione residua in Telecom Italia (3,4% circa del capitale ordinario), la vendita della partecipazione residua in Banco di Napoli (17% circa del capitale ordinario), il collocamento di una tranche ulteriore della partecipazione in Enel.

Inoltre, com'è noto, entro il 30 giugno prossimo, si provvederà a mettere in liquidazione l'Istituto per la Ricostruzione Industriale, concludendo per quella data l'operazione di vendita delle partecipazioni di Iri in Finmeccanica e Aeroporti di Roma e collocando sul mercato quote di minoranza in Fincantieri e Tirrenia , come richiesto dalla Commissione europea.

La conferma dei vertici dell'Alitalia poggia su un mandato preciso che riguarda sia il ritorno a condizioni di equilibrio di bilancio, sia il raggiungimento di quegli accordi di alleanza necessari per affrontare validamente la concorrenza.

Altro problema è invece quello che riguarda la collocazione della Rai, che dovrà in ogni modo salvaguardare le indicazioni parlamentari e rispettare le scelte che lo stesso Parlamento sta compiendo nell'esame di alcuni importanti provvedimenti.

La scomparsa dell'Iri sarà, per l'Italia, un fatto storico. E' superfluo ricordare in questa sede che cosa abbia rappresentato quell'Istituto nella vicenda italiana di tutta la seconda metà del secolo: il suo ruolo di pilastro portante del sistema nazionale è noto a tutti, come sono note le implicazioni profonde di poteri e indirizzi anche politici che quel ruolo ha comportato. Forse è proprio nella sua liquidazione ormai prossima il segno più forte e rappresentativo del cambiamento in atto nel nostro Paese. Ma va anche sottolineato che la liquidazione di un così importante pezzo della struttura economica del Paese è stata preparata e condotta senza scossoni, senza traumi, ma - al contrario - traendo da ciò, per lo Stato e per la collettività, il massimo del beneficio possibile: qualcosa come 20.000 miliardi, quando fino a pochi anni fa l'Istituto era in pesantissima perdita e un'evoluzione simile non era neanche pensabile.

In questi quattro anni di governi, invece, è stato fatto anche questo, ed è stato realizzato, nel complesso, un programma di privatizzazione di dimensioni vastissime.

Dal '96 ad oggi l'erario ha incassato 122mila miliardi quali proventi delle dismissioni effettuate, attraverso le quali l'arretramento dello Stato dall'economia reale è stato il più vistoso che qualsiasi Paese abbia realizzato fino ad oggi.

Anche da questo processo - oltre che da un massiccio spostamento del risparmio dal mercato dei titoli di Stato resi meno attraenti dal forte calo degli interessi - è derivato uno straordinario sviluppo della Borsa italiana, passata da una capitalizzazione di circa 200 milioni di euro, pari al 20,6% del Pil, ad una di 825 milioni di euro, pari al 72,8% del Pil.

Ma i processi di liberalizzazione e privatizzazione svolti in questo periodo non hanno solamente una valenza di ordine finanziario: si tratta infatti di processi decisivi per la modernizzazione del mercato, per l'eliminazione progressiva di quei "lacci e lacciuoli" dai quali l'economia italiana aveva finito con l'essere avvolta. Si è trattato di un'operazione senza precedenti, che ancora deve proseguire in maniera energica per rimuovere i vincoli che ancora frenano alcuni settori.

Fra questi processi un ruolo rilevante è quello che riguarda l'assegnazione delle frequenze Umts per la quale il governo conferma la propria intenzione di contemperare le diverse esigenze associando al criterio della licitazione privata un momento di competizione sul prezzo fra i soggetti interessati.

Le entrate

Per quanto riguarda le entrate, ogni valutazione sulle loro entità è rinviata al prossimo luglio, quando cominceranno ad essere noti i risultati dell'autotassazione.

