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Intervento all’European Banking Congress - Francoforte

22/11/1996

Francoforte
22 novembre 1996

European Banking Congress
Intervento del ministro Ciampi

L’Italia è uno dei Paesi fondatori della Comunità europea. Tra quattro mesi sarà celebrato il quarantennale della firma dei Trattati di Roma nella stessa sala del Senato della Repubblica Italiana, dove quei Trattati vennero firmati il 25 marzo 1957 dai sei capi di Stato e di Governo di allora: Adenauer, Bech, Luns, Pineau, Segni, Spaak.

Essere tra i membri fondatori della Comunità europea è stato un fatto fondamentale della nostra storia.

Essere tra i membri fondatori della moneta unica europea è un obbiettivo che la larga maggioranza degli italiani sente fortemente.

L’Italia intende essere tra i paesi fondatori della moneta unica europea rispettando i parametri di Maastricht, senza ricercare vie traverse, senza aggirarne le condizioni. L’Italia vuole entrare e restare nell’Unione per la via maestra.

Quello che è mia intenzione oggi trasmettervi è lo spirito con il quale gli italiani intendono fare quanto è necessario per essere un elemento di stabilità nell’Euro, non un elemento di tensioni, di squilibri.

1. Nei comportamenti degli italiani, produttori e consumatori, è entrata da tempo e si è via via rafforzata quella che io chiamo la "cultura della stabilità".

Negli anni Settanta e per gran parte degli anni Ottanta, l’Italia, che fino ad allora era stata capace di coniugare stabilità e sviluppo, è stato considerato il paese delle indicizzazioni, della "scala mobile"; un paese incline all’inflazione. Le svalutazioni si trasformavano in aumenti dei prezzi, si riflettevano con immediatezza’ sui salari, innescavano una spirale perversa.

Dalla metà degli anni Ottanta, e con più forza nel corso degli anni Novanta, questa mentalità di benevola tolleranza verso l’inflazione si è rovesciata. Oggi la larga maggioranza degli italiani vede nell’inflazione un male, un pericolo per il proprio benessere, per i propri risparmi.

Si tratta di un rovesciamento di mentalità. Con esso sono cambiate anche le istituzioni. L’accordo tra governo e parti sociali firmato nel luglio del 1993 ha confermato questi mutamenti; ha cancellato tutte le indicizzazioni, ogni forma di automatismo; le ha sostituite con una applicazione concertata di politica dei redditi che lega il libero confronto fra le parti sociali a un obbiettivo di stabilità. Tutto ciò si è rivelato un potente strumento di disinflazione.

Questo accordo è in vita da tre anni. È da tutti considerato il pilastro della nostra economia. Ha retto a una dura prova: la svalutazione che nel marzo del’95 la lira ha subito per motivi non economici. Nel volgere di poche settimane il marco volò fino a 1.270 lire. A fronte di una svalutazione della lira di oltre il 25%, i prezzi alla produzione salirono fino al 9%, quelli al consumo al 6%. Il sistema tenne: quella svalutazione è stata riassorbita nel giro di pochi mesi.

Ciò sarebbe stato impossibile con il vecchio sistema delle indicizzazioni: le aspettative avrebbero spinto a trasferire in misura maggiore la svalutazione della lira sui prezzi; i salari avrebbero incorporato il tasso di aumento dei prezzi. Quale conseguenza ultima sarebbe stata convalidata la svalutazione della lira. È il meccanismo della politica dei redditi che ha reso reversibile il fenomeno, combinandosi con una politica monetaria rigorosa.

Oggi in Italia il tasso di inflazione è sotto il 3%; al 2,6 secondo i primi dati relativi al corrente mese di novembre. L’obbiettivo che il Governo si è posto per il 1997, il 2,5% come media annua è a portata di mano. Il tasso annuo dei prezzi alla produzione è da quattro mesi prossimo allo zero.

2. Queste esperienze hanno rafforzato il radicamento nel sistema economico italiano della "cultura della stabilità". Tutto ciò è maturato attraverso contrapposizioni, scelte, che hanno contrassegnato la vita economica italiana nell’ultimo decennio.

"Cultura della stabilità" vuol dire soprattutto stabilità della moneta e questa si fonda sui "fondamentali" di una economia. La lira è stabile da mesi attorno a un livello medio di poco superiore alle 1.000 lire per marco. Il rafforzamento si accompagna a una forte riduzione dei tassi d’interesse di mercato, dovuta soprattutto a due fattori: la riduzione dell’inflazione, la diminuzione del "rischio Italia" nella valutazione degli operatori.

Sette mesi fa, in aprile, alla vigilia della formazione di questo Governo, i Buoni Ordinari del Tesoro annuali venivano collocati attorno al 9,50% lordo: nell’ultima asta sono scesi sotto il 7%. La riduzione dei tassi per i Buoni del Tesoro a più lunga scadenza è stata ancora più pronunciata; per un titolo a 10 anni dal 10,80 al 7,20%.

