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Intervento del Ministro Visco: Esposizione economico - finanziaria ed esposizione relativa al bilancio di previsione

03/10/2000

Esposizione economico - finanziaria
ed esposizione relativa al bilancio di previsione

Intervento del Ministro del Tesoro
del Bilancio e della Programmazione Economica
Vincenzo Visco

Camera dei Deputati

3 ottobre 2000

 

Signor Presidente, onorevoli colleghi

I documenti di bilancio che il Governo presenta al Parlamento sono, quest'anno, particolarmente significativi.

Lo sono per varie ragioni.

In primo luogo, i contenuti della manovra che il Governo presenta alle Camere sono - come è logico - conseguenza sì di scelte di politica economica compiute oggi dal Governo, ma soprattutto sviluppo coerente dell'azione di politica economica svolta nel corso di tutta la legislatura dai diversi governi che si sono succeduti. Essi costituiscono, quindi, l'espressione finale di un programma di governo protrattosi nell'arco degli ultimi 4 anni.

In secondo luogo, i contenuti di questa manovra sono tali da prefigurare una futura evoluzione coerente e quindi costituiscono le premesse per una strategia di interventi da attuare nei prossimi anni per il definitivo risanamento del Paese, per consolidare la ripresa, per espandere l'occupazione e risolvere in maniera stabile la questione del Mezzogiorno.

Infine, la manovra che il governo presenta in Parlamento, pur prevedendo importanti riduzioni di imposte a favore dei cittadini e delle imprese, è costruita mantenendo rigoroso il rispetto del patto di stabilità poiché gli sgravi vengono coperti non già dalla crescita di gettito derivante dalla crescita economica del Paese, bensì da quel surplus di entrate proveniente da recupero di base imponibile che, se non destinata a riduzione di imposte avrebbe provocato una non desiderabile crescita della pressione fiscale.

 

Onorevoli deputati,

Le prospettive per l'economia internazionale per l'anno in corso e per quello prossimo sono molto favorevoli, come non lo erano da oltre un decennio. Tutte le principali aree dell'economia mondiale sono in espanzsione. Nell'anno in corso la crescita del PIL mondiale è stimata pari al 4,7 per cento rispetto al 3,4 per cento del 1999: il valore più elevato di tutto il decennio. Parimenti, la dinamica del commercio mondiale dovrebbe accelerare dal 5,1 al 9,7 per cento. La ripresa avviene, peraltro, in un contesto privo di tensioni inflazionistiche. Le previsioni per il 2001 rimangono positive anche se delineano un lieve rallentamento.

In tale contesto, tuttavia, alcuni fattori - in particolare, il disallineamento prevalente nei mercati dei cambi, il deficit delle partite correnti statunitensi, i livelli delle quotazioni di borsa negli Stati Uniti (e non solo) - consigliano qualche prudenza.

Negli Stati Uniti, le autorità monetarie hanno effettuato successivi interventi volti ad evitare l'insorgere di pressioni inflazionistiche, a sgonfiare la bolla speculativa dei mercati, prefigurando un atterraggio morbido dell'economia statunitense che, secondo alcune valutazioni, passerebbe già nel 2001 il testimone della crescita a quella europea.

Un ulteriore elemento di cautela è dato dall'andamento del prezzo del petrolio e dalle sue possibili ricadute sul tasso di crescita e sul tasso di inflazione dei paesi importatori, derivanti dal peggioramento delle ragioni di scambio. Esso va, peraltro, riportato alle sue reali dimensioni. E' infatti vero che dal 1998 il prezzo del petrolio è più che triplicato, passando da 10 dollari al barile a oltre 30 dollari, ma è altrettanto vero che solo una certa miopia poteva identificare i 10 dollari al barile come un prezzo di equilibrio. Oggi, il prezzo del petrolio si attesta - ragionevolmente - intorno ai 28 - 30 dollari al barile, riflettendo una perdurante situazione di incertezza anche di carattere politico che, tuttavia, non sembra prefigurare prezzi stabili ai livelli massimi raggiunti.

