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Inaugurazione Anno Accademico Guardia di Finanza

20/01/1998

1. Con la creazione dell'euro il progetto europeo sta per fare un salto di qualità. Per la prima volta nel lungo cammino comunitario, si compirà un atto di rinuncia piena alla sovranità nazionale. Per di più in una materia di grande significato. Gli Stati che parteciperanno alla creazione dell'euro rinunceranno alla propria moneta, simbolo dello Stato-Nazione.

Sarà un evento che tutti i cittadini vivranno in modo diretto, nella loro vita quotidiana, nell'uso ripetuto della moneta: a un tempo metro di valori, strumento di scambio e di risparmio.

È passato quasi mezzo secolo da quando, il 9 maggio 1950, l'allora Ministro degli Esteri francese Robert Schuman, presentando il piano della prima iniziativa europea, la Comunità dell'acciaio e del carbone, dichiarò che "l'Europa non potrà farsi in una volta sola, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino innanzitutto una solidarietà di fatto".

Si delineò, allora, nella disputa fra i federalisti che miravano da subito a un'organizzazione politica dell'Europa con poteri sovrani e i sostenitori solo di una cooperazione intergovernativa, una terza via che mediava le opposte tesi puntando a un'integrazione progressiva incentrata sull'economia.

2. L'aver scelto la via della integrazione economica graduale nulla toglie al significato altamente politico del progetto europeo.

L'Unione europea, che ha trovato la sua prima sanzione istituzionale nel Trattato di Roma sottoscritto dai sei Stati fondatori il 25 marzo 1957 in Campidoglio, è il frutto di un lungo percorso unitario, vagheggiato già nel secolo scorso, maturato con le dolorose vicende della prima metà di questo secolo.

Due devastanti guerre mondiali, causate dal prevalere di nazionalismi esasperati da conflitti economici e da ideologie totalitarie, non potevano non generare l'aspirazione ad un'Europa unita.

Perché ciò più non possa accadere: è stato ed è il sentimento profondo all'origine dell'ideale unitario che si affermò in Europa al termine della seconda guerra mondiale.

Nel volgere degli anni lo spirito dell'integrazione ha trovato nell'evoluzione mondiale, politica, economica, tecnologica, motivi crescenti che l'hanno fatto divenire sempre più forza trainante e aggregante.

Da ultimo, in questo decennio apertosi con la caduta del muro di Berlino, la realtà europea ha trovato ulteriore conferma della validità del progetto unitario, ulteriori stimoli ad attuarlo.

Affinché esso possa realizzarsi occorrono modelli istituzionali articolati, flessibili nello spazio e nel tempo. Ma occorre soprattutto salvaguardare il patrimonio della civiltà europea nella sua interezza, far sì che la realtà socio-politica-economica che si sta creando nelle nuove istituzioni europee sia rappresentativa di tutte le sue componenti; preservi in particolare l'equilibrio, che è fondamentale, fra cultura mitteleuropea e cultura mediterranea: sono queste, componenti parimenti essenziali per l'Europa, che nei secoli si sono vicendevolmente vivificate.

3. Nelle difficoltà e nei contrasti che hanno segnato l'avanzamento del processo unitario si è di fatto affermato il metodo pragmatico di ampliare con successivi accordi la sfera di competenza e di interessi della Comunità europea.

Il campo in cui i progressi sono stati maggiori, fino a giungere a decisioni veramente federaliste, è quello dell'economia e in particolare della moneta.

Sin dal 1970 un progetto articolato il piano Werner che prevedeva la fissazione rigida dei tassi di cambio tra le monete europee, l'integrazione dei mercati finanziari, il coordinamento delle politiche macroeconomiche venne sottoposto all'esame dei Paesi aderenti alla CEE.

La sua approvazione fu resa impossibile dalla esplosione nell'agosto del 1971 della grave crisi internazionale, che portò alla decisione degli Stati Uniti di sospendere la convertibilità del dollaro in oro e al venir meno del sistema dei cambi istituito a Bretton Woods nel 1944.

Dopo il fallimento di quel progetto, il cammino verso la moneta unica europea fu di nuovo intrapreso nel 1979 con la creazione del Sistema monetario europeo (SME). Con esso è stata costruita fra le monete aderenti una rete di stretti rapporti, imperniata su una unità monetaria l'ECU, paniere delle monete partecipanti con funzione di parametro di riferimento.

