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Discorso all'assemblea annuale degli associati ABI

24/06/1998

24 GIUGNO 1998

PALAZZO DEI CONGRESSI - EUR

ASSEMBLEA ANNUALE DEGLI ASSOCIATI DELL'ABI

"L'Italia vuol far parte, sa di poter far parte, dell'euro fin dal suo avvio. Questa non è più una speranza, un proposito fondato sull'ottimismo della volontà. E' una determinazione che oggi, a metà del 1997, si basa su elementi di fatto".

Queste le mie parole, in questa sede, un anno fa. Oggi l'obbiettivo non è "restare in Europa", ma "contare in Europa": l'Italia, con la sua identità nazionale, con la sua forza economica, sarà fondamentale nel realizzare il disegno europeo, tracciato quarant'anni fa nel Trattato di Roma.

I risultati sono stati migliori degli obbiettivi che ci eravamo prefissati: l'inflazione è scesa stabilmente sotto il 2 per cento. La cultura della stabilità si è radicata; i comportamenti si sono modificati in profondità. I primi dati di questo mese di giugno indicano un'inflazione all'1,8 per cento. Persino fatti, quali la rimodulazione dell'IVA introdotta negli ultimi mesi del 1997, non hanno avuto ripercussioni significative sulla dinamica dei prezzi.

La consistenza dei progressi ha trovato ricompensa nella fiducia dei mercati: i tassi di interesse a lungo termine sono oggi pressoché allineati con quelli tedeschi.

Il circolo virtuoso continua, con la riduzione del disavanzo e del debito in rapporto al reddito nazionale.

Occorre perseverare: l'indebitamento è previsto scendere al 2,6 per cento in rapporto al PIL nel 1998 e raggiungere l'1 per cento nel 2001. Il saldo primario dovrà essere mantenuto al 5,5 per cento del PIL nel prossimo triennio ad assicurazione della sostenibilità dei risultati raggiunti.

La ripresa della domanda interna e l'accelerazione dell'attività economica negli altri Paesi d'Europa accompagneranno la crescita in Italia, che la Commissione europea stima in progressivo aumento, fino al 3 per cento nel 1999.

Investimenti privati e pubblici in aumento, riforma del mercato del lavoro sosterranno il rilancio dell'occupazione, che già nel '97 è aumentata di 115.000 unità. Certo, occorre incentivare la flessibilità del mercato attraverso l'uso di forme contrattuali non tradizionali, intensificare la formazione, favorire la partecipazione alla forza lavoro di categorie "marginali", offrire ai lavoratori informazioni adeguate sulle opportunità di impiego, stimolare la regolarizzazione del lavoro sommerso.

Questi obiettivi, in parte, sono stati già raggiunti in via normativa nel corso del 1997: attraverso l'introduzione dell'istituto del lavoro interinale, l'incentivazione dei contratti di lavoro a tempo determinato, il rafforzamento dei contratti di formazione e lavoro nel Mezzogiorno, l'allargamento dell'apprendistato, la riforma dei lavori socialmente utili e dei tirocini formativi e la fine del monopolio pubblico del collocamento. In via di definizione sono gli schemi di decreto per il riordino della formazione professionale.

Le leggi ci sono: ora occorre fare.

2. I mercati finanziari hanno acquistato in questi anni dimensioni globali e modalità operative tendenzialmente omogenee. Forze di fondo guidano questo processo su scala planetaria. La diffusa deregolamentazione e liberalizzazione dei flussi internazionali dei capitali, l'evoluzione tecnologica che ha rivoluzionato i processi di acquisizione e di elaborazione dell'informazione; la continua ricerca di maggiori concentrazioni aziendali accompagnano la progressiva disintermediazione della funzione bancaria tradizionale, dai risparmi ai depositi ai crediti. Le segmentazioni dei mercati spariscono; le forze competitive che li muovono sono dovunque le stesse; l'informazione è sempre più un bene di comune proprietà; i prodotti sono omogenei.