Per ogni caso è bene tener presente che le economie occidentali sono oggi ben diverse da quelle degli anni settanta ed ottanta. La loro maggiore flessibilità ha fatto sì che in questo caso l'impatto dello shock petrolifero fosse inferiore a quello esercitato dalle precedenti crisi. E ciò anche perché il prezzo del petrolio in termini reali resta ancora di molto inferiore ai valori raggiunti all'inizio degli anni ottanta, e perché negli ultimi 25 anni la dipendenza dal petrolio dei paesi industrializzati si è dimezzata.

Del resto le ottimistiche previsioni internazionali rese pubbliche nel corso dell'estate poggiavano su una ipotesi di base di circa 25 dollari al barile nel 2000 e 22 dollari nel 2001. Secondo l'Ocse, occorrerebbe che il prezzo del greggio si assestasse intorno ai 33 dollari al barile nel corso dell'intero 2001 per assistere ad riduzione del PIL tuttavia non superiore allo 0,1 nell'area UE, allo 0,4 nel Giappone (maggiormente dipendente dalle importazioni petrolifere) ed allo 0,1 negli Stati Uniti. E ciò in quanto è lecito presumere che i proventi della "tassa petrolifera" vengano prima o poi spesi dai paesi esattori e ritornino quindi alle economie occidentali in termini di maggiori importazioni.

Naturalmente, qualora non ci fosse alcun reimpiego degli utili sui mercati occidentali, l'impatto sarebbe maggiore, fino a mezzo punto.

Per quanto riguarda l'inflazione gli effetti sui prezzi al consumo nella simulazione sarebbero pari ad un aumento dello 0,8 per cento nell'area UE contro lo 0,6 nel Giappone e lo 0,4 negli Stati Uniti. Sotto questo profilo l'area europea sconterebbe gli effetti di una minore flessibilità rispetto a Stati Uniti e Giappone.

È lecito, in sostanza, ipotizzare un impatto delle quotazioni del petrolio sulla crescita mondiale comunque limitato: non solo, come si è detto, il prezzo del petrolio è attualmente in riduzione ma il quadro internazionale appare oramai consolidato dopo aver superato negli ultimi anni gravi crisi finanziarie come quella asiatica e quella brasiliana.

La situazione italiana

In questo quadro - caratterizzato indubbiamente da elementi di incertezza e dal rincorrersi di valutazioni spesso contraddittorie - il Governo ha ritenuto di dover confermare nella sua interezza il quadro macroeconomico delineato nel Documento di programmazione economico-finanziaria del giugno scorso. Confermare, e non correggere in direzione di quei miglioramenti che pure alcune stime internazionali avrebbero potuto suggerire ovvero per emendare indicazioni oggettivamente opinabili. Una scelta ispirata alla prudenza e confortata dagli eventi degli ultimi giorni: il ritorno delle quotazioni del greggio stabilmente al di sotto o intorno ai 30 dollari al barile e i segni di ritrovata stabilità dell'euro anche in presenza di eventi potenzialmente destabilizzanti come il referendum danese.

Ed in questi giorni è difficile non andare, con la memoria, a qualche anno fa. Al precedente referendum danese sull'Europa ed alle conseguenze a catena che in quella occasione si verificarono sul mercato dei cambi. Al di là dunque delle fluttuazioni sul mercato dei cambi - peraltro pienamente in linea con l'evidenza storica e con i meccanismi delle economie occidentali - l'euro è una realtà solida come salde sono le istituzioni che ne difendono il valore. La sua solidità rappresenta, per l'Italia come per gli altri Paesi partecipanti, lo scudo più sicuro per proteggere crescita economica, stabilità finanziaria e sviluppo.

Nel quadro economico internazionale sopra delineato, le prospettive di crescita per il nostro Paese rimangono positive. Il PIL italiano dovrebbe aumentare, nel 2000, del 2,8 per cento, raddoppiando il tasso di crescita registrato nel 1999. Per il 2001 si stima un aumento del PIL reale del 2,9 per cento, in lieve accelerazione rispetto all'anno precedente.

Tali ritmi di sviluppo, che consentono la progressiva convergenza rispetto agli altri paesi europei, sottintendono, tuttavia, una ricomposizione delle componenti della domanda. Nel 2000 la crescita è principalmente trainata dagli investimenti (+7%) e dalla domanda estera (+9,5%): il positivo andamento del commercio mondiale e il deprezzamento dell'euro hanno determinato guadagni di competitività e favorito la crescita delle esportazioni.