Il differenziale rispetto al Bund tedesco a 10 anni, che aveva toccato massimi di 650 punti nel marzo 1995, è sceso dai 350 punti dell’aprile scorso ai 170-180 di oggi. In pratica si è dimezzato. La discesa si è accentuata dopo la presentazione da parte del Governo di un bilancio che si propone di raggiungere già nel 1997 l’obbiettivo di un rapporto del 3% tra l’indebitamento della pubblica Amministrazione e il PIL.

La discesa dei tassi d’interesse, parallela al rafforzamento e alla stabilizzazione del livello del cambio, riflette il diffondersi del convincimento che l’Italia sarà capace di partecipare alla moneta unica. Riflette soprattutto un’economia robusta, dinamica, che poggia i piedi su una base solida.

I parametri di Maastricht hanno molti meriti. Hanno anche il difetto di aver allontanato l’attenzione da altri elementi caratterizzanti lo stato di salute di un’economia. Ad esempio, il tass’o di risparmio privato non è considerato dal Trattato; in Italia esso è tra i più alti del mondo e contribuisce in modo determinante alla sostenibilità del debito pubblico. L’alto tasso di risparmio fa sì che le famiglie italiane abbiano una ricchezza finanziaria pari a quasi il doppio del debito pubblico. Inoltre, la copertura del debito pubblico è composta per intero da prestiti in lire. L’Italia di fatto non ha debito estero. È vero che anche questo non fa parte dei parametri di Maastricht; è pur sempre un elemento significativo della solidità di una economia.

3. L’affermazione della "cultura della stabilità" non sarà piena finché non sarà giunto a compimento il processo di riequilibrio e di risanamento della finanza pubblica. Esso è stato avviato a metà 1992 e ha portato al dimezzamento del disavanzo statale rispetto al PIL. Il bilancio per il 1997, approvato dalla Camera dei Deputati sabato scorso, si pone l’obbiettivo di raggiungere già l’anno prossimo il rapporto del 3% fra disavanzo e PIL previsto dal Trattato. In questo bilancio sono presenti alcuni provvedimenti "una tantum", non perché si pensi di ottenere il 3% nel 1997 per poi lasciarlo risalire, ma perché il programma di convergenza, approvato dal Parlamento in precedenza, già prevedeva di raggiungere un rapporto disavanzo-PIL sotto il 3% nel 1998 e negli anni seguenti. Il ricorso a misure "una tantum" anticipa di un anno l’obbiettivo; ciò non affranca il Governo dall’impegno di adottare per il bilancio 1998 le misure già previste per conseguire un disavanzo strutturalmente inferiore al 3% .

Spesso si trascura di esaminare la composizione del disavanzo pubblico dell’Italia. Una sua analisi dimostra che l’obbiettivo di mantenere negli anni futuri un rapporto disavanzo-PIL inferiore al 3% non solo è credibile, ma più facile da raggiungere rispetto a quello del 1997. Mi spiego. Se escludiamo la spesa per gli interessi sul debito, l’Italia presenta già da alcuni anni un importante avanzo primario, fra i più elevati in Europa. Questo significa che, al netto degli interessi sul debito, ai cittadini italiani viene chiesto di più di quanto essi ricevano dallo Stato. L’avanzo dello Stato italiano, al netto degli interessi, sarà quest’anno di circa il 4% del PIL. L’anno prossimo ci proponiamo di portarlo al 6,5%, obbiettivo che impone uno sforzo notevole.

L’avanzo primario è più che assorbito da una spesa per interessi anomala, oltre che per l’ammontare del debito, per l’elevatezza dei tassi: è il "macigno" che pesa sull’economia italiana e ne soffoca le possibilità di sviluppo. Nel 1995 lo Stato italiano ha speso per interessi sul debito oltre l’11% del PIL: nel 1996 questa spesa scenderà al 10,50%; prevediamo si riduca intorno al 9,5% nel 1997. Per fare un paragone, il Belgio, che ha un rapporto debito-PIL superiore a quello dell’Italia, paga un onere per interessi pari a circa l’8% del suo PIL.

Se, come è nostro intendimento, continuiamo a progredire nella convergenza e rafforzare la fiducia nella nostra economia, contiamo nel 1998 di ridurre quel "macigno" all’8%.

Questo significa che, per mantenere dal 1998 in poi un livello di disavanzo globale inferiore al 3%, basterà conseguire un avanzo primario tra il 5 e il 5,5%, ovvero un punto in meno dell’obbiettivo del 1997. Per gli italiani è il 1997 il momento del massimo sforzo.

4. Il tema dei tassi d’interesse e della composizione del disavanzo dello Stato italiano consente di meglio comprendere perché abbia più volte espresso il mio consenso alle posizioni del Presidente della Bundesbank, sulla necessità di costruire un Euro che sia forte. Considerazioni di interesse nazionale si aggiungono al convincimento antico, e tuttora da me condiviso, con il quale, da governatore, partecipai alla preparazione dello statuto della Banca centrale europea: il suo obbiettivo principale è "il mantenimento della stabilità dei prezzi".

