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Intervento all’Assemblea annuale dell’Associazione Bancaria Italiana

25/06/1997

L’Italia in Europa

La creazione della moneta unica è un evento che segnerà per generazioni il destino dei cittadini europei.

Ogni dubbio residuo sul fatto che l’euro nasca nei tempi previsti è stato dissolto al Consiglio europeo di Amsterdam. L’Italia vuol far parte, sa di poter far parte, dell’euro fin dal suo avvio. Questa non è più una speranza, un proposito fondato sull’ottimismo della volontà. È una determinazione che oggi, a metà del 1997, si basa su elementi di fatto.

L’Italia ha fatto in questi mesi un progresso straordinario verso la convergenza e la stabilità. Il Governo sta oggi raccogliendo i frutti di scelte fatte un anno fa, sta conseguendo obbiettivi enunciati e perseguiti con coerenza, con tenacia: l’abbattimento dell’inflazione, il calo dei tassi d’interesse, il rientro nell’accordo di cambio, il risanamento delle pubbliche finanze, da ultimo, obbiettivo di sintesi, la partecipazione piena all’Unione economica e monetaria.

Allo stesso tempo, il Governo ha aperto la stagione delle grandi riforme strutturali che rappresentano il salto di qualità per un Paese che ha saputo superare con successo il lungo e difficile periodo di transizione iniziato nel 1992. La riforma fiscale, la riforma, attesa da decenni, della pubblica Amministrazione, la riforma del bilancio dello Stato, riforme tutte già approvate dal Parlamento e ora in fase di attuazione. Con la ridefinizione dello stato sociale, in vista della quale si è aperto il confronto con le parti sociali, sono queste le fondamenta della costituzione materiale di un Paese maturo che vuole partecipare all’Unione europea portando in essa stabilità e forza.

La partecipazione dell’Italia all’euro trascende il terreno dell’economia. Essa è un momento importante della realizzazione del grande disegno europeo deciso e tracciato quarant’anni fa con il Trattato di Roma; disegno economico e politico che modifica l’assetto e le prospettive dell’intera Europa, e con essa del mondo. Non dimentichiamo mai la prima metà del secolo che sta per concludersi: le due grandi guerre fratricide.

Per l’Italia, partecipare fin dall’inizio all’Unione economica e monetaria va ben al di là di esigenze di prestigio o di acquisizione di vantaggi contingenti. Significa concorrere alla formazione della "qualità", dei "caratteri" delle nuove istituzioni europee, operando con gli altri paesi membri nel definirne le regole del funzionamento e nell’avviarne le prassi. Significa ancor più assicurare, nella costruzione europea, quell’equilibrio fra la componente mitteleuropea e la componente mediterranea che è elemento costitutivo della natura, della storia del nostro continente.

La strada della convergenza e della stabilità è stata percorsa con determinazione, e sono i fatti a parlare. L’inflazione annua è scesa in giugno all’1,4-1,5 per cento, un tasso che ci riporta agli anni cinquanta e sessanta, quando il nostro paese era tra i più stabili d’Europa e fondava sulla stabilità dei prezzi e della moneta le ragioni di un vigoroso sviluppo del reddito. Un’inflazione all’1,4-1,5 per cento ci consente di guardare con serenità ai prossimi mesi. Anche nel caso che motivi statistici provochino un qualche rimbalzo dell’indice mensile calcolato a distanza di dodici mesi, l’obbiettivo di inflazione media annua stabilito nel Documento di Programmazione Economico-Finanziaria per il 1998 nell’1,8 per cento si conferma credibile e raggiungibile.

In queste settimane assistiamo ad una ulteriore riduzione dei tassi d’interesse di mercato. Il differenziale tra i titoli pubblici italiani e quelli tedeschi a lunga scadenza è sceso ai minimi storici, attorno a 120 punti base. Può ancora ridursi. Un anno fa, quando iniziò l’opera di questo Governo, era a 370. Resta ancora elevato il differenziale dei tassi a breve. Tuttavia la forza manifestata dal cambio della lira, la sua stabilità dopo il rientro nel meccanismo di cambio dello SME, lasciano ben sperare sulla possibilità di una riduzione anche del differenziale dei tassi a breve.

La bilancia dei pagamenti è la più forte in Europa, con un avanzo delle partite correnti prossimo al 4 per cento del PIL. L’Italia contribuisce in misura determinante al surplus dell’Unione europea nei confronti del resto del mondo. La componente commerciale ha continuato ad essere fortemente attiva, nonostante il ricupero del cambio nel 1996 e la sua stabilizzazione con il rientro nell’accordo di cambio. Con i risultati dell’anno in corso il debito netto dell’Italia con l’estero sarà azzerato.