Nel 2001 la crescita sarà sostenuta maggiormente dalla domanda interna come riflesso del mutamento del quadro internazionale. Le aspettative sono, infatti, per un soft-landing dell'economia statunitense accompagnato da un consolidamento della crescita europea. Ne conseguirebbe un riequilibrio dei tassi di cambio con un graduale apprezzamento della moneta unica in linea con il buon andamento dei fondamentali macroeconomici dell'area dell'euro. Questi ultimi sono oggi per certi versi più solidi di quelli presenti nell'economia statunitense, che conserva invece un vantaggio rilevante in termini più schiettamente microeconomici, di andamento della produttività e di funzionamento dei mercati. Al rallentamento delle esportazioni italiane corrisponderà una accelerazione della domanda interna, in particolare della spesa delle famiglie.

La Relazione Previsionale e programmatica conferma, inoltre, gli obiettivi di inflazione indicati nel DPEF del giugno scorso alla luce del ritorno delle quotazioni dei prezzi petroliferi su livelli compatibili con gli equilibri delle economie occidentali ed in presenza di una core inflation contenuta e di una politica dei redditi in grado di impedire la diffusione nel sistema di impulsi inflazionistici.

Caratteri e obiettivi della manovra

In questo contesto, l'impianto della manovra che il Governo presenta mira ad incidere sulle aspettative di medio periodo che determinano l'evoluzione delle componenti dell'economia oggi meno dinamiche: in un contesto di forte ripresa economica, le famiglie mantengono, infatti, un atteggiamento ancora prudente mentre la prospettiva di rafforzamento dell'Euro e di graduale rallentamento dell'economia americana prospettano, come si è detto, un'evoluzione in cui la domanda esterna all'area euro potrà ridursi.

Non si tratta, in altre parole, di un sostegno congiunturale ad una economia peraltro in vivace ripresa, bensì di un rafforzamento strutturale e permanente di alcune componenti della domanda interna.

La manovra, per la sua spiccata connotazione di sostegno alla crescita attraverso l'intensificazione del processo di riduzione dell'imposizione tributaria e la riqualificazione e ricomposizione della spesa pubblica, favorisce perciò l'instaurarsi di un circolo virtuoso dell'economia: al venir meno della spinta propulsiva delle esportazioni extraeuropee corrisponderà la ripresa della spesa delle famiglie, favorita dall'aumento del reddito disponibile.

Ed è questo ciò che abbiamo fatto con la legge finanziaria per l'anno 2001.

È opportuno dichiarare esplicitamente che il Governo presenta la nuova legge Finanziaria con grande soddisfazione. Prima di tutto perché è consapevole del beneficio che dalle norme in essa contenute potranno trarre sia i singoli cittadini che il Paese nel suo complesso. Ma anche perché con essa si corona - e, in qualche modo, se ne certifica il valore - il lavoro degli ultimi quattro anni, svolto da governi diversi ma tutti impegnati nell'attuazione del medesimo programma, che era il programma con il quale la coalizione dell'Ulivo si presentò alle elezioni del '96 e che è stato fedelmente perseguito, con fermezza e coerenza, nonostante le vicissitudini politiche che la maggioranza di allora ha attraversato e nonostante i cambiamenti intervenuti nella titolarità di molti dicasteri. . E' per me motivo di soddisfazione personale il fatto di poter rappresentare anche simbolicamente una continuità diretta nella gestione della politica economica del Paese in tutti i governi della attuale legislatura.

Il percorso

L'Italia che verrà riconsegnata agli elettori al termine della legislatura risulterà irriconoscibile rispetto a ciò che era quando la legislatura ebbe inizio, nel maggio del '96.

Nel corso dell'intera legislatura l'azione di Governo in campo economico ha avuto dei precisi punti di riferimento: il recupero della stabilità monetaria, il riequilibrio dei conti pubblici, la riconquista della credibilità internazionale, la partecipazione alla creazione della moneta unica europea, la lotta alla disoccupazione ed il rilancio del Mezzogiorno. A questi punti di riferimento l'azione di Governo ha guardato con continuità e coerenza in maniera tale da impedire che le alterne vicende della politica li intaccassero.