Ad oggi è possibile rilevare che il gettito sta andando bene, confermando i risultati incoraggianti registrati negli ultimi anni e sempre più evidenti man mano che la riforma fiscale del '97 andava a regime. Anche da questo punto di vista, i giudizi che ieri abbiamo rilevato dall'Ocse sono molto lusinghieri: è messa in risalto la riduzione dell'onere tributario per le aziende e per le famiglie, l'effetto di riduzione sul costo del lavoro, il robusto recupero di base imponibile che ha permesso di registrare incrementi di gettito pur in presenza di una riduzione del prelievo sui singoli contribuenti.

E' probabile, tuttavia, che oltre alle riforme del sistema fiscale, ai buoni risultati abbia contribuito in modo forte anche la modernizzazione introdotta: la telematizzazione di tutte le procedure che quest'anno è stata estesa fino a permettere ad ogni singolo contribuente di inoltrare, proprio in questo periodo, la propria dichiarazione dei redditi e di effettuare i versamenti senza muoversi da casa, con un Pc ed un modem, utilizzando Internet, probabilmente ha avuto un effetto diffuso per quella che definiamo "tax compliance", cioè adesione spontanea ai doveri fiscali.

Da ciò - oltre e più che dall'azione repressiva - è prevedibile il progressivo recupero di base imponibile in passato occultata. E nella misura in cui quel recupero verrà confermato, il governo, come è noto, è impegnato a ridurre il prelievo.

Anche questo è un processo in corso, ormai ben avviato, destinato ad estendersi, se non verranno commessi errori.

Il Mezzogiorno: il luogo della crescita

Lo scenario di crescita che fa da sfondo alle iniziative del Governo sconta non solo una generale moderazione salariale ma anche una concentrazione della crescita nelle aree meridionali dove maggiore è l'output gap e minore è quindi la probabilità di spinte inflazionistiche.

In particolare, per il Mezzogiorno vengono confermate le previsioni formulate nel precedente Dpef e nel Piano di sviluppo del Mezzogiorno approvato dalla Commissione UE. Per l'anno in corso, è possibile una crescita del prodotto interno lordo nel Mezzogiorno anche superiore al 2%. Negli anni successivi è lecito attendersi che l'economia meridionale si avvicini progressivamente al tasso di sviluppo medio europeo, per raggiungerlo nel 2002 e attestarsi successivamente su valori non inferiori al 4%.

Non si tratta di scenari implausibili. I flussi turistici e le esportazioni meridionali sono in continua crescita dai primi anni novanta e, dopo una fase di flessione, si è manifestata una ripresa tanto degli investimenti fissi lordi quanto degli investimenti diretti dall'estero.

Elemento cruciale di questo percorso virtuoso è l'effettiva implementazione del programma di ampliamento e riqualificazione degli investimenti pubblici sostenuto dall'attuazione del Programma di sviluppo del Mezzogiorno 2000-2006, prima, e ora dal Quadro comunitario di sostegno.

Un programma che porterà a raggiungere, nel 2002, un volume di investimenti pubblici nel Mezzogiorno pari al 46% del totale della spesa in conto capitale (e che ha già fatto sì che negli ultimi due anni il ritmo di crescita della spesa in conto capitale nel Mezzogiorno sia stato superiore a quello registrato in aggregato: 15% circa nel 1998 e 20% circa nel 1999).

Il Mezzogiorno: la strategia per lo sviluppo

La strategia che ha segnato l'intervento nei confronti del Mezzogiorno negli ultimi anni è stata ed è centrata su una radicale riqualificazione degli investimenti pubblici basata a sua volta su due elementi: un rapporto diverso - di trasparente negoziazione - fra livelli di governo ed un atteggiamento diverso - centrato sulla valutazione ex-ante, in itinere ed ex-post - dell'amministrazione centrale.

Questa strategia ha trovato una sua prima concretizzazione nel Quadro comunitario di sostegno 2000-2006 che conserva all'Amministrazione centrale la responsabilità degli indirizzi generali, delle regole di selezione dei progetti, di negoziazione con le Autonomie locali e di competizione fra queste e del monitoraggio sull'applicazione delle regole e dei risultati.

Simultaneamente, il QCS attua una strategia di profondo decentramento della spesa in conto capitale e delle nuove regole per gli investimenti pubblici.