L’andamento dei conti pubblici è confortante. Non voglio astrologare sui consuntivi dell’intero 1997: li conosceremo solo a fine anno. Guardiamoci dagli ottimismi precipitosi. Sta di fatto che i dati del primo semestre sono coerenti con il raggiungimento del 3,0 per cento nel rapporto tra indebitamento delle pubbliche Amministrazioni e il PIL.

Questi risultati sono la prova che il "circolo virtuoso" che ci proponemmo di attivare un anno fa sta funzionando. Gli sforzi fatti nel risanamento della finanza pubblica hanno trovato un elemento di moltiplicazione nei tassi d’interesse. Il costante accrescimento della credibilità ha spinto al ribasso i tassi di mercato sgretolando il macigno soffocante dell’onere del debito pubblico. Il percorso che abbiamo indicato per i prossimi anni prevede che l’Italia stabilizzi la sua spesa per interessi tra il 7 e l’8 per cento del PIL, dal 12,1 del 1993.

Abbiamo attuato per via di mercato quello che a molti non sembrava raggiungibile se non attraverso un’operazione "forzosa", un consolidamento del debito pubblico, che avrebbe squalificato l’Italia per generazioni.

Il fatto che il circolo virtuoso stia operando non vuol dire che tutto sia risolto. Il circolo virtuoso è un meccanismo che si nutre di credibilità, che deve essere continuamente alimentato. Dobbiamo perseverare in comportamenti coerenti. Stabilità e sviluppo trovano il loro fondamento nell’operare di tre politiche: dei redditi, di bilancio, della moneta. La coerenza di queste tre politiche, nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni a ciascuna di esse preposta, è la chiave del riequilibrio della nostra economia, della fiducia di aver di fronte a noi l’orizzonte di una crescita duratura nella stabilità.

L’approvazione del Documento di Programmazione Economico-Finanziaria da parte del Parlamento, conclusa ieri con il voto al Senato, la risoluzione che l’accompagna sono una ulteriore testimonianza della ferma volontà del Paese non solo di partecipare alla moneta unica, ma di contribuire alla stabilità economica dell’Europa.

Il Documento si basa sulla necessità di dare una risposta non contingente ai mutamenti e alle innovazioni che investono la sfera sociale non meno di quella economica. Modello economico e modello sociale sono in rapporto di dipendenza reciproca, di complementarità. La "sostenibilità" del sistema sociale non è solo esigenza economica e finanziaria, è anche garanzia di equità e di sicurezza nel futuro: la garanzia del rispetto del "patto fra cittadini".

Il problema di ridisegnare lo stato sociale rendendolo coerente con l’andamento demografico, con l’allungamento delle speranze di vita investe tutti i paesi industriali, non è certo una specificità italiana. Il Vertice di Denver si è concluso sabato con una dichiarazione solenne che impegna i maggiori paesi industrializzati ad agire tempestivamente per riformare i sistemi previdenziali, per ridare loro equilibrio.

È intendimento dei paesi europei ridisegnare lo "stato sociale" senza rinunciare alla caratteristica del proprio modello di sviluppo che è quella di saper coniugare il mercato e le esigenze della socialità. In questo modello qualcosa si è incrinato negli ultimi quindici anni. E ciò è testimoniato dai tassi crescenti ed inaccettabili di disoccupazione che affliggono le economie dell’Europa continentale. Occorre revisionare, ammodernare quel modello, per ritrovare il cammino della crescita e dell’occupazione, per ricuperare la competitività perduta nei confronti degli Stati Uniti e della aree di più recente industrializzazione.

Il Consiglio europeo di Amsterdam ha approvato due risoluzioni che confermano e rafforzano la scelta per la stabilità e lo sviluppo. Due risoluzioni, che recepiscono nell’impianto giuridico dell’Unione il "patto di stabilità e di crescita" e impegnano a politiche per lo "sviluppo e l’occupazione". Due risoluzioni unite da un’unica premessa che testimonia come le due finalità non possano essere separate: la stabilità non è solida se non è sorretta dallo sviluppo del reddito, lo sviluppo non è duraturo se non si fonda sulla stabilità, dei prezzi, della moneta, del bilancio pubblico

L’Italia intende rispettare con convinzione il Patto di stabilità e di crescita. Esso è garanzia che l’euro sarà una moneta forte, stabile, che proteggerà il risparmio e il lavoro dei cittadini. Non bisogna mai dimenticare che la moneta non è solo unità di conto, mezzo di pagamenti, ma anche strumento di conservazione del risparmio. Il Patto di stabilità e di crescita offre garanzie tali da convincere i mercati a ridurre i tassi d’interesse reali elevati che hanno soffocato l’economia europea degli anni ottanta e novanta. Esso è dunque la premessa delle politiche attive per rilanciare lo sviluppo e l’occupazione che sono delineate nella seconda risoluzione di Amsterdam.