Su tutti questi punti l'azione dei Governi di centro-sinistra può vantare successi significativi.

Nell'anno in corso il disavanzo pubblico sarà pari all'1,3% del prodotto lordo e nel 2001 si attesterà allo 0,8% del prodotto lordo: in ambedue gli anni due decimi al di sotto dei vincoli imposti dal patto di stabilità. Qualcuno ricorderà che il disavanzo pubblico era il 7,6% del Pil solo nel 1995.

Alla fine del 2000, il debito pubblico si attesterà intorno al 112% del prodotto lordo e scenderà sotto il 107% nel 2001. Solo cinque anni fa superava il 123%.

Il differenziale dei tassi di interesse a lungo termine tra i titoli italiani e quelli tedeschi è oggi intorno ai 35 punti base, meno di un decimo rispetto ai 530 punti base del 1995.

Cinque anni fa, il costo del denaro per le famiglie si aggirava attorno al 13-14%: da due anni siamo attorno al 5, poco più o poco meno: oltre che un fortissimo risparmio per il sistema produttivo, ciò ha aperto l'accesso all'acquisto della casa a fasce di reddito che mai avevano potuto aspirarvi (e infatti il mercato immobiliare ha conosciuto una ripresa eccezionale, tuttora in atto).

Il tasso tendenziale di crescita dei prezzi al consumo è passato dal 4,5% dell'aprile 1996 al 2,6% dello scorso settembre (al lordo del citato andamento dei prezzi del greggio valutabile, da solo, in circa un punto percentuale).

Il prodotto interno lordo italiano è atteso crescere nell'anno in corso e nel prossimo triennio a ritmi prossimi al 3 per cento, doppi rispetto al 1999 e pressochè tripli rispetto alla media degli anni novanta.

Gli occupati erano pari, nell'aprile del 1996, a poco più di 20.100.000. Nello scorso luglio hanno quasi raggiunto quota 21.100.000, con un incremento pari a 994 mila unità. In settembre, senza averlo mai promesso, avremo superato il milione di nuovi occupati. Sempre nello stesso periodo il tasso di disoccupazione è passato da valori prossimi al 12% a valori appena superiori al 10% , in una situazione che rende plausibile una prospettiva non lontana di piena occupazione.

Il sistema fiscale, che tutti consideravano senza possibilità di risanamento, ha ricominciato a funzionare facendo emergere nuova base imponibile e consentendo una progressiva riduzione delle tasse. Anche questo è frutto di un lungo e costante lavoro cominciato all'inizio della legislatura che, oltre ad introdurre una profonda riforma del sistema tributario, ha avviato una energica riforma dell'amministrazione che dovrà concludersi a breve con la nascita delle Agenzie fiscali e che ha introdotto in maniera massiccia l'uso dell'informatica e delle nuove tecnologie.

Il Mezzogiorno, già a partire dal '97, secondo i dati pubblicati recentemente dall'Istat, ha imboccato una via di sviluppo che, contrariamente a quanto si è andato ripetendo fino a ieri, sta riducendo rapidamente il differenziale di crescita rispetto al resto del Paese. Contrariamente a quanto informazioni preliminari e non ufficiali inducevano a credere, già nel 1997 il divario reddituale fra il Mezzogiorno ed il centro-nord si è ridotto significativamente. E' certo che questo trend positivo è continuato negli anni successivi.

È, questa, una notizia di grande rilievo perché sfata un luogo comune che l'imprecisione dei dati disponibili fino a ieri consentiva: quello di un Mezzogiorno in costante allontanamento dagli standard di crescita nazionali ed europei, mentre oggi scopriamo che è vero il contrario. A partire dal '97, infatti, i nuovi dati Istat consentono di rilevare una vistosa riduzione della forbice sia per quanto riguarda la produzione sia per quanto riguarda gli investimenti.

Per arrivare a questi risultati - che non sono in alcun modo da considerare come approdo conclusivo, bensì come concreto e incoraggiante inizio di una generale ripresa non solo economica, ma anche sociale e civile del nostro Paese - il percorso non è stato né facile né privo di sacrifici.