Con l'approvazione del QCS da parte della Commissione europea e la prossima adozione dei programmi operativi nazionali e regionali, il Mezzogiorno potrà contare, nel settennio, su un ammontare di risorse pari a circa 98 mila mld. di lire - inclusivi dei cofinanziamenti nazionali - di cui circa 14 mila solo per il 2000. Il 70% di tali risorse è affidato alla gestione delle Regioni.

E' una strategia che -applicata alla programmazione dei fondi comunitari 1994-1999 - ha già dato concreti risultati, fra cui:

  • il coinvolgimento di circa 160 mila studenti nei programmi di riduzione della dispersione scolastica;
  • l'accelerazione di alcuni programmi infrastrutturali, fra cui la Messina-Palermo i cui lavori verranno completati entro il 2001;
  • le azioni di recupero e qualificazione delle aree urbane più degradate del Mezzogiorno: da Cosenza a Lecce, da Catania a Palermo;
  • gli oltre 50 progetti volti a dotare musei e aree archeologiche meridionali di servizi aggiuntivi di orientamento e accoglienza e a migliorare la qualità della fruizione.

Anche i prossimi mesi saranno dedicati all'attuazione degli impegni presi ai fini della riqualificazione degli investimenti pubblici estesa anche al centro-nord: saranno immediatamente avviati i programmi operativi regionali in corso di chiusura a Bruxelles, avvalendosi anche dell'opera delle constituende unità tecniche regionali, sarà individuato e avviato, da parte della neo-costituita unità per la finanza di progetto, di un pacchetto di opere infrastrutturali da finanziare con risorse private, saranno predisposti 30-40 rilevanti progetti integrati finanziati con le risorse per le aree depresse.

Il Mezzogiorno: la promozione dello sviluppo

In questo quadro, la programmazione negoziata va intesa non già - come erroneamente è stato spesso fatto in passato - come lo strumento per la soluzione della questione meridionale, ma piuttosto come uno degli strumenti a disposizione dell'azione pubblica.

Patti territoriali, contratti d'area e contratti di programma sono strumenti rivolti ad obbiettivi specifici (il sostegno dello sviluppo locale, i processi di deindustrializzazione, l'attrazione di investimenti ad elevato contenuto tecnologico) la cui portata - in termini di risorse coinvolte - non è paragonabile a quella implicita, ad esempio, nel programma infrastrutturale contenuto nel QCS. Essi non vanno, quindi, caricati di significati impropri. E' necessario, piuttosto, che convivano e progressivamente si integrino con strumenti a carattere automatico e generale come, già oggi, la legge 488 e come, ad esempio, il prossimo credito d'imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno.

Ad oggi, oltre 3 mila aziende hanno partecipato ai 61 patti territoriali già approvati e ai 15 contratti d'area e protocolli aggiuntivi sottoscritti nel 1999; la copertura di popolazione delle aree di patto è di circa il 22% di quella italiana e del 41,7% della popolazione meridionale. Sono 1.100 inoltre gli imprenditori che saranno finanziati con le risorse destinate ai 28 patti le cui istruttorie si sono concluse entro il 10 ottobre scorso.

Sono infine 115 le domande di accesso alla sottoscrizione di contratti di programma da parte di grandi e medie aziende così come da parte di consorzi di piccole e medie imprese. Di esse, 12 sono relative al settore agricolo, 4 alla pesca, 14 ai comparti agroindustriali, 41 ai settori industriali, 7 ai servizi, 34 al turismo e 3 ad iniziative multisettoriali.

Naturalmente si tratta di domande che, nella maggior parte dei casi, non possiedono quei requisiti di completezza e attendibilità necessari perché si configurino come vere e proprie proposte di investimento: l'amministrazione ha infatti il compito di vagliarne il merito per definire la loro ammissibilità.

In ogni modo, per i contratti di programma sono adesso disponibili le risorse previste dalla delibera del Cipe del febbraio scorso che ha segnato l'avvio operativo dei finanziamenti dopo che, nel '99, come è noto, le risorse ad essi destinate erano state spostate sui contratti d'area.

Non a caso, dopo la delibera di febbraio, un primo contratto di programma è stato già approvato nella seduta del Cipe del maggio scorso.