In questo nuovo ambiente concorrenziale, la velocità con cui si sviluppano gli eventi accresce la dimensione dei fenomeni, esaltandone i benefici, ma, al tempo stesso rafforzando la severità delle sanzioni, quando l'ambiente finanziario nazionale non è pronto a prevenire e a reagire.

Le crisi asiatiche sono il frutto congiunto di squilibri macroeconomici e di profonde carenze strutturali dei sistemi bancari di quei paesi. Certamente molte delle cause sono connaturate alla caratteristica di mercati emergenti che questi paesi condividono: l'ebbrezza di una rapida crescita da una povertà secolare, accompagnata dalla moltiplicazione delle strutture finanziarie, hanno fatto trascurare la necessità di solide fondamenta. Pure, è possibile trarre una lezione più generale: non v'è dubbio che l'insorgere e l'espandersi della crisi siano dovuti alla riluttanza dei governi locali a intervenire con energia e rapidità per cambiare alcune delle caratteristiche che avevano accompagnato il loro sviluppo - si pensi ai conglomerati finanziario-industriali in Corea, o alle peculiarità del sistema bancario giapponese - ma che si sono scontrate con la nuova realtà dei mercati globali.

3. L'introduzione dell'euro avviene in un periodo di profondo cambiamento a livello mondiale per l'industria dei servizi finanziari. L'anno che è trascorso ha visto una crescita senza precedenti nella capitalizzazione di mercato delle prime cinquanta banche, che è aumentata del 95 per cento in America e dell'84 per cento in Europa. Maggiori profitti, la tendenza generale dei mercati azionari, l'intensa attività di concentrazione sono i fattori principali di tali sviluppi. Il volume delle operazioni di concentrazione nel corso dell'ultimo anno è stimato pari a 392 miliardi di dollari negli USA e a 127 miliardi in Europa.

Il processo non tocca tutti i partecipanti al mercato nella stessa misura: le prime sei operazioni di concentrazione, classificate per dimensione della loro capitalizzazione di mercato, non riguardano banche appartenenti all'area dell'euro. Ugualmente fra i primi sette gruppi mondiali non figurano istituti dell'UEM. La quota di mercato (dei depositi) delle prime cinque banche è pari al 21 per cento negli USA, ma solo all'8 per cento nell'area dell'euro che ha una dimensione paragonabile a quella del mercato USA: la necessità di ulteriori concentrazioni per le banche dell'Europa continentale è evidente.

Le banche appartenenti all'euro, oltre alle minori dimensioni, hanno caratteristiche strutturali meno appropriate al mercato globale: la loro attività è ancora fondata in maniera predominante sulla relazione con il cliente della zona di operazione, con un'alta densità delle filiali sul territorio nazionale, con scarsa attività intraeuropea e con una componente reddituale prevalentemente basata sul margine di interesse.

Nel breve termine l'introduzione dell'euro, se non accompagnata da recuperi di efficienza, sarà per il sistema bancario europeo ragione di minori redditi: diminuiranno i proventi dalle operazioni in cambi, dalla gestione delle operazioni transfrontaliere di vario tipo; sarà anche ragione di maggiori costi, principalmente per la necessità di adeguare il personale e i sistemi informatici alla nuova realtà.

Si aggiunga che nell'Europa continentale le banche sono generalmente in condizione di inferiorità rispetto ai concorrenti anche per cause esterne: un sistema di fiscalità diretta e indiretta che ne limita la redditività, un mercato del lavoro caratterizzato da alti costi e rigidità, un ambiente istituzionale che spesso sacrifica la competitività del sistema bancario.

Ho finora parlato di banche della zona dell'euro perché la sua introduzione porta naturalmente all'adozione di schemi di riferimento più ampi di quelli nazionali e perché il percorso delineato, con le sue difficoltà e i suoi benefici, non è tipico solo delle banche italiane. Certo è che in questo contesto europeo le prospettive del sistema bancario italiano appaiono particolarmente complesse.

