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Euro: the hour of strategic choices

31/03/1998

PARIGI

31 MARZO 1998

ASSOCIATION FOR THE MONETARY UNION OF EUROPE 10TH ANNUAL CONFERENCE

EURO: THE HOUR OF STRATEGIC CHOICES

1. La scelta dei Paesi partecipanti all'Unione monetaria sta chiudendo una fase concitata ed esaltante del grande progetto della moneta unica. La sta chiudendo nel modo migliore, con la proposta di una partecipazione ampia nel numero dei Paesi e virtuosa nella comunanza dei risultati raggiunti.

I rapporti della Commissione, dell'IME e di alcune banche centrali contengono un chiaro giudizio, che trova riscontro nei fatti. Mai in Europa vi è stato un simile grado di convergenza in termini di inflazione, di andamenti di finanza pubblica, di tassi di interesse.

Vi è ancora chi teme che i lusinghieri risultati ottenuti in termini di bassi deficit e di bassa inflazione siano il risultato di uno sforzo intenso sì, ma non duraturo. I nostri migliori giudici - i mercati - non condividono questi timori.

Il risanamento dell'economia italiana si iscrive in un percorso di rinnovamento civile che ha investito le istituzioni, le forze economiche, la società tutta. Per la parte economica ha avuto il punto di svolta nel 1992, allorché il Paese, superando momenti anche drammatici, scelse la strada del riequilibrio dell'economia, della disinflazione, di una revisione rigorosa della spesa pubblica.

La svolta a favore della coerenza fu resa possibile perché stava maturando in seno alla società un consenso civile che si riconosceva nell'integrazione europea e ravvisava in essa una coincidenza piena con l'interesse nazionale.

Negli anni successivi, alimentato dagli stessi risultati a mano a mano conseguiti, quel consenso si è andato consolidando nelle istituzioni, negli individui. Esso è la vera garanzia della prosecuzione nel futuro della scelta fatta.

Oggi gli equilibri fondamentali sono stati solidamente ristabiliti. Oggi le tre componenti della politica economica: politica di bilancio, politica dei redditi, politica monetaria operano, nel rispetto delle funzioni e della autonomia delle diverse istituzioni, in modo convergente, avendo come obbiettivo la stabilità, considerata condizione essenziale per una crescita duratura.

Le statistiche confermano che l'inflazione, male che per venti anni ha afflitto l'economia italiana, è stata vinta. Non si tratta di un risultato episodico, casuale; bensì l'effetto di un'azione su più fronti, in atto da anni. L'effetto di un mutamento sostanziale nel comportamento di tutti gli operatori: famiglie, imprese, organizzazioni sindacali, pubblica Amministrazione.

La Lira è rientrata nell'accordo di cambio dello SME nel novembre 1996. Vi è rientrata avendo dimostrato di aver potuto superare le turbolenze valutarie del marzo del 1995, di aver saputo mantenersi dalla primavera del 1996 entro la banda stretta senza difficoltà.

La bilancia di pagamenti correnti con l'estero ha registrato crescenti, cospicui avanzi, dall'1,1 per cento del PIL nel 1993 a oltre il 3 per cento nel 1996 e nel 1997. Gran parte dell'avanzo corrente della bilancia dei pagamenti italiana si riferisce a rapporti con paesi non appartenenti all'Unione europea.

Il calo dell'inflazione e la decisa azione di riequilibrio dei conti pubblici hanno prodotto sui mercati un progressivo ricupero del merito di credito della Repubblica italiana. Il collocamento alle aste di titoli di Stato è avvenuto a tassi di interesse decrescenti. Negli ultimi ventiquattro mesi il loro livello si è dimezzato. Si è ridotto, fin quasi ad annullarsi, a 25 punti base, cioè un quarto di punto percentuale, il differenziale dei tassi a carico dei titoli italiani a lungo termine.

