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Presentazione del volume postumo di G. Spadolini “Padri della Repubblica”

24/06/1998

La pubblicazione di questo volume, continuazione - come ricorda Cosimo Ceccuti nell'introduzione - di un testo ormai classico della produzione spadoliniana "Gli uomini che fecero l'Italia", ci porta a ripercorrere le radici dell'Italia contemporanea.

E' una raccolta che, modulandosi su una sequenza di medaglioni filtrati dalla sensibilità dello studioso, fa emergere con forza e chiarezza alcuni fili rossi che scandiscono la costruzione del nostro paese nell'età repubblicana: l'Italia d'oggi, che nella connessione intima e partecipe ai valori dell'Italia risorgimentale, trova i nuovi principi fondanti.

Non è un retorico appello al mito del "secondo Risorgimento"; è il meditato riandare alle scansioni essenziali della nascita dello Stato italiano, dell'Italia dei cittadini.

"Sono i problemi elementari dell'indipendenza, dell'unità, della libertà che il '48 aveva cercato di risolvere e che oggi sono nuovamente in giuoco. Sono le nostre stesse tradizioni federali e provinciali, le eredità morali dei secoli della decadenza nel nostro costume e carattere nazionale che il '48 aveva creduto di cancellare e che oggi sono più operanti di prima" sono le questioni centrali dello stato e della nazione che il '48 aveva impostato e avviato a soluzione, ma che oggi devono essere nuovamente impostate e diversamente risolte".

Questa citazione appartiene al volume "Il '48. Realtà e leggenda di una rivoluzione", che Spadolini pubblica nel febbraio 1948. E' un passaggio che mostra come per lo studioso i due momenti storici, a un secolo di distanza, siano certo distinti ma entrambi partecipi della fase costitutiva dello stato nazionale. E' la chiamata, questa volta, nel 1948, pacifica, rivolta ad una collettività umiliata quale quella del dopoguerra, una collettività che attraverso la riappropriazione del proprio passato vuol farsi di nuovo interprete dei valori fondanti di quel patto morale sottoscritto al momento della nascita dello stato unitario e che nell'Italia repubblicana deve trovare nuovo impegno e sostanza.

Il fondersi e il confondersi dello Spadolini storico e militante con un altro storico e militante, Luigi Salvatorelli, autore di quel libro "Pensiero e azione del Risorgimento", "un'opera scritta di getto in poche settimane e con la forza di un'ispirazione lirica", (Spadolini, p. 93: il mondo di Luigi Salvatorelli) nasce da questo idem sentire.

Il recupero di Cattaneo, ignorato per decenni, il riscatto di Mazzini da tutti i "tentativi di deformazione o usurpazione della storiografia nazionalista" (Spadolini, p. 88) sono i riferimenti della nuova identità nazionale: un'identità che entrambi, Salvatorelli e Spadolini, intendono intessuta di doveri. Fra tutti, quello di servire un valore essenziale: lo stato.

Il riannodarsi al Risorgimento significa riaffermare l'impegno civile nella lotta per la difesa della libertà: "C'è un conflitto nella prospettiva italiana di questi decenni e di questi anni, che è ancora aperto - conclude Spadolini -. Lo diremo con parole sue, di Salvatorelli del suo breve volume sull'Unità d'Italia: "è il conflitto fra l'Italia lazzara, sanfedista e brigantesca e quella della civiltà europea, la civiltà del diritto, della ragione della libertà, è un conflitto che "ancora non è cessato". (p. 98)

E' la conquista della civiltà europea che Spadolini rivendica come impegno per la sua generazione che nasce dal retaggio mazziniano. "Europa come soluzione unica ai problemi dei nazionalismi e dei razzismi selvaggi"; Europa come "europeismo di Giustizia e Libertà che ne fa rivivere le speranze, i motivi, le tensioni, le vibrazioni"; Europa "per aprire la via a quella nuova Italia che i due fratelli (Rosselli) non riuscirono a vedere realizzata; un'Italia profondamente rinnovata, che potesse favorire la costituente europea di ascendenze risorgimentale e mazziniana". (Spadolini: Le radici mazziniane di Carlo e Nello Rosselli, p. 22-23)

L'altro filo rosso che scandisce l'interpretazione storica di Spadolini è il laicismo. Il senso della laicità, che significa abbattimento degli "steccati", che significa acquisizione della "libertà e della tolleranza", come quel "laico Sturzo", che tornato dall'esilio, sbarcava a Napoli nel settembre 1946 con una nuova concezione dei diritti dell'uomo capace di dissolvere tutte le antiche pregiudiziali guelfe e teocratiche". (Spadolini, p. 68: Il laico Sturzo)

La laicità è per Spadolini la connotazione essenziale di uno stato moderno, è il superamento della lacerazione fra Stato e Chiesa, è "una pace che - come scrive nel medaglione su Jemolo, parafrasandone uno scritto del 1944 sulla pace religiosa d'Italia - ha il suo presidio nella coscienza delle moltitudini, che prescinde dalle garanzie o dalle prerogative concordatarie, sempre labili, sempre mutevoli". (Spadolini, p. 145: Jemolo testimone di un secolo)

Laicità intesa come fuga dalla retorica, quella retorica che aveva minato l'Italia descritta da Gobetti nelle pagine de "La Rivoluzione liberale": "un incontro dell'età favolosa della primissima adolescenza"- lo definisce Spadolini, con un linguaggio insolito che fa trasparire un'emozione - forse la più forte in tutto il libro -, che significa il riconoscere un debito culturale, un debito intellettuale, un debito politico. (Spadolini: Gobetti, un'eredità, p. 27)

Dal richiamarsi alla memoria storica, che congiunge l'abbattimento degli steccati con la consapevolezza dell'etica dello stato, nasce l'acquisizione intima del valore morale delle istituzioni. E' quello istituzionale l'ulteriore nesso del rinnovamento che Spadolini avvertiva e che lo indusse a promuovere le originarie iniziative di una riforma che si è rivelata difficilissima.