C'era molto scetticismo quando, insieme con l'allora ministro Ciampi, indicavamo nella sfida, vinta tra mille difficoltà e ostracismi, dell'ingresso del nostro Paese nell'Euro e nel traguardo che allora

appariva irraggiungibile del risanamento finanziario, i presupposti che avrebbero determinato un benessere crescente delle famiglie, più equità sociale ed economica, il rafforzamento del nostro sistema produttivo.

Quella sfida è stata vinta, non dal solo Governo, naturalmente, ma da tutti gli italiani che hanno vissuto quel difficile '97 fatto di sacrifici in qualche caso molto pesanti: al Governo, tuttavia, va ascritto il merito di aver mantenuto fermo il timone, di aver avuto fiducia nel Paese e nella sua capacità di risanarsi e di non aver ceduto alle pressioni di chi sosteneva che l'Italia sarebbe magari entrata nel gruppo dell'Euro, ma vi sarebbe entrata cadavere e con l'incapacità di restarvi.

L'Italia entrò nell'Euro - e, accanto all'energia mostrata allora dal Paese, occorre ringraziare la fermezza, la credibilità e la competenza di uomini come Romano Prodi e Carlo Azeglio Ciampi - e conquistò, in quell'occasione, una stima e un prestigio internazionali da tempo non aveva goduto nel passato.

La tradizionale incostanza, il pluridecennale permissivismo, le storiche inefficienze che per tanto tempo avevano suscitato in molti Paesi europei diffidenza e scarsa considerazione per la credibilità del nostro Paese, furono gradualmente ma tenacemente cancellati dall'equilibrio, dalla competenza, dalla serietà con cui il governo e il Paese seppero rispettare, come e meglio di altri, gli impegni assunti.

Gli impegni europei, del resto, seguitano ad essere, per noi, la bussola sulla quale regolare la rotta delle politiche di bilancio. Né potrebbe essere diversamente, poiché l'ancoraggio all'Europa è condizione vitale per l'evoluzione del Paese. Basta riflettere alle conseguenze che l'Italia avrebbe subito dalla recente impennata dei prezzi petroliferi e dalla contestuale svalutazione dell'Euro: quei fenomeni avrebbero prodotto una svalutazione della lira rispetto al dollaro e all'Euro ben più drammatica, avrebbero spinto l'inflazione, avrebbero provocato un rincaro dei tassi. Proprio il modo assai contenuto con cui quella crisi si è riversata sulla nostra economia - come su quelle degli altri Paesi - ha fornito la dimostrazione dell'efficacia dell'unificazione monetaria; e il coordinamento fra i diversi governi e le diverse banche centrali nel reagire alla caduta dell'Euro, ha dimostrato ottimamente la propria efficacia.

 

Onorevoli deputati,

La Finanziaria 2001 - lungi dall'essere una Finanziaria dettata da eventi contingenti - altro non è dunque se non la logica conseguenza di un'azione di Governo protrattasi immutata per un intera legislatura.

Il frutto - al di là, è bene ripeterlo, delle alterne vicende della politica - della coerenza delle scelte politiche di fondo adottate nel corso della legislatura, della stabilità degli obiettivi di politica economica, e della continuità dell'azione amministrativa.

Ciò emerge con nettezza dalla impostazione stessa della manovra di finanza pubblica di cui la parte più significativa è certamente contenuta nel disegno di legge finanziaria ma a cui contribuisce in misura rilevante anche il bilancio a legislazione vigente.

L'andamento delle entrate tributarie registrato in corso d'anno - e non prevedibile al momento del Documento di programmazione economico-finanziaria - ha richiesto un aggiornamento delle stime delle entrate il cui consistente incremento strutturale è attribuibile al progressivo recupero di materia imponibile determinato dalla riforma fiscale e dalla conseguente modernizzazione e maggiore funzionalità dell'Amministrazione finanziaria.

Ciò ha indotto il Governo a presentare una nota di aggiornamento del Documento - peraltro già annunciata nel Documento stesso - che comporta una variazione del quadro tendenziale pari ad oltre l'1% nel 2001 e fino all'1,4% dal 2003 in poi. Ne è seguito un aumento dell'avanzo primario a legislazione vigente per il complesso delle pubbliche amministrazioni di pari importo.