L'anno 1997 si è concluso con un ridimensionamento del disavanzo dei conti pubblici di rilevante entità. Il fabbisogno dello Stato nel volgere di un anno questo si è più che dimezzato. La consistenza dello sforzo compiuto per il risanamento dei nostri conti pubblici è indicata dall'entità dell'avanzo primario, cioè dal saldo fra le entrate totali e le spese al netto degli interessi.

La capacità di mantenere nel più lungo periodo consistenti avanzi primari nei conti pubblici sarà favorita dall'attuazione delle riforme strutturali (la riforma del fisco, del bilancio dello Stato, della pubblica Amministrazione, della previdenza, del commercio, della corporate governance).

I conti pubblici registrano, oltre che il disavanzo annuo, il debito che i "disavanzi", cumulandosi, hanno generato. E' un grosso onere che pesa e continuerà a pesare su di noi, nei prossimi anni. Dal 1995 quel rapporto è in diminuzione: vi contribuiscono, insieme con il calo del disavanzo, i proventi delle privatizzazioni. L'obbiettivo intermedio di contenimento del debito pubblico, che ci proponiamo di raggiungere nel volgere di 6 anni, è di discendere sotto quota 100.

2 In Europa la netta ripresa dell'attività economica avviene in una situazione di distensione sui mercati monetari e finanziari. Segno, questo, che i mercati percepiscono una svolta strutturale in corso nella gestione dell'economia europea e nel comportamento degli operatori. Ciò fa sperare che si riduca o si annulli quel premio di rischio che per troppi anni, anche di bassa crescita, ha mantenuto i tassi reali elevati, al di sopra del tasso di potenziale crescita.

L'Unione monetaria pone inevitabilmente problemi di governo della moneta, sia come assetto istituzionale, sia come modi di gestione; pone ancor più problemi di governo dell'economia europea.

Non dobbiamo nasconderci le difficoltà proprie di un viaggio nella "terra incognita" di una politica monetaria a livello continentale, in un'area che ha alle spalle 40 anni di libertà interna di scambi di merci, ma che non ha ancora una politica macroeconomica comune.

La necessità di un dialogo tra politica monetaria e politica economica nell'euro è di palese evidenza.

Con la BCE avremo una vera istituzione sovranazionale, alla quale non corrisponde un organo di definizione sovranazionale della politica economica . Il Consiglio europeo di Lussemburgo a questo proposito ha previsto sia un rafforzamento dell'Ecofin, sia la possibilità che i Ministri delle finanze dei paesi euro si riuniscano informalmente.

Un importante progresso verso l'armonizzazione nella gestione del bilancio pubblico proverrà dal Patto di stabilità e di sviluppo. Esso altro non è che un grande impegno collettivo per ridare ai conti pubblici europei la capacità di agire da redistributore equilibrato del reddito e da regolatore del ciclo, di riacquisire, insieme con quella sociale, la funzione anticiclica del bilancio che era andata perduta a causa dei perduranti deficit strutturali.

E' erroneo pensare che il Patto di stabilità sia un vincolo all'espansione, sia un modo per costringere il bilancio alla restrizione permanente. Può sostenere questa opinione solo chi pensa che vi sia incompatibilità fra conti in ordine e crescita dell'economia. Come nel caso del paventato conflitto fra crescita e stabilità dei prezzi, dobbiamo anche qui ripetere che una finanza pubblica sana è, al contrario, condizione essenziale per la crescita. Una finanza pubblica sana lascia spazio di risorse agli investimenti produttivi, conforta la fiducia del settore privato, restringe gli spazi della contesa sociale attraverso l'equità del prelievo e della spesa.

Il patto di stabilità assicura una moneta forte non solo perché sollecita a rispettare gli equilibri interni, ma perché permette di creare nuova crescita e di rendere più feconde le forze della produzione.

Ampliamento delle funzioni dell'Ecofin, integrato dal Consiglio informale dei paesi euro, e applicazione intelligente del patto di stabilità e di crescita sono due momenti interconnessi per avviare concretamente una politica macroeconomica europea.