Il mercato dei servizi creditizi e finanziari in Europa è destinato a cambiare profondamente nel volgere di pochi anni. Continueranno a esistere centinaia di piccole aziende su base regionale, emergeranno forse meno di una decina di grandi banche commerciali, all'ingrosso, con una significativa presenza di attività di banca di investimento. Le prime vivranno in posizione permanentemente difensiva: la sopravvivenza costituirà per loro la sfida continua; le seconde competeranno sul mercato mondiale.

Questa è la scelta che oggi ha di fronte il sistema bancario italiano. Il panorama delle reazioni non è uniforme: alcune banche pubbliche, incapaci del distacco dal campanile, stanno scegliendo la dimensione regionale; in altre si osservano slanci verso destini più ambiziosi.

Siamo consapevoli che occorre mettere le nostre aziende di credito in condizione di effettuare le loro scelte in assetti istituzionali analoghi a quelli degli altri concorrenti europei. Sta al Governo apportare modifiche alla fiscalità diretta, e favorire cambiamenti dell'ambiente giuridico-istituzionale tesi a rimuovere gli ostacoli all'agevole svolgimento dell'attività bancaria. Sta all'Autorità monetaria equiparare sia il peso della fiscalità indiretta, applicata attraverso lo strumento della riserva obbligatoria, sia il costo a cui le aziende di credito italiane si rifinanziano, ai livelli praticati dai maggiori concorrenti europei. Sta alle Autorità che valutano il grado di concorrenza del sistema economico italiano adottare, per il settore bancario, e per gli altri settori, un metro di riferimento europeo e non nazionale. Ma sappiamo tutti che il cambiamento è nelle mani delle banche stesse e dei loro proprietari: sta a loro abbandonare l'ottica del cortile e della corporazione nel progettare le nuove dimensioni, nell'effettuare gli inevitabili recuperi di efficienza, nel rivoluzionare i sistemi informativi, nel disegnare nuovi prodotti, insomma nel divenire banche europee. Sta all'ABI, ai sindacati, alle singole aziende, attuare rigorosamente l'accordo sul costo del lavoro del 28 di febbraio di quest'anno, ma essere altresì preparate a una sua pronta revisione, qualora le condizioni dell'industria a livello europeo ne dimostrassero l'insufficienza.

Nel passato una struttura salariale molto rigida, totalmente svincolata dalla redditività dell'azienda, ha favorito una lievitazione degli oneri relativi alle retribuzioni, giunte ad incidere per il 43 per cento sul margine di intermediazione.

La Legge finanziaria per il 1998 e l'accordo di febbraio tra le parti sociali hanno fornito alle banche utili strumenti per la gestione e la riqualificazione del personale in eccesso. La scelta effettuata finora è stata quella della riduzione del personale mediante incentivi all'uscita. Tale strada consente di intervenire rapidamente sulla forza lavoro dell'azienda, valorizzando le risorse più idonee a confrontarsi con le moderne esigenze del mercato finanziario, ma non è priva di conseguenze sui conti economici delle aziende. Soltanto nel 1997, come richiama la relazione della Banca d'Italia, le banche hanno registrato oneri per 540 miliardi imputabili a riduzioni di personale.

4. Le Autorità di Governo e di Vigilanza hanno da tempo avviato e realizzato un'azione di revisione del quadro regolamentare del settore finanziario incentrata su un'ampia delegificazione, su una maggiore autonomia degli operatori, sulla concorrenza normativa fra ordinamenti.

Ai due provvedimenti fondamentali per il processo di riordino del sistema bancario negli anni '90, la legge 218 del 1990 e il Testo Unico bancario del 1993, si è aggiunto nel 1998 il Testo Unico dei mercati finanziari. Il provvedimento, nel delegificare l'attività di gestione collettiva del risparmio e nel fissare nuove regole per le società che ricorrono alla borsa valori, ha posto le condizioni per sviluppare in maniera efficiente il risparmio gestito e per assecondare il rilancio del mercato azionario, per ottimizzare il fluire delle risorse indirizzate al sistema produttivo.