La lunga e sostanzialmente positiva esperienza dello SME è alla base delle iniziative che hanno portato a riprendere il cammino della formazione di un mercato unico e quindi a decidere l'Unione monetaria firmando, nel febbraio del 1992, il Trattato di Maastricht. Questo Trattato ha segnato progressi importanti del processo comunitario sotto vari aspetti, dalla politica estera e della difesa alla giustizia e agli affari interni: ma è nel campo della moneta che esso è stato veramente innovativo. Con la creazione dell'UEM il principio "federale" trova per la prima volta piena affermazione.

La nascita dell'euro significa la fine delle monete nazionali, la loro sostituzione con la moneta europea.

La creazione del Sistema europeo di banche centrali, con al centro la Banca centrale europea con pienezza di poteri in materia di politica monetaria, significa l'accettazione di una politica monetaria unica.

Non si è più nell'ottica del "coordinamento" delle politiche nazionali o della enunciazione di principi comunitari, ai quali le normative nazionali siano tenute ad adeguarsi. È la sovranità nazionale dei singoli Stati nel campo della moneta che passa all'Unione, con la piena e formale rinuncia al diritto di emettere moneta propria da parte degli Stati nazionali.

È questo il fatto "nuovo". Dal 1 gennaio 1999 l'euro diverrà l'unica moneta dell'Unione di cui le monete nazionali saranno una semplice espressione; dal 1 luglio 2002 le monete nazionali scompariranno.

La lira, che fu alla base del sistema monetario carolingio, che è rimasta poi presente nei secoli in forme diverse nei vari Stati della penisola, che dal 1862 è l'unità monetaria dello Stato italiano, scomparirà. Con essa scompariranno tutte le monete degli Stati europei che parteciperanno all'Unione monetaria europea; dal marco al franco, dal fiorino alla peseta e così via.

4. Sottolineato l'evento centrale, conviene soffermarsi sui principali aspetti istituzionali.

Con il 1° gennaio 1999 le funzioni di politica monetaria saranno affidate al Sistema europeo di banche centrali, che è formato dalla Banca centrale europea e dalle Banche centrali dei paesi membri.

La Banca centrale europea sarà amministrata da un Consiglio direttivo, composto dai Governatori delle Banche centrali nazionali dei paesi aderenti alla Unione monetaria e dai membri del Comitato esecutivo. Comporranno quest'ultimo organo un Presidente, un Vice Presidente e da due a quattro altri membri: tutti nominati, con un mandato non rinnovabile, dal Consiglio europeo dei Capi di Stato e di Governo, su proposta del Comitato dei Ministri Finanziari e scelti fra personalità con esperienza professionale nel settore.

Alla Banca centrale europea competerà il diritto di autorizzare l'emissione della moneta comune, l'euro. La stampa materiale delle banconote potrà avvenire a cura delle Banche centrali nazionali.

Come si vede, si tratta di un assetto del tutto sovranazionale, di tipo decisamente federalista.

Ad esso non corrisponde un assetto analogo della politica economica, che resta prerogativa dei Governi nazionali nei campi sia del bilancio, sia del fisco, sia della distribuzione del reddito.

È questa una asimmetria che occorre bilanciare. Vanno in questa direzione le decisioni prese al Consiglio europeo di Lussemburgo. In quella sede è stato deciso sia il rafforzamento dell'Ecofin, il Consiglio dei Ministri Finanziari, sia la possibilità per i Paesi partecipanti all'euro di riunirsi, sia pure informalmente, per discutere di problemi attinenti la gestione della moneta comune.

In particolare l'Ecofin tende ad assumere la caratteristica di organo di impostazione di una politica economica europea. La sua posizione "al centro del processo di coordinamento e di assunzione di decisioni in materia economica così recitano le conclusioni del Consiglio europeo di Lussemburgo consacra l'unità e la coesione della Comunità."

Concorrono ad assicurare una prospettiva di convergenza e di coordinamento crescenti delle politiche economiche dei paesi uniti nella moneta europea le disposizioni e gli impegni presi con il patto di stabilità e di crescita definito nel Consiglio europeo di Dublino.

Tutto questo delinea un processo in atto che non potrà non avanzare, sotto la spinta della realtà stessa che stiamo costruendo, nel rispetto delle autonomie di governo dei vari Paesi membri dell'Unione europea e nel quadro di una applicazione piena del principio di sussidiarietà.