3 Il dopo Maastricht non termina qui. Le forze dei singoli paesi possono sviluppare sinergie, in un mercato veramente unificato e armonizzato; ciò consente di puntare a mete più importanti e ridare all'Europa quella connotazione politica che è l'eredità che ci è stata tramandata dai padri fondatori.

Fin dalla firma del Trattato di Maastricht gli studi della Commissione avevano individuato la spinta alla crescita che poteva derivare al nostro continente dall'adozione del Mercato unico e della moneta unica. Questa spinta va ben al di là del risparmio dei costi di transazione. Investe tutte le economie di scala che derivano dalla creazione di un vero mercato unico.

Occorre in primo luogo dare una concorde e concreta applicazione della definizione del ruolo dello Stato: non più imprenditore, ma emanatore di poche, semplici regole e controllore della loro corretta applicazione. [Il ruolo della deregolamentazione, che in parte è ri-regolamentazione].

Occorre poi procedere all'attuazione di una politica di istituzioni comuni o comunque armonizzate: integrazione del mercato europeo significa non solo la libera circolazione delle persone, dei beni, dei servizi, ma anche l'integrazione istituzionale. Cito la corporate governance, l'armonizzazione fiscale, il riconoscimento dei titoli di studio, dei titoli professionali.

La chiave dei miglioramenti nell'occupazione sta nel disinnesco di tutti quegli ostacoli microeconomici che impediscono il flusso delle risorse, di lavoro e di capitale, da chi le chiede a chi le offre. Ogni Paese può fare l'inventario dei propri ostacoli. E, in omaggio al principio di sussidiarietà, la rimozione degli ostacoli costituisce responsabilità prima dei singoli Governi.

Una sola moneta faciliterà il benchmarking dei comportamenti, di tutti i comportamenti, penalizzando quelli meno efficienti; la comparazione investirà l'intero sistema-Paese, compresi i settori meno esposti alla concorrenza internazionale, come la pubblica Amministrazione e i servizi.

Per i servizi finanziari e gli intermediari che li gestiscono, la comparazione avrà effetti molto importanti: le attività finanziarie sono infatti tra i beni che più facilmente si possono spostare, attraverso un semplice impulso elettronico.

L'Euro provocherà la nascita di una grande area finanziaria europea, di dimensioni rilevanti: è un'area che proprio per il combinarsi delle potenzialità di una moneta unica con quelle dell'elettronica potrà avere sviluppo rapido e ampio, con effetti importanti sulla vita delle imprese.

La competitività è la parola-chiave che può aprire le porte della crescita dell'economia europea.

All'interno dell'Unione europea si sta ripetendo quel processo di accresciute pressioni concorrenziali che all'esterno va sotto il nome di globalizzazione. Si tratta di una spinta plasmata dalla tecnologia e dalla libertà degli scambi. Due forze che dai tempi della rivoluzione industriale ad oggi hanno portato solo benessere.

Ma perché queste forze possano creare ricchezza, è necessario che i nostri Paesi sappiano favorire il travaso di risorse necessario. Joseph Schumpeter battezzava "distruzione creativa" questo processo. Un processo di redistribuzione che può implicare dislocazioni rilevanti nella struttura produttiva e nella sua localizzazione.

Una piena attuazione del mercato interno richiede quindi adeguate infrastrutture, informatiche e materiali, prerequisito per assicurare piena libertà di circolazione.

4 L'alto livello della disoccupazione in Europa è oggi al centro delle nostre preoccupazioni. L'introduzione dell'euro pone in un nuovo contesto la lotta alla disoccupazione.

Il risanamento dei conti pubblici è stato portato avanti non per un rigore fine a se stesso ma perché, come ho già detto, era precondizione per lo sviluppo. Chi vuole navigare deve prima assicurarsi che la barca sia adatta ad affrontare il mare aperto. Ora è giunto il momento di sfidare la disoccupazione a viso aperto.