La nuova disciplina risponde al bisogno di tutela del risparmio: in passato, fondata sull'impianto pubblicistico della Legge bancaria del 1936 e, più discutibilmente, sulla proprietà pubblica di banche e imprese; ora attuata attraverso il mercato. Concorrenzialità dell'ordinamento, organicità e flessibilità della normativa (anche attraverso il rinvio all'autodisciplina degli operatori), visione unitaria tra regole di mercato e di governo societario, bilanciamento tra tutela delle minoranze e stabilità delle imprese, rafforzamento degli strumenti di tutela degli investitori sono i cardini del Testo Unico.

In tema di intermediari la disciplina della gestione collettiva del risparmio è stata oggetto di un'ampia delegificazione: alla normativa secondaria competono ora la definizione delle caratteristiche e dei limiti operativi dei fondi d'investimento collettivo, siano essi di natura aperta o chiusa, nonché l'individuazione dei beni nei quali può essere investito il risparmio raccolto.

La riforma del diritto delle società quotate contempera l'interesse di chi partecipa al capitale dell'impresa in veste di azionista di minoranza e quello di coloro che hanno le responsabilità della gestione, dalle cui scelte dipende, in ultima analisi, l'attesa di profitto della minoranza stessa.

Si è disegnato un sistema di pesi e contrappesi: tutti i soggetti che operano e interagiscono nell'ambito dell'impresa hanno la possibilità di vedere efficacemente tutelati i propri interessi; al contempo è facilitata l'efficiente allocazione del controllo.

Il Testo Unico introduce nella nostra legislazione un approccio sistematico teso a valorizzare le sinergie tra regole di diritto societario e quelle di mercato, esaltando la funzione d'incentivo che l'ordinamento può svolgere nella massimizzazione dell'afflusso delle risorse al sistema produttivo.

Con l'introduzione dell'euro aumenteranno la mobilità dei capitali e la confrontabilità dei rendimenti. La capacità delle imprese di raccogliere fondi, dipenderà quindi in misura maggiore rispetto al passato dalla "qualità" dei prodotti scambiati, ovvero dalle regole cui sono assoggettati tali prodotti, rappresentativi di diritti non solo patrimoniali ma anche amministrativi.

La "qualità" dei prodotti risulterà sempre più determinante nelle scelte di portafoglio degli investitori che preferiranno indirizzarsi verso quegli strumenti finanziari che incorporino regole di diritto societario tali da renderli maggiormente appetibili.

In sintesi, il Testo Unico della finanza rivaluta e sviluppa il ruolo del sistema dei mercati nell'allocazione del risparmio e spinge le imprese a sottoporsi allo scrutinio del mercato.

Esso non rappresenta però un punto d'arrivo definitivo.

L'asimmetria normativa venutasi a creare tra società quotate (disciplinate dal testo unico) e società che fanno appello al pubblico risparmio con titoli non quotati (che restano per lo più disciplinate dal codice civile) va eliminata, anzi invertita.

E' infatti l'assenza di uno scrutinio esterno dei meccanismi di mercato che di per sé giustifica la presenza di garanzie e controlli più rigorosi nei confronti di coloro che vi si sottraggono, pur raccogliendo risorse tra il pubblico.

In quest'ottica il Ministero di Grazia e Giustizia ha promosso l'istituzione di una Commissione di studio, della quale farà parte anche il Tesoro, per valutare la possibilità di introdurre modifiche alla disciplina delle società di capitali, ispirate ai principi introdotti dal Testo Unico

In prospettiva, vi è da chiedersi se la sempre più stretta integrazione tra i tre comparti della finanza (attività di credito, d'investimento ed assicurativa), sotto il profilo sia dei soggetti e dei prodotti sia delle strategie d'impresa, non renda necessario riassumere in un testo unico tutta la disciplina della intermediazione creditizia, finanziaria ed assicurativa.