5. L'Italia ha partecipato fin dall'inizio alla costruzione dell'Europa comunitaria, alla sua genesi, alla sua progressiva affermazione.

Non ha mai mancato agli appuntamenti che hanno segnato i principali momenti dell'avanzamento dell'Unione europea.

Non sono mancati difficoltà, dubbi; sono sempre stati superati e le scelte fatte si sono dimostrate positive per l'Italia, per l'Europa.

L'Italia non poteva, non può mancare all'appuntamento dell'euro, la moneta unica europea.

Consapevole di interpretare il sentimento largamente prevalente nella pubblica opinione, sicuro di operare nell'interesse del Paese, il Governo ha deciso di accelerare il processo di riequilibrio dell'economia, di risanamento dei conti pubblici per porsi nella condizione di partecipare sin dall'inizio alla creazione dell'euro.

Allorché questo Governo è stato costituito, nella primavera del 1996, la situazione dell'economia italiana rendeva molto problematica siffatta scelta.

Troppo ampio era il distacco dai parametri di Maastricht: per l'inflazione, per i tassi d'interesse, per il disavanzo pubblico, oltreché per il debito pubblico. La lira italiana era ancora fuori dall'accordo europeo di cambio.

L'obbiettiva difficoltà dell'impresa, il rischio, economico e politico, del probabile insuccesso non hanno trattenuto dall'assumere la decisione.

Il dado è stato definitivamente tratto alla fine di settembre 1996, con il presentare al Parlamento la nota aggiuntiva al bilancio per il 1997.

Il Parlamento, il Paese hanno fatto propria quella scelta perché sentita, nel fine ultimo, non come obbiettivo di parte, ma rispondente all'interesse generale.

Quanto è accaduto nei mesi successivi, l'indubbio successo che sta premiando quella scelta, è frutto della capacità, delle potenzialità della nostra economia, della solidità del processo di riequilibrio e di risanamento che il Paese da alcuni anni sta portando avanti e che questo Governo ha reso più intenso e soprattutto ha perseguito con determinazione.

6. Esaminiamo insieme, sia pure in modo sommario, il cammino fatto. Il 1997 è alle nostre spalle. Anche se non si dispone ancora di dati completi e definitivi, il consuntivo dell'annata nei suoi principali aspetti economici è ormai definito.

Un primo risultato è quello dell'inflazione. Le statistiche ISTAT confermano che l'inflazione, male che per venti anni ha afflitto la nostra economia, è stata debellata. L'aumento dei prezzi al consumo nel 1997, come dato medio annuo e come variazione nel corso dei dodici mesi dell'anno, è stato rispettivamente dell'1,7 per cento e dell'1,5 per cento; cioè quasi un punto percentuale in meno rispetto all'obbiettivo - il 2,5 per cento - che il Governo si era posto e che da molti era stato considerato fuori dalla nostra portata.

Non si tratta di un risultato episodico, casuale; bensì l'effetto di un'azione su più fronti, in atto da anni; l'effetto di un mutamento sostanziale nel comportamento di tutti gli operatori: famiglie, imprese, organizzazioni sindacali, pubblica Amministrazione.

La cultura della stabilità si è affermata nel nostro Paese. Il passaggio chiave è stato l'accordo fra parti sociali e Governo del luglio del 1993: in quell'occasione la politica dei redditi, abbozzata un anno prima, ha trovato enunciazione chiara e organica: è divenuta un modo d'essere. Da allora quell'accordo ha operato e sta operando come àncora della stabilità, considerata bene comune da salvaguardare nell'interesse di tutti. Sulla base di quell'accordo è stato più facile riacquisire il controllo della spesa pubblica, in parte non piccola influenzata dall'inflazione. Trovando sponda in quell'accordo, e nel risanamento dei conti pubblici, il rigoroso controllo della moneta da parte della Banca d'Italia ha potuto esprimere efficacia piena.

Il trinomio politica monetaria, politica dei redditi, politica della spesa pubblica ha interagito, accentuando l'effetto dell'azione di ciascuna delle tre componenti.

7. Il calo dell'inflazione e la decisa azione di riequilibrio dei conti pubblici hanno prodotto sui mercati un progressivo ricupero di fiducia. La quotazione dei titoli pubblici sui mercati è stata il termometro quotidiano di questa riconquista.