Negli ultimi mesi la disoccupazione ha cominciato a diminuire nell'Unione europea. Il tasso di disoccupazione medio della Comunità, dopo aver raggiunto un massimo del 10,8 per cento a metà dell'anno scorso, è oggi diminuito di quasi mezzo punto. La situazione è migliorata e andrà ancora migliorando, dato che la crescita si conferma robusta, per quest'anno e per il prossimo. Ma quella che sta diminuendo è la componente ciclica della disoccupazione.

Il male oscuro dell'Europa è nella disoccupazione strutturale. Negli ultimi quindici anni, a ogni punto di svolta del ciclo l'economia europea si è ritrovata con un peso più alto dei senza-lavoro. Nel 1982, con un divario fra reddito effettivo e potenziale dell'1,5 per cento, il tasso di disoccupazione nei Paesi dell'Unione europea era dell'8,5 per cento; quindici anni dopo, nel 1997, con un analogo margine di risorse inutilizzate, e quindi con una situazione ciclica comparabile, il tasso di disoccupazione era aumentato di due punti.

L'analisi dei fattori di disoccupazione, nella nuova divisione internazionale del lavoro dovuta alla globalizzazione, è stata più volte ripetuta. Le terapie sono note: bisogna creare un ambiente favorevole all'innovazione, all'imprenditorialità.

L'introduzione della moneta unica, al di là del suo significato economico, politico, culturale, deve contribuire a ridare competitività all'Europa. L'introduzione dell'euro dovrà essere affiancata da un salto nella curva dell'efficienza del sistema Europa, affrancando le nostre economie da quei comportamenti che sono di ostacolo alla competitività.

La disoccupazione nasce dal mancato incontro, sia territoriale sia qualitativo, fra domanda e offerta di lavoro. E le misure sull'offerta devono essere accompagnate da provvedimenti atti a stimolare la domanda di lavoro.

Occorre evitare due errori. Il primo è quello di pensare che la spesa pubblica possa essere strumento di sostegno diretto dell'occupazione. L'occupazione vera e durevole la creano le imprese. Lo Stato ha il dovere di creare le condizioni di cornice necessarie affinché le imprese prosperino in un regime di concorrenza sana e di fiscalità non punitiva; e affinché nel circuito economico e finanziario si realizzi l'incontro fra risparmio e investimento. La spesa pubblica può dare un contributo diretto all'occupazione attraverso la creazione delle infrastrutture di cui il Paese ha bisogno, realizzate in condizioni di economicità e nel rispetto degli equilibri complessivi del bilancio.

Il secondo errore è quello di pensare che la quantità di lavoro presente nel sistema economico sia una quantità fissa, talché suddividendola fra un maggior numero di persone si possa innalzare il numero degli occupati. Questa illusione, che gli economisti chiamano la fallacia del lump of labour ("grumo di lavoro"), può portare ad effetti opposti, attraverso l'innalzamento dei costi aziendali. La riduzione dell'orario di lavoro può avere efficacia in una strategia di lotta alla disoccupazione, a patto che venga applicata con modalità specifiche, da definire caso per caso, attraverso la concertazione fra le parti sociali.

Questa è l'impostazione che Francia e Italia, sia pure con le diversità dovute alle differenti realtà dei due paesi, stanno dando alle iniziative prese per la riduzione dell'orario legale di lavoro.

Il problema della disoccupazione assume un rilievo particolare in Italia, sotto il profilo del divario territoriale. La via che il Governo italiano ha individuato non è quella di creare posti di lavoro per decreto, up-down, ma una via bottom-up: puntare alla diffusione del modello dei distretti industriali, basati sulle piccole e medie imprese.