Altra conclusione importante che si è raggiunta ad Amsterdam è il riconoscimento della necessità di dar vita a un vero governo dell’economia europea. Il rafforzamento del coordinamento delle politiche economiche e fiscali dei paesi dell’Unione è una esigenza vitale. Mentre la politica monetaria unica verrà espressa da un’unica autorità, il Sistema europeo di banche centrali e la Banca centrale europea, non altrettanto era fino ad oggi previsto per le politiche economiche.

Il sistema creditizio e la concorrenza

Le grandi riforme strutturali e la creazione dell’euro vanno vissute come un unico processo che deve condurre a una nuova fase di sviluppo, a tassi di crescita vicini a quello potenziale, all’abbattimento della disoccupazione. Quella del settore del credito è essenziale, non meno delle altre delle quali già ho detto, per il successo dell’intero disegno: il quadro ordinamentale è in larga parte completo, ora devono seguire i comportamenti.

Le banche dell’Europa continentale stanno vivendo la presente trasformazione dell’economia mondiale in una condizione di maggiore fragilità rispetto a quelle del Regno Unito e degli USA. Sono caratterizzate da bassi tassi di rendimento sul capitale, da riduzione nei margini di interesse, da elevate sofferenze. Sempre più frequentemente le agenzie di rating abbassano il giudizio sul loro merito di credito. Ciò è vero particolarmente per le banche italiane.

Alla spinta alla trasformazione del sistema finanziario si aggiunge l’imminente costituzione dell’Unione Monetaria Europea.

Con l’adozione dell’euro e la conseguente eliminazione dei rischi di cambio, muteranno i comportamenti della clientela, individui e imprese; questa potrà indirizzarsi facilmente all’estero soprattutto per quanto riguarda i servizi finanziari. Ne deriverà maggiore possibilità di confrontare le condizioni praticate, impulso per forme più progredite, in particolare, di banca elettronica.

I mercati obbligazionari cresceranno in spessore e liquidità, in competizione con l’intermediazione creditizia.

Il mercato monetario e il mercato dei titoli pubblici espressi in euro saranno altamente liquidi. La maggiore integrazione potrà portare all’affermarsi di una unica curva dei rendimenti di riferimento per ogni mercato e di un solo contratto future per i titoli pubblici. I mercati dei capitali privati avranno un analogo sviluppo.

Gli investitori istituzionali sposteranno i propri portafogli dalle attività precedentemente espresse in valuta nazionale verso quelle in euro, indipendentemente dalla nazionalità dell’emittente.

La frontiera tra il mercato bancario e quello dei titoli tenderà a muoversi a favore di quest’ultimo. Di conseguenza le banche dovranno accelerare la modifica della composizione delle loro attività verso le componenti della distribuzione e del collocamento.

Analogamente sul fronte dei depositi il mercato per gli "euro repo" competerà con i depositi bancari per i fondi a breve termine, soprattutto quando la Banca Centrale Europea inizierà a operare nel mercato dei "repo" utilizzando come collaterale una vasta gamma di titoli pubblici.

Alle nuove spinte concorrenziali le banche europee dovranno reagire aumentando la produttività, diminuendo i costi, esplorando nuove linee di prodotto, ricercando migliori condizioni di efficienza e di economicità, attraverso fusioni e concentrazioni.

In occasione della 72ª Giornata Mondiale del Risparmio ebbi modo di notare: "Strette dalla concorrenza e dai mutamenti nell’economia reale, le banche italiane non dimostrano sufficiente prontezza nell’intraprendere azioni che innovino nel modo di far banca, che meglio rispondano alle esigenze della clientela, che incidano in modo permanente sulla struttura del conto economico". Osservavo ancora come: "Sbaglierebbe chi confidasse, con lo sguardo rivolto al passato, in una sorta di protezione naturale o nella transitorietà della realtà presente. Quando l’Italia farà parte dell’Unione Monetaria, le banche europee diventeranno concorrenti in un modo e con un’efficacia diversi da quelli attuali. ...L’istituto meno efficiente sarà spinto ai margini o acquisito da altri soggetti."

Per il sistema bancario italiano, come per il resto del Paese il futuro è legato all’affermarsi del binomio: innovazione, rigore. Troppo lentamente, con gravi ritardi, il sistema si è reso conto di una realtà che stava rapidamente mutando.