Il collocamento alle aste di titoli di Stato è avvenuto a tassi di interesse decrescenti, fino a dimezzarne il livello rispetto a ventiquattro mesi prima. All'asta di inizio gennaio 1996 i Buoni del Tesoro a tre anni vennero emessi al tasso del 10.26 per cento al lordo della ritenuta d'acconto; all'ultima asta, giovedì scorso, sono stati emessi al tasso del 4,72 lordo.

La riduzione dei tassi è fatto peculiare della nostra economia: in Germania, nei due anni considerati, i tassi a medio termine sono rimasti sostanzialmente invariati.

Si è ridotto, fin quasi ad annullarsi, a 30 punti base, cioè trenta centesimi di punto percentuale, il differenziale dei tassi a carico dei titoli italiani. Due anni fa era anormalmente elevato, oltre 380 punti base; esprimeva la diffidenza che allora i mercati nutrivano nell'economia italiana.

La politica economica adottata ha generato fiducia. E produrre fiducia significa migliaia di miliardi in meno di spesa pubblica improduttiva per il servizio del debito, migliaia di miliardi di minori oneri debitori per le imprese, migliaia di miliardi in meno di rendita finanziaria.

Dato l'elevato debito pubblico, superiore a due milioni di miliardi di lire, ogni punto percentuale in meno del costo dei titoli significa per lo Stato un risparmio, a regime, di ventimila miliardi all'anno; il risparmio si manifesta gradualmente nel tempo in relazione alla scadenza media del debito, oggi pari a quattro anni e mezzo.

Il beneficio non è meno importante per l'economia privata; si manifesta anzi con maggiore immediatezza per le imprese, il cui indebitamento è in larga parte a breve termine.

La sensibile attenuazione degli oneri finanziari ha influito e sta influendo sulla ripresa produttiva, migliorando i conti economici del nostro sistema imprenditoriale, rafforzandone la competitività.

Evidenti sono i vantaggi anche per le famiglie, attraverso il minor costo sia del credito al consumo sia dei mutui ipotecari e più in generale dei finanziamenti all'edilizia.

È infine da tener presente un altro importante effetto positivo del calo degli interessi, di natura sociale. Per anni, all'elevato livello dei tassi di interesse nominali ha corrisposto un elevato livello dei tassi reali, al netto cioè dell'inflazione: ciò si è tradotto in una rilevante redistribuzione del reddito a favore dei possessori di titoli pubblici, con effetti indesiderati sotto il profilo sociale, oltre che dannosi ai fini dello sviluppo. Venivano invocati interventi d'imperio per modificare siffatta situazione. Ma interventi d'imperio, quali conversioni forzose del debito pubblico, erano di fatto impossibili in una economia aperta. Anche se fosse stato possibile attuarli in forma surrettizia, l'effetto sarebbe stato devastante per la credibilità dello Stato, presente e futura.

Nel volgere degli ultimi diciotto mesi il risultato desiderato, quello di eliminare l'anomala rendita finanziaria, è stato raggiunto per via di mercato. Ai livelli attuali dei tassi d'interesse nominali, i titoli pubblici rendono un interesse reale più o meno pari al tasso di crescita potenziale della nostra economia: sono quindi tuttora appetibili, ma non producono più effetti distorsivi sulla distribuzione del reddito.

Con la sostanziale eliminazione del differenziale a nostro carico rispetto ai paesi industriali più stabili, i tassi d'interesse reali a lungo termine potranno ora ridursi ulteriormente solo nel quadro di un analogo andamento internazionale. Vi è ancora spazio nei tassi a breve.

8. L'anno 1997 si è concluso con un ridimensionamento del disavanzo dei conti pubblici di eccezionale entità. Non si dispone ancora dei dati definitivi validi per il parametro di Maastricht, che fa riferimento al rapporto fra l'indebitamento complessivo della P.A. e il prodotto interno lordo. Ambedue gli aggregati saranno noti solo alla fine del mese di febbraio.

Al momento si dispone del dato del fabbisogno dello Stato. Nel volgere di un anno questo si è più che dimezzato: da 128.850 miliardi nel 1996 a 52.500 nel 1997.

Il risultato rispecchia l'opera di risanamento e di ricupero del controllo dei conti pubblici: questa opera è stata facilitata dalla messa in moto del circolo virtuoso fra risanamento e riduzione dei tassi d'interesse. La spesa dello Stato per interessi si è ridotta nel 1997 di 16 mila miliardi, da 202 del 1996 a 186 mila miliardi, nonostante l'inevitabile aumento del debito pubblico.