L'ulteriore sforzo di codificazione potrebbe non limitarsi a finalità meramente compilative.

Il Testo Unico dei mercati finanziari, prevedendo anche i crediti nel novero dei beni suscettibili di investimento, permette di introdurre forme di cartolarizzazione che faciliteranno notevolmente la gestione degli attivi. Questa è tra le innovazioni di prodotto quella che maggiormente ha contribuito alla crescita dei sistemi finanziari esteri e all'aumento dello spessore del mercato degli strumenti negoziabili.

L'Italia, pur disponendo di una grande potenzialità, non ha ancora sviluppato questa forma di investimento: le poche operazioni svolte sono state ubicate su piazze estere, per vincoli di ordine civilistico e fiscale.

Per mettere in moto anche questo segmento di mercato è stata disegnata una normativa che consentirà la titolarizzazione di qualsiasi tipo di credito pecuniario. Le norme prevedono la definizione e la trasparenza del programma dell'operazione, procedure snelle per il trasferimento dei prestiti, delle garanzie e dei privilegi che li assistono, regole fiscali chiare.

Miglioramenti della rischiosità dell'attivo potranno essere realizzati dalla revisione delle regole in materia di atti esecutivi.

Il Governo si è impegnato affinché il Parlamento possa portare rapidamente a termine l'iter legislativo del disegno di legge recante "norme in tema di espropriazione forzata immobiliare e di atti affidabili ai notai" presentato dal Ministro di Grazia e Giustizia.

Il provvedimento mira a risolvere i casi di aggravio di costo per le banche derivanti dalla eccessiva durata delle procedure esecutive, ad accorciare i tempi dell'escussione delle garanzie.

5. L'ampliamento dei servizi bancari deve trovare un valido supporto nel rafforzamento dell'attività della Borsa e - come auspico da tempo - nella creazione, a partire dal 1999, di un mercato azionario autonomo per le medie e piccole imprese. La Borsa Italiana spa sta già operando in questa direzione.

L'aumento del numero delle società quotate, l'accrescimento della capitalizzazione e dei volumi trattati, obiettivi che ci si augura possano essere raggiunti con le nuove regole societarie, fiscali e dei mercati, devono essere occasioni per un rafforzamento del rapporto tra settore imprenditoriale e settore bancario.

Accompagnare le imprese nella crescita, disegnarne la corretta struttura finanziaria, individuare le modalità di indebitamento più convenienti, sono tutti compiti che il sistema bancario deve svolgere con efficienza nel suo stesso interesse. Il finanziamento diretto delle imprese sul mercato non va visto in concorrenza con l'interesse delle banche, quando queste ultime completino e integrino l'attività tradizionale con una serie di servizi innovativi a forte contenuto reddituale.

Il sistema produttivo italiano è caratterizzato da una struttura per distretti industriali, con specifiche vocazioni di prodotto nei quali, accanto a imprese di dimensioni medio-grandi, prosperano una miriade di imprese di più ridotta dimensione.

La struttura finanziaria delle imprese, specie medio-piccole, dipende eccessivamente dal credito bancario, soprattutto a breve termine, con conseguente sottocapitalizzazione; ciò provoca nelle imprese stesse fragilità e instabilità, che si riflettono, nei periodi di recessione, sui bilanci bancari in termini di aumento delle sofferenze.

Sebbene il rapporto tra la capitalizzazione delle società nazionali quotate nei mercati azionari principali e secondari e il PIL sia aumentato dal 13,4 per cento del 1991 al 31,7 a fine 1997, raggiungendo alla fine di aprile scorso il 40 per cento circa, esso risulta ancora inferiore alla media europea. Nel 1991, le società quotate sul mercato azionario principale italiano erano 231, nel 1997 213. Nello stesso periodo, il numero di imprese quotate è aumentato al New York Stock Exchange del 39 per cento, alla borsa di Londra del 14, a Parigi del 18 e a Tokyo del 6 per cento.