La concorrenza, provocata dalla lunga fase di liberalizzazione degli anni’80, ha portato all’erosione dei margini di profitto. Tra il 1980-83 e il 1993-96 lo spread tra il rendimento unitario degli impieghi in lire e il costo unitario della raccolta si è ridotto di oltre un terzo: da 9,4 a 5,8 punti percentuali.

Nella seconda metà degli anni’80, dopo l’abbandono dei vincoli amministrativi sul credito, le banche hanno mantenuto una buona redditività, grazie alla sostituzione di titoli con impieghi: tra il 1983 e il 1991 il peso degli impieghi in rapporto al totale dei fondi fruttiferi è salito dal 41 al 50 per cento; quello dei titoli è disceso dal 28 al 16 per cento.

Dall’inizio del decennio corrente il quadro è mutato radicalmente. Sono emerse ampie perdite sui crediti, valutate in oltre 40 mila miliardi nel triennio 1994-96.

La deregolamentazione, in uno con l’avanzamento del mercato unico europeo, ha avviato un percorso inarrestabile di convergenza dei mercati e con esso di convergenza progressiva dei livelli dei prezzi nel settore bancario. Ma la convergenza, che ha investito appieno il fronte dei ricavi unitari, ha toccato scarsamente la funzione di produzione e i costi che a essa si associano.

Il rendimento del capitale investito delle banche italiane, che nel 1979-92 era stato di oltre il 10 per cento, due punti superiore a quello dei sistemi bancari dei principali paesi, si è contratto a poco più dell’1,5 per cento nel triennio 1993-95; negli altri paesi è rimasto sostanzialmente stabile. Il ricupero di redditività conseguito nel 1996 appare contingente, in quanto basato soprattutto su guadagni da negoziazione dei titoli, connessi con la diminuzione dei tassi di interesse.

La realtà con cui si confrontano le aziende bancarie italiane è caratterizzata da:

  • bassa quotazione del capitale bancario e quindi insufficiente pressione da parte del mercato verso l’adozione di comportamenti orientati alla crescita della redditività. È la conseguenza più rilevante della natura pubblica della maggior parte del sistema bancario, della lentezza del processo di privatizzazione;
  • ridotte dimensioni aziendali e insufficiente utilizzo dell’automazione con conseguente scarso sfruttamento delle economie di scala;
  • una fiscalità diretta e indiretta più severa che nel resto d’Europa che si esplica in una ancora elevata aliquota delle riserve obbligatorie, nonché in un limitato riconoscimento fiscale delle rettifiche su crediti e degli accantonamenti per rischi su crediti;
  • un mercato del lavoro caratterizzato da rigidità generali e specifiche e da un eccessivo cuneo fiscale e contributivo.

I processi di ristrutturazione postulano sia una soddisfacente redditività di partenza, sia l’attesa di poter conseguire quelle economie di scala e di scopo che costituiscono la finalità prima delle concentrazioni e delle ristrutturazioni stesse.

Per favorire questa evoluzione, l’azione del legislatore e delle Autorità di vigilanza deve essere rivolta a:

  • agevolare il processo di privatizzazione;
  • modificare le condizioni fiscali e regolamentari per promuovere la ricerca di una maggiore efficienza e redditività. Il decreto delegato sulle fondazioni costituirà strumento utile per la ricerca di nuovi assetti patrimoniali.

Dal canto loro le banche italiane debbono ricuperare redditività non solo attraverso l’offerta di nuovi servizi, ma anche rivedendo la propria organizzazione e abbattendo i costi operativi.

L’azione per affrontare il mercato bancario del 2000 non potrà aver successo se il primo attore - la banca - non vi investe con determinazione il proprio destino: ristrutturazione della produzione, ricerca della specializzazione, miglioramento della qualità saranno i termini del confronto con la concorrenza su tutte le piazze: dalla provincia italiana ai mercati internazionali.

Ancorché scarno nelle indicazioni operative, trattandosi non di un accordo, ma di un’intesa preliminare, il recente protocollo di intesa sul costo del lavoro, raggiunto mercé l’intervento del Governo, costituisce la prima concreta reazione del sistema bancario italiano alle mutate condizioni della concorrenza. L’auspicio è che già in occasione della verifica prevista per il 10 luglio maturino orientamenti precisi che costituiscano la base per le decisioni, difficili ma non più rinviabili, che il sistema bancario italiano dovrà affrontare nei prossimi mesi.

Tuttavia, sarebbe gravemente erroneo il pensare che una riduzione del costo pur fondamentale di un fattore produttivo quale il lavoro possa, da sola, cambiare il rapporto fra domanda proveniente dal mercato e capacità produttiva economicamente valida. Aspetto rilevante della competitività di un sistema è la capacità di sviluppare intelligenza e controllo delle proprie operazioni in modo da mettersi il più possibile al riparo dai rischi, da cogliere le occasioni, da avviare tempestivamente le azioni necessarie per contrastare situazioni avverse. Pochi sono gli istituti che hanno realizzato, per i vari segmenti di mercato, strutture e sistemi di controllo della redditività, di assegnazione di obbiettivi, di responsabilizzazione, di monitoraggio, di incentivazione individuale e di gruppo.