L'entità del fabbisogno dello Stato è stata nel 1997 inferiore alla spesa per gli investimenti statali. Ciò significa che, per la prima volta da molti anni, è stato annullato il disavanzo corrente: la differenza fra il totale delle entrate complessive dello Stato e il totale delle spese correnti è divenuta positiva. Nel 1997 lo Stato si è indebitato solo per finanziare gli investimenti, in parte sia pur piccola coperti con entrate di bilancio.

Il miglioramento dei nostri conti pubblici è di evidenza inconfutabile. Si avanzano, da parte di alcuni, dubbi sulla "sostenibilità" nel tempo. Si argomenta che una parte della manovra correttiva del 1997 è stata realizzata con interventi "una tantum". È questa una indubbia verità: la nota aggiuntiva al bilancio 1997 dette chiara notizia degli interventi di natura temporanea.

Ho più volte avuto modo di affermare che lo scorso anno, dovendo costruire un ponte a 4 arcate per guadagnare già nel 1997 la sponda della partecipazione all'euro, costruimmo 3 arcate di ferro, definitive; ne aggiungemmo una quarta provvisoria, fatta di barche. Questa quarta arcata, provvisoria, è stata sostituita con un'arcata definitiva con la Legge finanziaria per il 1998.

La consistenza dello sforzo effettivo compiuto per il risanamento dei nostri conti pubblici è indicata dall'entità dell'avanzo primario, cioè del saldo fra le entrate totali e la spesa al netto degli interessi; si valuta che per il 1997 l'avanzo primario si aggiri sul 6,5 per cento del prodotto interno lordo. Secondo questa prima valutazione, rispetto al 1996, l'avanzo primario sarebbe aumentato nel 1997 di circa 2,5 punti percentuali; al tempo stesso il disavanzo per interessi sarebbe diminuito di 1,2-1,5 punti percentuali. La combinazione delle due variazioni di segno opposto produce il complessivo, eccezionale miglioramento del fabbisogno dello Stato, dell'ordine di 4 punti percentuali.

Negli anni prossimi, per continuare a rispettare gli impegni di Maastricht, sarà necessario continuare a mantenere un elevato avanzo primario, ma di dimensioni anche minori rispetto al 1997, dato il beneficio crescente che deriverà dalla graduale diffusione del calo già avvenuto nel livello dei tassi d'interesse all'intera platea del debito pubblico.

Infine, la capacità di mantenere nel più lungo periodo consistenti avanzi primari nei conti pubblici si basa soprattutto sull'attuazione delle riforme approvate dal Parlamento: in particolare quelle del fisco e della pubblica Amministrazione e le correzioni apportate al sistema previdenziale. Si aggiunge ora la riforma del settore commerciale. Si tratta in tutti i casi di interventi strutturali di grande rilievo che danno al risanamento dell'economia italiana solidità e prospettive sicure di avanzamento.

9. I conti pubblici registrano, oltre che il disavanzo annuo, il debito che i "disavanzi", cumulandosi nel tempo, hanno generato. È un grosso onere che pesa e continuerà a pesare su di noi, nei prossimi anni.

Quel peso, pur fortemente attenuato dal calo dei tassi d'interesse, dobbiamo cercare di ridurlo il più rapidamente possibile in termini relativi, cioè nel suo rapporto con il prodotto interno lordo.

Dal 1995 quel rapporto è in diminuzione: vi contribuiscono, insieme con il calo del disavanzo, i proventi delle privatizzazioni. La alienazione delle imprese pubbliche ha un solo limite: quello di impedire che a monopoli pubblici possano sostituirsi monopoli privati. Al tempo stesso è intendimento del Governo di procedere alle cessioni dei beni demaniali non più rispondenti a necessità funzionali.

Nel 1997 i proventi da privatizzazioni di società di proprietà dello Stato e dell'IRI sono stati di circa 40 mila miliardi di lire, di cui 24.400 sono andati alla riduzione dello stock del debito.

L'obbiettivo intermedio, che ci proponiamo di raggiungere nel volgere di 5-6 anni, è di discendere sotto quota 100; dopo, si farà più agevole la discesa prodotta dal combinato effetto del contenimento del numeratore, il debito, e dell'aumento del denominatore, il PIL.