Il Governo sta da tempo adoperandosi per stimolare sia la domanda sia l'offerta di capitale di rischio. Si inscrivono in tale indirizzo l'introduzione dell'Irap, della Dual Income Tax (DIT) e della c.d. Super DIT.

Il quadro della disciplina delle società di capitale verrà arricchito da ulteriori proposte legislative, attualmente in corso di studio presso il Ministero di Grazia e Giustizia, al fine di ridurre il divario normativo tra società quotate e non quotate, che è di per sé di remora alla quotazione delle società di minore dimensione.

Rientra in questo indirizzo la recente iniziativa per l'istituzione di un Comitato per lo sviluppo a Milano della piazza finanziaria nazionale, con funzioni di coordinamento e di impulso nel rispetto delle competenze spettanti alle Autorità di settore ed alle istituzioni, enti e società operanti sul mercato.

La CONSOB, in un recente studio, ha stimato in circa 500 le imprese che presentano le caratteristiche per la quotazione, con un potenziale di crescita in termini di capitalizzazione in borsa di circa 150.000 miliardi di lire.

La Borsa Italiana S.p.A. - partendo dal convincimento che le PMI italiane possono essere distinte in due grandi gruppi, tradizionali e innovative con alto potenziale di crescita - ha espresso l'intenzione di creare un apposito segmento dell'attuale listino di Borsa per le prime; un nuovo mercato regolamentato per le seconde.

Il segmento delle PMI tradizionali si caratterizzerebbe essenzialmente per le modalità di negoziazione, con la presenza per ciascun titolo di un intermediario che, su incentivo dalla stessa Borsa, dovrebbe stimolare l'interesse degli investitori sul titolo attraverso analisi e studi e dovrebbe intervenire nelle negoziazioni, garantendo per questa via spessore e liquidità all'intero segmento di mercato.

Il nuovo mercato regolamentato per le PMI innovative a elevato potenziale di crescita si propone di adottare, forse già dal prossimo anno, i requisiti di ammissione e le modalità di negoziazione proprie del circuito paneuropeo EURO. NM., requisiti che risultano meno vincolanti di quelli necessari per l'accesso al listino di Borsa.

La trasformazione delle banche pubbliche ha costituito un punto di svolta decisivo nella complessiva riforma dell'ordinamento bancario. Il disegno di legge sulle fondazioni bancarie, prevedendo incentivi per le operazioni di ristrutturazione, di concentrazione e di diversificazione degli assetti proprietari, si propone tra l'altro l'obiettivo di accompagnare, senza dirigismi, l'evoluzione del sistema. Il Governo non ha ritenuto di prospettare una dismissione coattiva.

In tutto il corso dell'ormai lungo iter parlamentare il Governo si è adoperato per pervenire quanto prima all'approvazione del provvedimento che è - tra l'altro - parte centrale di una più vasta azione per una complessiva disciplina del settore non-profit.

L'obiettivo è di giungere a una legge che sia rispettosa dell'autonomia delle fondazioni e costituisca efficace strumento per un migliore sviluppo di queste importanti istituzioni.

Le fondazioni ben potranno mantenere nella nuova cornice legislativa quel peculiare rapporto con il territorio che le caratterizza sin dalla loro origine. L'individuazione legislativamente compiuta degli scopi istituzionali non costituisce certo un ostacolo. Le fondazioni, nell'esercizio della propria autonomia statutaria, valuteranno in concreto le modalità del legame territoriale.

Il controllo che su questo come su altri aspetti dell'attività delle fondazioni svolgerà l'Autorità di vigilanza non si tradurrà nell'imposizione di specifici parametri di merito, ma avrà come confine e finalità la legittimità dell'operare autonomo delle fondazioni. Come il Governo ha più volte ribadito, le preoccupazioni a tal proposito palesate sono eccessive, come non è giustificata la posizione di coloro che ritengono che l'acquisizione della natura giuridica privata postuli il venir meno dell'esigenza di un'autorità tutoria.