Negli ultimi mesi il sistema ha visto avviare un’importante iniziativa di ristrutturazione e di concentrazione intorno al Banco di Napoli. Una gravissima situazione aziendale è stata l’occasione per trasformare quello che poteva essere solo un salvataggio bancario in un coraggioso e promettente disegno di costruire una realtà operativa nuova.

È stato con sentimenti tra loro in conflitto che l’11 giugno scorso ho firmato l’atto di vendita con cui il Tesoro dello Stato ha ceduto il 60 per cento del capitale del Banco di Napoli alla società Banco di Napoli Holding costituita dall’INA e dalla BNL: la soddisfazione per veder poste le basi di una delle più difficili ristrutturazioni della storia bancaria italiana si accompagnava all’indignazione per il costo che il cittadino ha dovuto pagare a seguito di una gestione che ha portato alla distruzione dell’autonomia patrimoniale del Banco.

La soluzione raggiunta è stata realizzata in modo chiaro, secondo le regole del mercato; ha ottenuto l’approvazione della Commissione europea.

L’intervento del Tesoro nel Banco di Napoli è stato dettato non solo dalla consapevolezza che la ricerca di adeguate dimensioni, attraverso processi di ristrutturazione e di fusione, è passo essenziale per affrontare la nuova realtà concorrenziale, ma anche dall’esigenza di conservare al Mezzogiorno quella infrastruttura fondamentale per la mobilizzazione delle risorse produttive che è l’intermediazione creditizia.

Ma, perché il disegno potesse essere tracciato e avviato occorreva che l’azienda venisse strutturalmente risanata. Negli ultimi due anni molto è stato fatto in questo senso nella gestione del Banco, mercé l’impegno degli amministratori, della dirigenza, del personale tutto.

Il successo dell’operazione è legato alla capacità della nuova amministrazione di immettere nell’istituto un modo nuovo di far banca. Sostenere l’avanzamento del Mezzogiorno non è in conflitto con criteri sani di far credito, anzi lo richiede. L’intervento congiunto di una istituzione di credito e di una istituzione di assicurazione è presupposto per l’arricchimento dell’operatività del Banco.

L’intero progetto potrà trovare più rapido e sicuro successo attraverso la fusione dei due istituti bancari. I tempi dipenderanno dalle capacità di entrambe le banche di gestire l’ulteriore fase di ristrutturazione dei loro stessi istituti in vista della realizzazione dell’intero progetto. Questo deve essere impostato in chiave unitaria, per massimizzarne gli effetti in termini sia di efficienza e di redditività, sia di soddisfacimento delle esigenze finanziarie della clientela. In questo quadro e nell’aspettativa che la redditività del nuovo gruppo sia in linea con le attese del mercato, si colloca l’intendimento di procedere, dopo la fusione con il Banco di Napoli, alla privatizzazione della Banca Nazionale del Lavoro.

Verrei meno a un preciso dovere se in questa sede omettessi di parlare dei problemi del sistema creditizio in Sicilia. Anche in questo caso la determinazione del Tesoro è protesa a salvaguardare l’infrastruttura del credito, essenziale per il futuro dell’economia siciliana.

L’opera di risanamento del Banco di Sicilia, iniziata con il ricambio del vertice 4 anni fa, è proseguita di recente con il rinnovo degli organi sociali. Agli amministratori che hanno lasciato va il nostro ringraziamento, ai nuovi il mandato di completare il risanamento del Banco, avviandone la privatizzazione. La speranza di successo è fondata sulla fiducia che l’unità di intenti animi la condotta di tutti gli azionisti.

Il prossimo urgente adempimento è l’imputazione a capitale dei versamenti e dei conferimenti già effettuati dallo Stato e dalla Regione.

L’opera di risanamento e di progressiva privatizzazione del Banco dovrà vedere l’entrata nel capitale di soci esterni, di elevato rango, in grado di introdurre il Banco in circuiti finanziari di più ampio orizzonte e di contribuire all’innovazione dei prodotti offerti, pur senza perdere il radicamento nella realtà territoriale di origine.

Il riassetto del sistema creditizio siciliano dovrà altresì comprendere il superamento della grave crisi della Sicilcassa, da oltre un anno in amministrazione straordinaria. Ci stiamo adoperando insieme con la Banca d’Italia e con le varie istituzioni interessate per la ricerca di soluzioni che, nel rispetto delle regole di mercato e nel doveroso accertamento delle responsabilità, evitino il venir meno per l’economia siciliana di un importante strumento di sostegno finanziario e preservino un patrimonio di relazioni creditizie e di professionalità operative.