10. A mano a mano che divengono noti, i risultati del 1997 stanno smentendo per il meglio la quasi totalità delle previsioni fatte in numerose sedi fino a pochi mesi fa. Le hanno smentite per l'inflazione, per i tassi di interesse, per i conti pubblici. Le stanno smentendo anche per la crescita. Questa risulterà quasi certamente superiore, nel suo dato definitivo, a quell'1,2 per cento che il Governo si era posto come obbiettivo dai più ritenuto impossibile.

Dopo un primo semestre, caratterizzato dal prolungarsi della situazione di ristagno del 1996, l'economia italiana ha decisamente ripreso la strada della crescita.

In questa congiunzione di riequilibrio dei conti pubblici, di stabilità dei prezzi e di ripresa economica sta l'eccezionalità del 1997. I timori di una recessione provocata dal risoluto taglio del disavanzo pubblico, e quindi della domanda, sono stati fugati.

Ritengo ma starà agli economisti confermarlo o meno che la spiegazione stia in primo luogo nell'attivazione di quello che sono solito chiamare il secondo circolo virtuoso.

Il primo, come si è visto, ha operato all'interno del settore pubblico: fra aumento dell'avanzo primario e riduzione del disavanzo per gli oneri sugli interessi sul debito. Accanto ad esso ne ha operato un secondo, all'interno dell'economia produttiva, pur esso incentrato sul calo dei tassi d'interesse. La riduzione del costo del debito ha migliorato i conti economici delle imprese, compensando almeno in parte gli effetti di freno della minore domanda pubblica. Si è aggiunta la maggiore disponibilità di risorse finanziarie a disposizione dell'economia produttiva, a seguito del minor assorbimento di risparmio da parte del settore pubblico. Minor costo del denaro, maggiore disponibilità di risorse hanno stimolato e stanno stimolando le iniziative private, irrobustito il mercato finanziario, la Borsa.

Da settembre il migliorato andamento dell'economia ha cominciato a mostrare i primi effetti positivi sull'occupazione.

È quanto attendevamo. Dal luglio '97 l'indagine trimestrale dell'ISTAT sulle forze di lavoro ha cominciato a registrare un aumento dell'occupazione nell'industria; a ottobre l'1,3 per cento rispetto all'anno precedente; l'utilizzo della Cassa integrazione guadagni è in sensibile calo.

Ma sappiamo che le radici della disoccupazione sono profonde, non possono essere sradicate solo con la crescita. Richiedono anche interventi specifici, diretti, mirati territorialmente laddove la disoccupazione è male endemico, in particolare nel Mezzogiorno. Occorre aiutare la diffusione di nuove iniziative imprenditoriali laddove esse sono carenti. Per questo dobbiamo accelerare le dotazioni di infrastrutture materiali e immateriali. Occorre affrontare in modo sistematico il problema della formazione; al suo centro stanno i giovani, ma l'impegno non si esaurisce con la preparazione scolastica e post-scolastica. La competitività di un'economia, nella realtà presente di rapida innovazione tecnologica, dipende in primo luogo dalla capacità di continuo aggiornamento professionale del proprio patrimonio umano.

Sono queste e con queste una maggiore disponibilità alla mobilità, sia del capitale sia delle risorse umane e una più efficiente operatività del mercato del lavoro - le flessibilità di cui il Paese ha bisogno per stare in Europa, per avvalersi dei vantaggi che l'Unione europea offre e per evitare i pericoli del venir meno dei margini di manovra che la variabilità dei tassi di cambio finora ha consentito.

Tutto questo richiede un vigoroso rilancio degli investimenti, pubblici e privati. Non vi è difetto di mezzi finanziari per le iniziative valide. Scelte avvedute, realizzazioni senza ritardi né sprechi, un'amministrazione responsabile e attenta, consapevole dei doveri di chi gestisce il denaro di tutti: sono queste le fondamenta, a livello locale e centrale, per stimolare e attuare una politica mirata di investimenti, che sia generatrice di reddito e di occupazione.

Il Governo ha puntato su un'accelerazione dell'utilizzo dei fondi comunitari, soprattutto per quelli relativi all'obbiettivo 1, cioè alle aree depresse del Mezzogiorno.