Dal 1994 al 1999 sono stati erogati per gli strumenti della programmazione negoziata finanziamenti per circa. 5.600 mld. Fino a tutto il 1998 si è trattato quasi esclusivamente di finanziamenti per i contratti di programma. Nel 1999 lo strumento dei patti territoriali è andato a regime (tre anni dopo l'introduzione, non diversamente da quanto già accaduto per la legge 488) assorbendo circa 375 miliardi di lire.

Si tratta di una somma che solo apparentemente risulta modesta rispetto agli stanziamenti complessivi: essi, infatti, riguardano l'intero periodo di previsione che abbraccia un triennio: le somme che ogni anno possono essere utilizzate sono, quindi, relative alla quota parte di quegli stanziamenti e corrispondono a circa un terzo del totale.

Inoltre va ricordato che, in base alle attuali procedure, le erogazioni, più che alla decisione del ministero, sono legate alla capacità del soggetto responsabile di utilizzarle concretamente e quindi chiederle: quando queste circostanze si sono verificate, le erogazioni sono avvenute nel giro di pochissimi giorni.

Ad oggi, per i patti territoriali sono stati erogati nelle Regioni meridionali 615 miliardi di lire (di cui 379 per i patti finanziati esclusivamente con risorse nazionali e 236 per i patti comunitari). Per i 15 contratti d'area sono stati erogati 673 mld. In ambedue i casi con una forte accelerazione dei pagamenti nel primo trimestre 2000 e con una crescente attivazione delle iniziative.

Oggi, non di nuove risorse ha bisogno la programmazione negoziata ma di certezze, nel breve periodo, e di prospettive chiare in un'ottica più lontana nel tempo la cui responsabilità appartiene all'amministrazione centrale ma anche, e soprattutto, all'efficienza di quelle locali.

Nel corso del corrente mese, sarà quindi cura del Ministero del Tesoro offrire un quadro di certezze ai patti già attivi - per i quali il monitoraggio è già cominciato - ed eventualmente rimodulare i fondi già assegnati.

Quanto a quelli che non hanno ancora terminato il loro iter procedurale, è necessario porre riparo ai problemi determinati da alcuni disposizioni amministrative non sempre puntuali ovvero definire un quadro di certezze per il futuro. Ciò implica, fra l'altro, procedere, nell'ambito della regionalizzazione dei patti territoriali, al rapido espletamento delle procedure relative ai bandi territoriali della legge 488.

Per quanto riguarda i contratti d'area, il Governo conferma quanto già deciso d'intesa con le parti sociali e cioè la limitazione del numero dei nuovi contratti (fermandosi, in particolare, a quelli previsti per legge: Avellino e Salerno) e dei nuovi protocolli aggiuntivi (ammettendo solo quelli collocati nelle Regioni obbiettivo 1 e relativi a contratti d'area rimasti al di sotto dei 300 mld. di investimenti: e cioè Agrigento, Gela, Messina, Sulcis, Sassari, Torrese-Stabiese).

Per quanto riguarda, ancora, i contratti di programma, il Ministero identificherà nel corso dei prossimi giorni una griglia in base alla quale procedere alla stipula di circa 10 contratti di programma entro il 2000 di cui 5 entro l'estate.

Sviluppo Italia

Infine, è opportuno chiarire il ruolo che in questo contesto è affidato a Sviluppo Italia che, com'è noto, è partecipata al 100% dal Ministero del Tesoro. Un ruolo oscurato, per tutto il 1999, dall'opera di riassetto delle società oggi incorporate in Sviluppo Italia (un'attività di cui, probabilmente, si è inizialmente sottostimata la difficoltà).