Poiché da tre anni la legislazione fiscale è immutata nei suoi parametri fondamentali, si tratta di risultati ascrivibili al pieno successo della riforma fiscale varata nel 1997. Risultati che confermano la validità della scelta compiuta all'inizio della legislatura: risanare le finanze pubbliche per liberare risorse per le famiglie, per il sistema produttivo, per la crescita del Paese.

Il Governo, al fine di garantire fin dall'anno 2001 l'attuazione dell'impegno assunto per la riduzione dell'imposizione tributaria, ha ritenuto di dover destinare le maggiori entrate ed il maggior avanzo primario a legislazione vigente a riduzioni fiscali aggiuntive rispetto a quanto già previsto. A tale scelta rispondono la conferma ed il potenziamento degli interventi in campo energetico ed il programma di sgravi fiscali per le famiglie - in particolare per quelle meno abbienti - e per le imprese: si raggiungeranno i 23 mila miliardi, destinati agli sgravi previsti, per gli stessi anni, dalla finanziaria per il 2000, in aggiunta a quelli già deliberati con la legge Finanziaria dello scorso anno e del collegato fiscale in corso di approvazione.

Simultaneamente, il Governo ha voluto rendere concreto il proprio impegno per la competitività e la capacità innovativa del sistema produttivo italiano intervenendo nell'immediato sul fronte dei costi dell'energia, abbattendo significativamente nel breve e medio periodo la fiscalità sul reddito d'impresa ed il carico contributivo sul lavoro ed incentivando - con modalità per quanto possibile automatiche - la nuova occupazione, i nuovi investimenti e la nuova ricerca. Destinando al mondo delle imprese un volume crescente di risorse pari, nel 2003, a circa 8 mila miliardi.

Ciò è stato fatto senza peraltro abbandonare la linea del rigore e del risanamento coerentemente perseguita negli ultimi anni. Anzi, indicando obbiettivi ambiziosi sul fronte delle privatizzazioni ed andando oltre i vincoli di carattere internazionale e gli stessi obbiettivi indicati qualche mese fa. Ne fa fede la Relazione previsionale e programmatica per il 2001 che conferma per il 2000 l'obiettivo di un indebitamento netto pari all'1,3% del prodotto interno lordo e che fissa, invece, lo stesso obbiettivo allo 0,8% nel 2001, rispetto all'1% indicato nel Documento di programmazione economico-finanziaria.

Al di là degli interventi di carattere fiscale, la manovra di finanza pubblica prevede una contrazione complessiva delle spese pari, nel 2001, a 8 mila miliardi di lire, destinata ad essere restituita al sistema economico-sociale prevalentemente sotto forma di maggiori spese.

Fra queste si segnalano quelle relative alla ricerca ed alla innovazione tecnologica, intese a rendere il Paese competitivo in questo settore ed a consentirgli una partecipazione effettiva alla società dell'informazione ed un ingresso spedito nella cosiddetta nuova economia.

Nella definizione degli interventi di razionalizzazione e risparmio, il Governo ha individuato due direttrici strategiche.

In primo luogo, l'estensione ai livelli di governo decentrati del patto di stabilità interno e quindi dei vincoli assunti dal Paese in sede internazionale, associandovi adeguati strumenti e garanzie per il raggiungimento degli obiettivi.

In secondo luogo, una profonda opera di modernizzazione e di razionalizzazione delle procedure di acquisto di beni e servizi delle amministrazioni centrali, regionali e locali, ivi incluse le aziende sanitarie locali e le aziende ospedaliere.

Seguendo queste linee di comportamento, il Governo non ha fatto altro che prendere esempio dalla propria attività degli ultimi anni. Una attività che ha saputo associare il rigore e la disciplina di bilancio ed il rispetto dei vincoli esterni alla azione riformatrice nel campo del funzionamento delle amministrazioni pubbliche, ed in particolari di quelle finanziarie.