È interesse dell’Europa avere un Euro forte. Faremmo un grave danno a tutta l’Europa se costruissimo una moneta meno credibile di quella tedesca. Fra l’altro ciò provocherebbe una uscita di capitali dall’Unione, con la conseguente necessità di contrastarla con l’aumento dei tassi di interesse. Sarebbe un danno per tutti i paesi europei; lo sarebbe a maggior ragione per l’Italia, che a causa dell’alto indebitamento, ne riceverebbe un aggravio proporzionalmente maggiore.

L’Italia dà quindi il suo pieno consenso, per convinzione ma anche per convenienza, a tutte le iniziative, come il "patto di stabilità", volte ad assicurare un Euro forte.

Solo sulla base di una solida condizione monetaria, e quindi di tassi reali decrescenti, l’Europa potrà dedicare impegno pieno per assicurare maggiori opportunità di occupazione, perseguendo un tasso di crescita duraturo che riduca l’attuale inaccettabile divario con il potenziale produttivo, che accresca l’occupazione.

La legge finanziaria approvata dalla Camera è importante per la sua dimensione quantitativa, ma non è meno importante per gli aspetti qualitativi di molte misure in essa contenute. Il Governo italiano ha fatto precedere la legge di bilancio da due provvedimenti di riforma strutturale, ad essa intimamente collegati: la riforma della pubblica Amministrazione, la riforma del bilancio dello Stato. Ambedue sono stati già approvati dal Senato. A poco varrebbe il nostro sforzo di aderire all’Unione monetaria, se quanto facciamo non fosse l’occasione per un completo ripensamento del ruolo dello Stato nell’economia, per semplificare la normativa, per delegificare. La pubblica Amministrazione deve produrre servizi di qualità migliore a costi decrescenti. Non pochi tagli alla spesa corrente dello Stato sono funzionali a una sua qualificazione.

Avanza così la realizzazione di un indirizzo generale del governo che comprende liberalizzazioni, allargamento della concorrenza, privatizzazioni. Il nostro obbiettivo è di disegnare una nuova linea di demarcazione tra il pubblico e il privato, una frontiera che veda assegnato allo Stato un minor numero di compiti, svolti con un livello di qualità superiore.

Signore e Signori,
sono tra i pochi in questa sala che hanno vissuto gli anni Trenta, la tragedia della seconda guerra mondiale.

Partecipo all’impresa per la costruzione dell’Europa unita con intenso impegno, animato come sono dalla convinzione profonda che, solo se riusciremo, lasceremo alle future generazioni un’Europa migliore, più sicura.

La creazione della moneta unica è passaggio fondamentale, per il suo contenuto, per il suo significato.

La moneta unica non è la meta finale, è momento, economico e istituzionale, di un più ampio progetto: la costruzione di un’Europa unita anche politicamente. Con la realizzazione dell’unione monetaria si rafforza l’economia europea, si dà esempio concreto di quell’equilibrio di poteri, di quella solidità di relazioni fra i paesi europei che solo una costruzione istituzionalmente definita può assicurare.

Le prospettive, il tracciato decisi a Maastricht sono chiari nelle finalità, nelle interrelazioni: costruire un’Unione monetaria e economica, fondata su istituzioni comuni, in cui sono iscritti ruoli e responsabilità di tutti i paesi membri, accomunati dal desiderio di confluire in una realtà nuova, dove l’unità si coniughi con il rispetto, la salvaguardia delle peculiarità di ogni componente.

Solo un’Europa, istituzionalmente unita, salda nei suoi principi ispiratori e nelle sue strutture, può affrontare le grandi sfide mondiali.

Nessun paese europeo, neanche i maggiori e meglio organizzati, è in grado da solo di misurarsi con successo nella competizione con i grandi sistemi economici, gli Stati Uniti, il Giappone, l’Asia. Soltanto un mercato europeo unificato, un sistema produttivo integrato possono consentire di farlo.

Nella prospettiva del nuovo secolo, gli aspetti monetari ed economici si ampliano, si congiungono e si intrecciano con i grandi temi sociali e politici. È uno scenario, di cui occorre aver coscienza nel dar vita all’Unione monetaria.

Non abbiamo di fronte solo il problema, pur importante e difficile, di far avanzare lo sviluppo e l’integrazione dei paesi dell’Est.

Non meno impegnativo si presenta il rapporto tra il Nord e il Sud; esso ha nel Mediterraneo il punto focale di incontro, di dialogo.

Il confronto di popoli con culture, religioni, realtà economiche, sociali, demografiche profondamente diverse si imporrà nei prossimi decenni. È un problema che investe l’intera Europa: l’Italia, per la sua stessa posizione geografica, per le sue tradizioni è destinata ad avervi un ruolo centrale. In questa prospettiva, un’Unione prevalentemente mitteleuropea, sarebbe squilibrata, meno idonea ad affrontare queste tematiche vitali.

L’Italia ha bisogno dell’Europa. Ma anche l’Europa ha bisogno dell’Italia.