Le fondazioni

Il futuro del sistema bancario italiano nel nuovo ambiente competitivo è in gran parte legato a un chiarimento definitivo dello stato giuridico delle fondazioni .

Il Governo a tal fine ha presentato al Parlamento un disegno di legge delega. Occorre ricordare quali ne sia la finalità: la separazione tra la banca e la fondazione, destinate a scopi diversi.

La cesura vuol dire cessione a privati della partecipazione bancaria; vuol dire, altresì, assegnazione di un ruolo nuovo alle fondazioni, non più condizionato dall’antica origine bancaria. I due momenti sono strettamente collegati e non possono essere realizzati disgiuntamente; la privatizzazione risponde a un’esigenza del sistema finanziario e bancario, ma è anche il presupposto per il nuovo ruolo delle fondazioni.

Le fondazioni vengono indirizzate verso la privatizzazione delle partecipazioni bancarie, non solo attraverso norme di agevolazione fiscale, ma anche e soprattutto da alcuni specifici principi posti nella legge delega, quali la detenibilità di partecipazioni di controllo solo in imprese strumentali agli scopi; la diversificazione del patrimonio.

La dismissione delle partecipazioni bancarie detenute dalle fondazioni oltre ad introdurre vitalità nel mercato azionario mira a condurre il sistema bancario italiano a più elevati livelli di efficienza e concorrenzialità. La proprietà della banca diventerà "contendibile" e l’impresa bancaria verrà sottoposta interamente al giudizio del mercato, con effetti di stimolo all’efficienza. L’ingresso stesso di privati nel capitale azionario permetterà di sostituire ad un proprietario non gestore e non sollecitato dalla ricerca di un congruo rendimento, un proprietario attivamente interessato a perseguire una redditività adeguata del proprio investimento e indotto ad accrescere l’efficienza dell’impresa. Diverranno più chiare ed efficaci le relazioni fra organi amministrativi e organi operativi.

Certo il processo di dismissione, da perseguire con determinazione, va affrontato con la dovuta cautela. Posto l’obbiettivo, è nella autonomia e responsabilità delle singole fondazioni elaborare tempi e modi di realizzazione, nell’ambito di progetti che tengano conto delle situazioni di mercato. Ma è proprio la realtà del mercato, profondamente mutata anche per l’imminente adozione dell’euro, a imporre un’accelerazione del processo.

Tra gli strumenti che le fondazioni, con autonome decisioni, possono adottare per giungere alla privatizzazione, la legge delega, oltre ovviamente alla cessione, ne ha indicati due, predisponendone gli opportuni adeguamenti normativi.

Il primo consiste nella conversione delle azioni ordinarie detenute dalle fondazioni in azioni privilegiate senza diritto di voto nelle assemblee ordinarie: l’ingresso di soggetti terzi nel capitale viene favorito dalla diluizione del potere di controllo della fondazione.

Il secondo consiste nell’emissione di titoli di debito convertibili in azioni ordinarie della banca o muniti di warrants per l’acquisto di dette azioni: la scelta di partecipare al capitale da parte di azionisti terzi può così essere dilazionata nel tempo, durante il quale sarà cura della fondazione incrementare l’attrattività dell’investimento, in vista della conversione.

La legge delega si propone di orientare, di stimolare: altre vie, altre modalità possono essere scelte dagli enti interessati. È comunque essenziale avviare il processo: alcune fondazioni già lo hanno fatto; l’auspicio è che ciò sia di sprone per tutte le altre.

Il progressivo allontanamento delle fondazioni dalla banca fa emergere il ruolo delle fondazioni delineato dalla legge delega. Si tratta di un ruolo che trova la sua base nella legge Amato-Carli, ma che il legame con la partecipazione bancaria non ha permesso sinora di esprimere pienamente. La norma fondamentale è quella che individua le finalità istituzionali di utilità sociale delle fondazioni. Queste vengono ricondotte alla tipologia delle fondazioni private disciplinate dal codice civile, cioè di patrimoni destinati ad uno scopo. Ne conseguono il riconoscimento della natura privata e la piena autonomia statutaria e gestionale. Ma se non si liberano le risorse immobilizzate nelle banche non sarà di fatto possibile perseguire gli scopi istituzionali previsti per le fondazioni dalla legge delega.