Sotto questo profilo, è bene sottolineare come le riduzioni fiscali intervenute con le leggi finanziarie per gli anni 2000 e 2001 non sarebbero state nemmeno concepibili se -come spesso si suggerisce - avessero dovuto trovare copertura nei tagli della spesa sociale. E' bene ricordare, ad esempio, come interventi, anche pesanti, in campo previdenziale permetterebbero risparmi che non superano, nel breve periodo, alcune migliaia di miliardi e potrebbero quindi solo in modesta misura contribuire alla discesa della pressione fiscale e contributiva. Quando, nel 2001, si avvierà la verifica sulla riforma delle pensioni, quindi, bisognerà evitare l'illusione di coloro che, attraverso la riforma, ritengono di poter dare, per quella via, un drastico colpo al prelievo fiscale.

È vero invece che dietro gli interventi in campo fiscale adottati lo scorso anno e nell'anno in corso si staglia l'importanza di una capillare e quotidiana azione riformatrice in settori diversi della pubblica amministrazione.

La legge finanziaria per il 2001 si propone di estendere quel metodo di lavoro e quella spinta riformatrice a settori della pubblica amministrazione che ne erano ancora lontani, dalla sanità agli acquisti di beni e servizi, agli enti locali. Nella convinzione che in una attività amministrativa spesso poco trasparente, proceduralmente pesante e tecnologicamente arretrata si annidino i principali margini per un recupero di produttività e di efficienza e quindi per un risparmio.

Come dimostrano i risultati fiscali degli ultimi anni, anche le sfide impossibili possono essere vinte se esiste una vera cultura di governo e se il funzionamento dell'amministrazione ne diventa uno dei principali banchi di prova. Lo stesso può valere per la sfida dello sviluppo e del Mezzogiorno, in particolare.

Il Mezzogiorno, infatti, è in marcia: sia in termini culturali, mostrando una maggiore attenzione alle opportunità offerte dai mercati dei prodotti e del lavoro (fermo restando che la mobilità del lavoro non può costituire da sola la soluzione del problema della disoccupazione meridionale), sia in termini più strettamente economici, perché cominciano a produrre effetti le politiche messe in campo dai governi di centro-sinistra.

Queste sono riassumibili in pochi, significativi, obiettivi: riduzione dei trasferimenti pubblici correnti verso il Mezzogiorno, lotta alla criminalità organizzata e controllo del territorio da parte delle forze dell'ordine, crescente capacità di governo delle città ed enfasi sul contesto e sullo sviluppo locale, rilancio della politica infrastrutturale e quindi della capacità di programmazione, progettazione e spesa e concentrazione nel Mezzogiorno della spesa pubblica in conto capitale fino a toccare il 46% nel 2002.

Si tratta, in tutti i casi, di obbiettivi che hanno già permesso di conseguire risultati incoraggianti. Non ultimi l'accelerazione delle erogazioni per gli investimenti pubblici, in infrastrutture ed incentivi alle imprese, ed il varo del Quadro comunitario di sostegno. Risultati che trovano una espressione simbolica nella riduzione del divario nord-sud in termini di reddito pro capite evidenziata a partire dal 1997 dai recenti dati regionali di fonte Istat e l'incremento di occupazione registrato nel corso dell'ultimo anno, incremento che diventa significativo se valutato al netto della componente agricola e raggiunge, in questo caso, le 330 mila unità in più rispetto al 1995.

Con la prossima legge finanziaria, le politiche per il Mezzogiorno si arricchiranno di un nuovo strumento: il credito d'imposta automatico per i nuovi investimenti. Le imprese che effettueranno investimenti nelle aree Obiettivo 1 e 2 entro il 2006 godranno di un credito di imposta automatico pari alla volume massimo di sovvenzione previsto dalle norme comunitarie ed utilizzabile in compensazione a fronte dei diversi obblighi fiscali. Un sistema puntuale di controlli garantirà un uso opportuno e di qualità delle risorse pubbliche.

Il credito d'imposta automatico non rappresenta, peraltro, una inversione di rotta nelle politiche per il Mezzogiorno ma, al contrario, ne costituisce la logica conseguenza. La programmazione negoziata ha permesso, faticosamente, di ricostruire negli ultimi quattro anni il tessuto economico e sociale di gran parte del Mezzogiorno. E' possibile ora ridurre strutturalmente il carico fiscale e contributivo delle nuove iniziative ed aprire la competizione amministrativa fra le diverse aree.