Anche in questo il confronto internazionale consente di trarre utili indicazioni. Emerge in particolare come la necessità di un regime di controlli pubblico sia universalmente avvertita e prescinda dalla natura (pubblica o privata) dei soggetti vigilati. Basti ricordare le esperienze istituzionali della Charity Commission in Gran Bretagna, della Cour des Comptes in Francia, dell'OMB negli Stati Uniti.

Grande è l'attesa del mondo bancario e più in generale di ampi settori dell'opinione pubblica per gli esiti del disegno di legge. Dalla dismissione delle partecipazioni detenute dalle fondazioni si attende un forte contributo per il rilancio e la riorganizzazione complessiva del sistema.

6. Ristrutturazione e rinnovamento del sistema creditizio e finanziario sono una delle condizioni per stare in Europa, per contare in Europa.

Con la decisione del 2 maggio 1998 del Consiglio europeo è stato compiuto un passo istituzionale di grande portata. Non è retorica definirlo un evento storico, come ha detto il Presidente del Consiglio europeo a chiusura di quella riunione: 11 paesi dell'Europa con una moneta comune, l'euro; con un'unica banca centrale, il Sistema europeo di banche centrali.

Sarà il complesso dei Paesi partecipanti all'euro che fonderà i propri interessi, le proprie volontà nel sistema europeo di banche centrali, per una politica monetaria veramente a tutti comune, rispondente alle condizioni, agli interessi di tutti i Paesi partecipanti.

L'Italia è presente, in modo appropriato, a Francoforte, nel Comitato esecutivo, nella struttura della Banca centrale europea.

I Paesi partecipanti all'euro sono altresì consapevoli della necessità di esprimere una politica economica comune. Segni del cambiamento di impostazione sono già emersi nella prima riunione del gruppo informale Euro-11.

L'Italia è entrata a far parte dell'euro, avendo convinto gli altri Paesi partecipanti sia della validità dei risultati economici conseguiti sia dell'impegno a consolidarli.

Stabilità dei prezzi, solidità dei rapporti economici con l'estero, risanamento dei conti pubblici: i progressi fatti sono una realtà sotto gli occhi di tutti. Le stesse diversità nel valutare la condizione dei conti pubblici si traducono in differenze marginali, di decimi di punto, nelle previsioni del rapporto disavanzo/PIL nei prossimi anni.

Certo due anni fa quando in questa sede manifestai l'intendimento del Governo italiano di mirare alla partecipazione all'euro fin dall'inizio, ed ancora lo scorso anno quando reiterai quell'intendimento con forza, confortato dalle più favorevoli tendenze in atto, non era facile credere che ciò sarebbe potuto accadere. Per il rapporto disavanzo pubblico/PIL, il divario fra i risultati del 1996 e l'obbiettivo per il 1997 si misurava in termini di quattro punti percentuali.

La soddisfazione per quanto il Paese ha saputo fare non deve indurci a sottovalutare i problemi che abbiamo di fronte. Al contrario essa deve rafforzare la determinazione a operare, deve confermare dentro di noi la fiducia che è possibile vincere le nuove sfide. Esse si chiamano essenzialmente: occupazione e Mezzogiorno. Non sono obbiettivi alternativi a stare in Europa; sono un tutt'uno.

Non è tempo di proclami; ma, come è stato per la nostra partecipazione all'euro, di fatti, di azioni concrete.

Siamo riusciti negli ultimi due anni ad attivare il "circolo virtuoso" fra risanamento dell'economia, tassi di interesse, abbattimento del disavanzo pubblico, riconquistando così la credibilità sui mercati. Dobbiamo ora operare affinché quel circolo virtuoso si consolidi e si estenda in modo più pieno alla crescita e all'occupazione, soprattutto con il generare maggiore fiducia negli operatori dell'intero Paese, del Mezzogiorno in particolare.