Nel corso del 1997 l'attuazione del Quadro comunitario di sostegno 199499 ha avuto una notevole accelerazione. L'obbiettivo che il Governo si era posto di raggiungere il 38 per cento della spesa a fine 1997, partendo dall'aprile '96, è stato centrato. Ciò significa che sono stati effettuati pagamenti per circa 18 mila miliardi, a valere per metà sui fondi nazionali e per metà sui fondi comunitari.

La sensibile accelerazione nell'utilizzo dei fondi strutturali comunitari va attribuita sia al miglioramento delle procedure di attuazione messe in atto dalle Amministrazioni centrali e regionali, grazie anche al contributo apportato dalle innovazioni normative in materia, sia, e soprattutto, al nuovo clima di fiducia e di collaborazione che si è instaurato fra le Amministrazioni coinvolte. L'entità delle risorse affluite per questa via al Mezzogiorno dimostra che, nonostante gli stringenti obbiettivi di riequilibrio della finanza pubblica connessi con l'aggancio della moneta unica, il Governo non ha fatto mancare consistenti mezzi finanziari per gli investimenti nelle regioni più deboli del Paese.

11. Il Consiglio europeo di Amsterdam si è chiuso sette mesi fa con la sottoscrizione del patto per la stabilità e per la crescita.

Il patto costituisce un'integrazione del Trattato di Maastricht; rende espliciti impegni già contenuti nella lettera e nello spirito del Trattato.

L'Italia non ha avuto difficoltà a sottoscrivere quel documento: esso corrisponde agli obbiettivi, alla linea di condotta alla base dell'azione del Governo, quale è stata enunciata all'inizio di questa legislatura, quale è stata e viene praticata.

L'Italia sa di poter partecipare alla creazione dell'euro apportando stabilità di comportamenti, vitalità di iniziative.

La lira, che si fonderà con le altre monete nazionali per dar vita tutte insieme all'euro, è una lira stabile. Rientrata oltre un anno fa nell'accordo di cambio dello SME si è mantenuta senza difficoltà all'interno della banda stretta. È una lira che ha poggiato e poggia la sua forza su un saldo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti con l'estero da alcuni anni in consistente avanzo, su una situazione finanziaria con l'estero del tutto pareggiata, prossima anzi a passare in attivo.

È un'economia, quella italiana, che vanta in Europa la più elevata capacità di risparmio privato, tale da finanziare per intero il pur elevato debito interno. È un'economia che è ben consapevole delle carenze e delle debolezze che ancora la affliggono, ma che ha dimostrato di avere in sé la forza per affrontarle.

È un'Italia che intende stare appieno nell'Europa, in una continuità di tradizioni e di propositi mai venuta meno, fin dal concepimento del progetto europeo.

Di quel progetto l'euro è solo una fase, un momento, pur di grande significato. Il suo contenuto va, deve andare, al di là dell'aspetto economico.

Ho già accennato all'importanza di avere nell'Europa che si sta unificando un'equilibrata presenza della cultura mitteleuropea e di quella mediterranea.

Il nuovo secolo sarà caratterizzato dalle relazioni Nord-Sud, dal confronto fra due mondi: un confronto che avrà il suo centro nel Mediterraneo. Non è una tesi per me nuova, che esprimo sotto l'emozione di eventi attuali: l'ho ripetutamente proposta anni fa quando ho avuto l'onore di presiedere il Governo.

È un confronto fra due aree profondamente diverse, sia per contenuti di civiltà, sia per condizioni economiche e demografiche.

L'alternativa ai rischi di conflittualità insiti nel diffondersi di visioni intolleranti e nelle profonde diseguaglianze economiche, con il loro inquietante seguito di pressioni demografiche, sta sia nel rispetto dei patrimoni storici, culturali e religiosi, sia nel saggio uso degli strumenti economici e sociali.

La capacità di gestire una tematica di siffatta complessità postula un'Europa integrata con una consistente presenza mediterranea. È un ulteriore aspetto dell'importanza dell'Italia nell'Europa, sia per la sua stessa collocazione geofisica, strategica per la sicurezza, la stabilità, lo sviluppo del Mediterraneo, sia per le sue radici, quale elemento fondamentale della piattaforma dei valori costitutivi della civiltà e della democrazia occidentali.

A questi compiti, che vanno al di là dei nostri confini, ma sono vitali per il nostro stesso benessere, l'Italia può corrispondere solo se saprà continuare ad avanzare nel cammino di risanamento materiale e civile che ha intrapreso.