Il tempo non ha tolto valore e attualità al metodo enunciato da Spadolini il 30 agosto 1982: "Il governo ricercherà sempre con l'opposizione lo idem sentire de constitutione: convinto che le possibili riforme istituzionali non sono affari di maggioranza, bensì investono la comunità politica nel suo complesso. E della comunità politica riguardano una dimensione temporale che deve preoccupare l'opposizione: l'avvenire. Un sistema in cui i meccanismi di governo sono bloccati per difetti istituzionali è un sistema senza avvenire".

E' al suo mandato di Presidente del Consiglio che voglio ora accennare.

Il 15 giugno 1981, anticipai il ritorno dalla consueta riunione mensile dei governatori delle banche centrali a Basilea per rispondere all'invito di Spadolini, presidente incaricato della formazione di un nuovo governo.

Fui ricevuto al Senato, nella sala Cavour. Spadolini iniziò sottolineando il significato della scelta di quella sala, nella quale stava nascendo il governo del primo Presidente laico dell'Italia repubblicana. Ritrovai poi molti passaggi di quel colloquio nelle dichiarazioni programmatiche che, formato il governo, Spadolini fece in Parlamento il 7 luglio. Fu il discorso della sfida alle "quattro emergenze": l'emergenza morale, l'emergenza economica, l'emergenza civile, l'emergenza internazionale.

Fu nota distintiva della sua azione di governo quella di aver posto la questione morale al centro della battaglia politica: egli ne sentiva stretta la connessione con il rinnovamento istituzionale, con la riforma della pubblica amministrazione.

"Prima ancora che con la lotta giudiziaria ai grandi truffatori finanziari, ai concussori, ai profittatori, agli evasori, i valori morali - così affermava in Parlamento il 30 agosto 1982, presentando il suo secondo governo - si difendono con un sistema di interventi normativi capaci di dare trasparenza alle istituzioni finanziarie, al maneggio del pubblico denaro, alle situazioni fiscali".

Che cosa significasse per Spadolini il rispetto, il culto, delle istituzioni ne ebbi conferma dieci anni più tardi, il 27 aprile del 1993. La sera prima avevo ricevuto dal Presidente della Repubblica l'incarico di formare il governo: avviai i primi contatti dalla mia abitazione. Non volevo coinvolgere la Banca d'Italia, di cui ero ancora Governatore, in una vicenda politica. Spadolini, Presidente del Senato, ne venne a conoscenza; mi telefonò offrendomi uno studio al Senato; insistette a che tenessi gli incontri in un luogo deputato alla vita politica. Capii e accettai. Fui un ospite discreto: dopo 24 ore potei tornare dal Capo dello Stato e sciogliere la riserva.

Questo era in Giovanni Spadolini il modo di sentire le istituzioni.

Soprattutto in questo forte, innato senso dello Stato si esprimeva la sua cultura laica. E le radici affondano nel Risorgimento, quella straordinaria vicenda che nell'unità istituzionale del Paese trovò il momento di aggregazione di un popolo per secoli diviso.

La lettura di questa galleria di ritratti, che raccoglie profili di protagonisti del nostro tempo, tracciati in momenti e occasioni diversi, conferma questa costante della vita di Spadolini, del suo pensiero come storico, della sua azione come politico.

Il percorso della raccolta è chiaro: dalle "premesse" rappresentate da Rosselli e da Gobetti, da Einaudi e da Croce, ai maestri del dopoguerra, soprattutto a quelli che nella fase costituente furono i protagonisti della cosiddetta "terza forza".

Una "terza forza" che si pone, più che come antagonista, come strumento di dialogo nei confronti sia del mondo cattolico sia dell'area socialista e comunista.

Europeismo, economia di mercato, esecutivi in grado di governare, affermazione concreta dei valori di libertà e di giustizia; sono questi i punti su cui ripetutamente batte Spadolini.

Il successo non sta tanto nel guadagnare voti nelle tornate elettorali, quanto nel vedere affermati quegli obbiettivi, nel vedere diffondersi i principi e i valori che sostengono, che animano, quegli obbiettivi.

"Sarebbe stata mai pensabile la revisione in atto", così scriveva Spadolini nel lontano 1978, "revisione profonda nel mondo comunista non meno che in quello socialista tradizionale, senza il continuo assillo della cultura laica e delle sue pur limitate proiezioni politiche?"

È un interrogativo che ancora oggi ci deve far riflettere, ora che la costruzione europea ispirata al ricupero pieno dei valori dell'uomo è obbiettivo comune.

Tendono a ridursi le forti contrapposizioni, le distanze tra aree diverse. Il peso specifico della presenza laica può apparire affievolito, ma solo perché i valori portati da quella cultura si sono maggiormente affermati, sono divenuti patrimonio comune anche di altre forze.

Proprio in virtù della funzione svolta da quella che Spadolini amava chiamare "l'Italia di minoranza", l' "altra Italia", quella auspicata dai "padri della Repubblica", appare oggi, nonostante tutte le difficoltà del presente, un po' meno lontana.