I proventi della dismissione sono e rimarranno di proprietà delle fondazioni. La "vibrata" denuncia, il grido di allarme per un esproprio che si vorrebbe consumare ai danni degli enti conferenti sono pure invenzioni. Starà ai responsabili delle fondazioni investire quei proventi in attività diversificate, per ridurre i rischi, e redditizie, sì che i conseguenti redditi consentano loro di svolgere nel modo migliore e più ampio i nuovi compiti istituzionali.

Il disegno di legge delega prevede anche la possibilità di perseguire gli scopi istituzionali in via diretta, attraverso la gestione di imprese strumentali agli scopi stessi. Si ampliano così le potenzialità operative delle fondazioni, che potranno caratterizzarsi in forma diversa dalle tradizionali fondazioni di erogazione. La loro capacità di sviluppo si misurerà anche dal successo nell’attrarre apporti di altri soggetti, soprattutto privati, nella realizzazione dei progetti di intervento.

L’osservanza della legge delega e delle disposizioni dei relativi decreti delegati viene mantenuta in capo al Ministero del Tesoro; si deve quindi sgombrare il terreno da equivoci che solo una lettura affrettata può giustificare.

La conservazione della vigilanza al Tesoro rappresenta una garanzia di continuità nel sistema, di stimolo a che si attui il processo di dismissione.

A dismissione completata la funzione del Tesoro potrà ritenersi esaurita. Non subentrerà una nuova autorità costituita ad hoc; il disegno di legge non la prevede. Le fondazioni, al termine del processo di dismissione, saranno enti operanti nel settore del non profit; come tali rientreranno nell’ambito della sorveglianza che la legge ha già affidato a un apposito organismo, peraltro ancora da costituire e da definire nei suoi poteri. Tale scelta è stata dettata dall’esigenza di evitare la proliferazione di soggetti di controllo. Natura e poteri dell’organismo verranno definiti dal Parlamento.

Se gli obbiettivi di separazione del binomio fondazione-banca sono condivisi bisogna superare le polemiche improduttive e lavorare per la loro realizzazione. L’occasione di una riforma è importante; non va persa. È indispensabile preservare l’unitarietà del provvedimento; lo stralcio e l’approvazione della sola parte fiscale, da taluno ipotizzata, non sono proponibili, non risolverebbero il problema, manterrebbero in una condizione precaria un sistema che richiede al più presto un nuovo, definitivo assetto.

Il sistema finanziario

Perché il disegno sia completo, alla riforma della banca dovrà accompagnarsi quella della Borsa e degli altri mercati.

Con l’emanazione del Decreto Ministeriale disciplinante le modalità di vendita da parte del Tesoro delle azioni della Società di Borsa verrà a compimento la privatizzazione della Borsa, così come era stata delineata nel D.L. 23 luglio 1996 n.415.

Da struttura pubblicistica e monopolistica, l’attività di intermediazione mobiliare diviene oggetto di impresa privata, in concorrenza e autoregolantesi. La nuova disciplina, che verrà ripresa dal Testo Unico sulla finanza mobiliare ha rimosso gli ostacoli di carattere normativo che potevano limitare il libero esplicarsi dell’iniziativa privata e il decollo dei mercati verso assetti più competitivi. La scelta del modello della società per azioni meglio si attaglia alle esigenze organizzative di un soggetto prestatore di servizi in un ambito finanziario competitivo e consente più facilmente processi di integrazione con altri organismi internazionali. Infine la nuova disciplina, accogliendo le sollecitazioni degli operatori e degli studiosi, ha fatto piena applicazione del principio di sussidiarietà, riservando alla regolamentazione pubblica solo quei profili che non potevano essere lasciati all’autodisciplina del mercato e attribuendo all’autorità amministrativa un forte potere di intervento volto ad assicurare che la regolamentazione e la gestione del mercato siano "conformi alla disciplina comunitaria" e idonee "ad assicurare la trasparenza del mercato, l’ordinato svolgimento delle negoziazioni e la tutela degli investitori".

Agli operatori che diverranno proprietari della costituenda società-mercato si richiede l’impegno a sviluppare al massimo il mercato di borsa: in quanto bene pubblico e infrastruttura sempre più necessaria per il finanziamento degli investimenti e dello sviluppo.

L’auspicio è che dalla vendita delle azioni della società mercato scaturisca una compagine azionaria in grado di esprimere una leadership forte, ma non monocratica, nella quale possano trovare voce le istanze di tutti gli attori del mercato e che sia in grado di promuovere con tempestività ed efficacia gli investimenti e le iniziative necessarie a evitare la marginalizzazione del nostro sistema degli scambi.

Il decreto Eurosim ha rappresentato solo l’ultimo, in ordine di tempo, di una serie di interventi normativi che, a partire dagli anni ottanta, hanno sostanzialmente coperto ogni aspetto della disciplina del mercato finanziario e mobiliare.