La lotta alla disoccupazione implica uno sforzo rilevante sul piano della formazione; l'incessante processo di innovazione, nei prodotti e nei modi di produrre, rende rapidamente obsolete le conoscenze. Occorre impostare una politica di formazione continua, che duri l'intero arco della vita lavorativa. La migliore garanzia per il lavoratore di poter trovare un posto di lavoro sta nel suo bagaglio aggiornato di conoscenze.

Siamo alla ricerca di un nuovo modello europeo di sviluppo, di un futuro che sappiamo di dover delineare insieme, che sappia conciliare crescita e solidarietà.

Il compito primo della politica economica nel post-euro è di come raccogliere i frutti della crescita e allo stesso tempo proteggere i meno fortunati. L'Europa ha una orgogliosa tradizione di protezione sociale alla quale non intende rinunciare. Coloro che sono spiazzati nel mutamento delle combinazioni produttive hanno diritto alla solidarietà di tutti. La rete di sicurezza sociale deve tendersi per aiutare coloro che sono temporaneamente ai margini della nuova allocazione di risorse. Ci aiuta la serena convinzione che la sfida che stiamo affrontando è un gioco a somma positiva. Non si tratta di spostare posti da un settore all'altro, ma di ridestare le energie del nuovo, di risvegliare una imprenditorialità di cui non abbiamo perso lo stampo, di assistere a una creazione diffusa di posti di lavoro.

Non dobbiamo guardare alla spesa sociale in modo puramente difensivo e contabile. La ricerca di una cosiddetta "terza via" - un assetto mediato fra la deregolamentazione e la flessibilità del modello americano da una parte, e le rigidità e i garantismi del modello europeo dall'altra - passa per una impostazione della spesa sociale che la renda parte di una politica attiva del lavoro. Penso alle spese assistenziali, per le quali bisogna creare un rapporto più diretto e premiante con forme di lavoro.

5 Per la politica economica europea comincia insomma una nuova fase. Una fase in cui dovremo pensare Europa, operare Europa, "sognare" Europa, cioè avere idee nuove, soluzioni nuove per l'Europa.

Quanti paventano l'avvento della moneta unica perché giudicano che i Paesi dell'Unione monetaria non costituiscono un'area monetaria ottimale cadono nella miopia della statica comparata.

La moneta unica avrà un impatto sul modo di sentirsi europei; non sfugge ad alcuno che cosa significa avere la stessa moneta nel borsellino: la moneta è un simbolo che trascende l'economia.

La moneta unica è un processo dinamico, in cui i progressi in un campo spingono ad aprire le porte chiuse in altri campi, che suscita la capacità di innovare, di creare lavoro e ricchezza, di far sì che il nostro continente torni ad essere punto di riferimento, luogo di elezione.

La moneta unica avrà quindi un grande impatto politico, imponendo un'accelerazione dell'integrazione in campi che vanno al di là di quello economico-monetario; dischiuderà prospettive di cui al momento possiamo solamente intravvedere la direzione, senza poterne immaginare pienamente la portata.

Nuova è la coscienza delle opportunità che la moneta unica schiude per una diversa stagione di crescita; nuova è la costellazione di condizioni favorevoli che dall'assetto istituzionale della moneta unica possono sprigionarsi per porre l'economia europea su un più alto sentiero di sviluppo.

La moneta europea quindi come catalizzatore di un'integrazione più intensa nel campo politico: questo è il compito che le persone della mia generazione si sono sentite chiamate ad avviare, che tramandano alle nuove generazioni.

Abbiamo nella moneta unica l'avvio, l'inizio di una vicenda straordinaria: l'unione ci consentirà di affrontare i problemi del nuovo millennio, affermando il modello di civiltà europeo. Già nel 1954 Luigi Einaudi scriveva: "L'Europa può sopravvivere solo con l'unificazione. Esisterà ancora un territorio italiano; non più una nazione, destinata a vivere come unità spirituale o morale solo a patto di rinunciare ad una assurda indipendenza militare ed economica". Sono questi i vincoli, i limiti di cui l'Europa si sta finalmente liberando.