Il processo innescato nel Mezzogiorno nel corso di questi anni è, peraltro, tutt'altro che irreversibile: le Amministrazioni centrali e regionali possono essere tentate dalla prospettiva di tornare indietro ad una situazione caratterizzata dalla frammentazione di funzioni e responsabilità e dall'assoluta mancanza di una cultura del risultato, il mondo imprenditoriale potrebbe essere tentato dalle idea di ritornare ad una situazione caratterizzata dalla protezione e dalla mancanza di orientamento al mercato, il mondo sindacale potrebbe non cogliere il fatto che un mercato del lavoro più aperto e flessibile costituisce un elemento essenziale dell"intero disegno.

Soprattutto il mondo politico potrebbe essere tentato di ripercorrere le strade già percorse in passato con esiti nefasti: ridefinendo il confine fra pubblico e privato a proprio favore, illudendosi di poter percorrere scorciatoie pericolose in campo infrastrutturale, riproponendo un modello di egemonia della politica sulla società inteso a ritornare ad un rapporto centrato non già sulla distinzione dei ruoli e sulla attribuzione delle responsabilità ma sulla discrezionale distribuzione dei favori. Occorre vigilare affinché ciò non avvenga.

 

Signor Presidente, onorevoli colleghi

In questi giorni, i vari mezzi di informazione hanno declinato in vario modo critiche e insoddisfazioni espresse da alcuni circoscritti settori verso la manovra di finanza pubblica che il Governo propone al Parlamento.

Si tratta, in alcuni casi, di critiche comprensibili ma almeno parzialmente fuori tema. Non è infatti la legge finanziaria il luogo per le riforme ordinamentali o addirittura istituzionali. Del resto molte di queste (dalla riforma dei servizi pubblici locali alla nuova disciplina delle società non quotate, dalla riforma dello stato giuridico dei docenti universitari allo stesso federalismo) sono state sottoposte da tempo dal Governo all'esame di questo Parlamento che vorrà, auspicabilmente, completare la manovra finanziaria con provvedimenti di grande spessore intesi a mutare il modo stesso di essere dell'economia e della società italiane.

Altre critiche tuttavia, appaiono abbastanza sorprendenti perché gli stessi soggetti rimproverano al governo di destinare al Paese troppo poco, definendo le riduzioni strutturali delle imposte "mance elettorali", e poi sostengono contemporaneamente che l'entità degli sgravi è talmente cospicua da non poter essere coperta con il semplice recupero di risorse e per questo il governo si accingerebbe a varare un'imposta patrimoniale.

Si tratta, in tutta evidenza, di argomenti inconsistenti e contraddittori, tanto più sorprendenti in quanto provengono da chi ha fatto della riduzione delle tasse la propria bandiera, a volte sbilanciandosi in annunci sicuramente non compatibili con l'effettiva disponibilità di risorse e con i precisi vincoli di bilancio necessari per mantenere l'equilibrio dei conti e il rispetto dei patti europei.

Il fatto è che il successo conseguito dalla politica economica sviluppata nel corso degli anni dal centrosinistra, si rivela oggi talmente evidente e netto da tagliar corto d'un colpo solo a tutte le riserve, ai dubbi, ai sospetti, alle menzogne e alla disinformazione, alla propaganda che negli ultimi anni ha preso il posto di un confronto politico intelligente e responsabile, fondato sulle strategie e sui programmi.

In questo senso, vorrei dire che la Finanziaria che oggi presentiamo al Parlamento è, sì, la Finanziaria del governo Amato, ma è anche, contemporaneamente, la Finanziaria in cui si compendia l'opera svolta da tutti i governi di questa legislatura che si sono succeduti senza mai venir meno all'indirizzo originario e al programma iniziale. Una Finanziaria, dunque, che riassume in sé l'opera svolta del governo Prodi - con l'apporto decisivo del ministro Ciampi -, dai due governi D'Alema e dal governo di Giuliano Amato.

È la Finanziaria in cui si evidenzia l'opera svolta in quattro anni dal centrosinistra e che prospetta il percorso di crescita e di crescente benessere che il centrosinistra propone al Paese per la prossima legislatura.