Il testo unico della finanza, coerentemente alle linee già tracciate dal decreto Eurosim, è chiamato a completare la definizione di un sistema economico moderno, in grado di favorire l’incontro tra la domanda e l’offerta d’investimento, in un quadro di regole che rendano chiari i ruoli e le responsabilità di chi gestisce l’impresa e di chi investe in essa.

La Commissione insediata presso il Tesoro ha già provveduto alla ricognizione delle questioni; in fase di ultimazione è la prima stesura della disciplina, i cui contenuti essenziali saranno preventivamente discussi con le associazioni di categoria e con gli organismi rappresentativi degli interessi coinvolti.

Laddove l’inesistenza di riserve di legge lo consenta, il testo unico si presenterà come una legge di principi e di allocazione di poteri. Il ricorso alla delegificazione consentirà di calibrare gli interventi della normativa secondaria in funzione del tipo di attività svolta; al contempo garantirà quel grado di flessibilità della disciplina idoneo ad assicurarne il rapido adeguamento alle mutevoli esigenze della finanza.

La transizione da una disciplina fondata sui soggetti ad una avente ad oggetto le attività consentirà di pervenire ad una omogeneizzazione delle regole in tema di requisiti e di procedure per la costituzione degli intermediari, di requisiti di professionalità e onorabilità degli esponenti aziendali e dei partecipanti, di conoscibilità degli assetti azionari, di vigilanza.

In particolare il testo unico sarà chiamato a verificare la coerenza dell’attuale criterio di ripartizione delle competenze tra autorità di vigilanza che, sul tema della trasparenza, ha vissuto tormentate vicende legislative.

Come già accaduto per il settore del credito, il testo unico costituirà l’occasione per verificare la coerenza dell’attuale sistema di vincoli legislativi e regolamentari che riservano determinate attività d’investimento solo a taluni intermediari.

In tal contesto, anche precorrendo indirizzi che vanno maturando in sede comunitaria, andranno trovate soluzioni in tema di vigilanza e di conflitto d’interessi che rendano possibile lo svolgimento dell’attività di gestione sia individuale sia in monte da parte di un unico soggetto.

In conformità al mandato conferito, la riforma delle regole di governo societario avverrà secondo criteri che rafforzino la tutela del risparmio e degli azionisti di minoranza. Il legislatore delegato terrà conto dell’esigenza di evitare soluzioni che ingessino lo sviluppo degli scambi: la tutela degli azionisti di minoranza deve essere di contributo, non di ostacolo, alla crescita degli scambi.

Per l’attività di controllo si intende pervenire a una chiara ripartizione dei compiti e delle connesse responsabilità tra collegio sindacale e società di revisione; tra le questioni in discussione, il conferimento al primo dei poteri di controllo con finalità di riscontro gestionale, alla seconda in via esclusiva la funzione di verifica contabile.

Verrà ridefinita e semplificata, con ampio rinvio alla normativa secondaria, la disciplina dell’offerta pubblica di acquisto, ricercando una conciliazione tra tutela dell’azionista minore e facilità dello svolgimento dell’operazione di mercato.

Definitivo riconoscimento legislativo e massima pubblicità sarà data ai patti di sindacato, introducendo un limite temporale alla validità degli accordi, prevedendo per quelli a tempo indeterminato la facoltà di recesso.

Di contro, la riduzione del quorum necessario per la convocazione dell’assemblea e la nuova disciplina in tema di deleghe di voto consentirà alle minoranze azionarie organizzate o a soci qualificati di coalizzare il consenso degli azionisti su specifiche proposte.

Nel nuovo ambiente concorrenziale, il criterio ispiratore dei lavori sul testo unico è quello di scegliere le soluzioni normative che costruiscano un ordinamento competitivo sul piano internazionale: l’astratta correttezza dei principi sarebbe vana se, tra qualche anno, essa dovesse presiedere al deserto degli scambi.

Signore e Signori,

L’industria della banca, della finanza, dell’assicurazione è industria di servizio. Sempre più, nei prossimi anni, l’impresa, il risparmiatore si serviranno dove la qualità dei servizi offerti sarà più alta, dove la loro gestione sarà più efficiente.

Ma esistono, soprattutto in un Paese quale è il nostro, dove la struttura produttiva è costituita prevalentemente da medie e piccole imprese, forti motivi per una industria finanziaria radicata nel territorio nazionale. Di fronte a Voi, protagonisti del nostro sistema finanziario, sta la sfida di saper continuare a servire, in una realtà finanziaria senza confini territoriali, un Paese che, animato da una forte e dinamica capacità imprenditoriale, è al contempo il terzo risparmiatore del mondo.