Nella sfida per lo sviluppo economico e sociale del Mezzogiorno, il Ministero considera la società Sviluppo Italia come il proprio braccio operativo e come lo strumento per la esternalizzazione di alcune funzioni tipicamente svolte dalla Pubblica amministrazione. In questa visione è naturale immaginare che a Sviluppo Italia possano essere affidati, con modalità anche temporali che si stanno attualmente discutendo congiuntamente, il marketing territoriale (riferito all'intero territorio nazionale), e i contratti di programma. O, ancora, l'attività di supporto alle istituzioni regionali e di consulenza allo sviluppo per i diversi soggetti che gestiscono progetti (ad esempio, la riconversione di aree industriali dimesse, l'accompagnamento di distretti nel processo di emersione, l'attuazione di forme di semplificazione amministrativa come lo sportello unico). O, come già accade oggi, la gestione delle leggi speciali (legge 44, legge 236, eccetera). O, infine, le attività di "vecchia" e "nuova" finanza e cioè la gestione degli aiuti di stato (Ribs, eccetera) e l'avvio di forme di venture capital o di incubatori di impresa.

Naturalmente, questa ipotesi prevede una stretta dipendenza funzionale fra Amministrazione e Sviluppo Italia ed una piena e convinta adesione di Sviluppo Italia agli indirizzi strategici del Governo.

Sviluppo Italia dovrà conformarsi strettamente alle scelte del governo in tema di politiche di sviluppo regionale ed in particolare la sua presenza territoriale dovrà essere sinergica rispetto alle scelte del Governo in tema di sviluppo locale.

Signor Presidente, onorevoli senatori,

ho cercato di tracciare un quadro quanto più completo possibile, sia pure nella necessità di sintesi di questa sede, di quanto il governo ha in cantiere nell'ambito delle competenze del ministero del Tesoro. Il quadro complessivo che mi sembra ne emerga è riconducibile proprio ad un cantiere aperto, nel quale l'opera interrata delle fondamenta è completata e solida, e le mura portanti sono già erette. Ciò naturalmente non basta perché l'edificio sia completo; né, probabilmente, basta per individuarne a colpo d'occhio l'aspetto definitivo per il quale, tuttavia, i lavori sono tuttora in corso, seguono il progetto iniziale e procedono con speditezza.

Voglio dire, con questo, che il lavoro compiuto in questi anni ha realmente trasformato il Paese: partendo da una situazione di autentica emergenza, lo ha portato ad essere oggi protagonista alla pari con gli altri Paesi europei del processo di rapida e vasta evoluzione che sta percorrendo l'intero Pianeta.

Le tensioni politiche e sociali che, fisiologicamente, si manifestano e toccano, in alcuni casi, punte di forte stridore, possono avere effetti destabilizzanti, ma tanto meglio esse si evolveranno o saranno assorbite se avranno come sfondo un sistema risanato e in equilibrio, fondato su solide basi d'appoggio.

Ciò che forse più di ogni altra cosa è urgente è ritrovare le chiavi di lettura di questa realtà in trasformazione: ridefinire i soggetti e comprenderne le ragioni collettive difficilmente interpretabili con le categorie concettuali tradizionali ma sicuramente deformate e distorte dalle schematizzazioni grossolane di alcuni messaggi semplificatori e propagandistici.

Ciò che oggi possiamo dire - con orgoglio e con grande serenità - è che abbiamo operato con serietà, con impegno assoluto, con scrupoloso rigore, nella convinzione di dover assolvere ad un compito in qualche modo storico, per il nostro Paese: quello di farlo uscire dalla china di emergenza sulla quale era stato fatto precipitare, ricondurlo alla dignità e all'equilibrio che gli competono e proiettarlo verso una prospettiva di crescita e di sviluppo economico e sociale ancorata all'epoca nuova che è cominciata.

A questa prospettiva l'Italia e gli italiani possono oggi guardare con grande fiducia in se stessi e nel proprio Paese, e con la consapevolezza di ciascuno di aver attraversato una fase di grandi difficoltà uscendone con una robustezza di assetti che raramente, nel passato, si era data. E' proprio questo - sia ripetuto qui per inciso - che rende straordinario il contrasto rispetto alle incertezze, alle fibrillazioni, ai dubbi e a certi scoramenti che attraversano le nostre forze politiche.

Ciò che ancora manca al compimento di questo lavoro è quello che questo governo sta realizzando adesso. Speriamo vivamente che il Parlamento voglia aiutarci in questa direzione.

Grazie.