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Audizione alla V Commissione Bilancio Tesoro e Programmazione - Camera dei Deputati

11/09/1996

Roma - Camera dei Deputati
11 settembre 1996
V Commissione

Audizione del ministro Ciampi

Introduzione

Ritengo superfluo esordire riaffermando l’importanza che il Governo dà alla realtà economica e sociale delle aree depresse, e il conseguente impegno ad affrontarla.

Sta d’altra parte agli studiosi di storia dell’economia la valutazione di quanto è stato fatto, o insufficientemente fatto, nei decenni passati. Noi, responsabili attuali dell’esecutivo, dobbiamo confrontarci con una dura realtà: la disoccupazione ha raggiunto nel Mezzogiorno e in alcune aree del Centro-Nord livelli drammatici; la disoccupazione del Paese, in specie dei giovani, è di fatto concentrata nel Mezzogiorno.

L’urgenza di questa realtà impone scelte, fatti, iniziative propulsivi di crescita, di sviluppo imprenditoriale, di qualificazione delle risorse umane, di diffusione tecnologica e non un mero sostegno transitorio.

In questo mio intervento riferirò su aspetti quantitativi e operativi delle azioni già intraprese dal Governo e dal mio Ministero, e soprattutto sulle ulteriori azioni da intraprendere, concentrandomi sull’utilizzo dei fondi strutturali comunitari e sulla recente delibera del CIPE che ha stanziato 10.000 miliardi per interventi da realizzare in tempi brevi.

La situazione attuale del Mezzogiorno

Nonostante la mancanza di dati statistici ufficiali ISTAT dopo il 1993 sulla composizione del prodotto e della domanda aggregata, sui consumi e sugli investimenti, a livello regionale, le informazioni più recenti sull’andamento dell’occupazione, dell’intervento pubblico e del commercio estero attestano l’ulteriore allargamento del divario Nord - Sud.

L’ultima fase di espansione economica, dal quarto trimestre 1993 al quarto del 1995, ha ignorato le aree del Sud; il modello di crescita del Paese tende a penalizzare le aree meno competitive e meno inserite nel mercato internazionale.

Nel contempo, si è affievolito il flusso di sostegno degli investimenti pubblici. Nel complesso, si è divaricata la crescita degli investimenti fissi lordi reali, che nel Mezzogiorno sono aumentati nel 1995 del 2,7 per cento, contro il 7,4 nel Centro-Nord.

Qualche segnale incoraggiante si palesa in alcune aree e settori del Mezzogiorno, segnatamente l’estensione nel versante orientale del "modello adriatico", ossia la crescita di imprese di piccole e medie dimensioni, non tributarie dell’indotto della grande industria e la loro tendenza ad aggregarsi in distretti industriali. È un segnale significativo, di cui occorre far tesoro nelle nostre scelte. Esso dimostra una vitalità latente dello spirito imprenditoriale, che sconfessa i luoghi comuni sull’assenza di capacità autopropulsive del Mezzogiorno.

Gli strumenti di intervento

La politica di sviluppo per le aree depresse del Paese, attualmente operativa, deriva essenzialmente da provvedimenti legislativi diversi che dal 1992 alla data odierna hanno reso disponibili risorse per complessivi 160 mila miliardi di lire.

In pratica, l’insieme di tali disponibilità discende da residui dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno (fondo ex art. 19 D.L.vo 96/93), da leggi di copertura del deficit per incentivi alle attività produttive già attivate derivanti dalla stessa legislazione straordinaria (Legge 488/92, Legge 85/95) da integrazioni per le infrastrutture (Legge 341/95), dai programmi nazionali e regionali cofinanziati dall’Unione Europea, dalla L. 549/95 ed infine dal D.L. approvato di recente dal Governo (D.L. 450/96) per entrambi i settori (infrastrutture e incentivi alle attività produttive).

Intervento straordinario

I residui dell’intervento straordinario comprendono essenzialmente le risorse non ancora erogate derivanti dai tre piani annuali previsti dalla Legge 64/86 a favore delle regioni meridionali e dalla Legge 488/92 integrativa di tali risorse, per un totale di circa 58.000 miliardi di lire.

Gran parte di tale disponibilità complessiva è finalizzata a infrastrutture o a incentivi ad attività produttive in corso di realizzazione, ivi comprese le risorse assegnate direttamente alle stesse regioni, per interventi nelle aree interne e per i programmi regionali di sviluppo (circa 7.000 miliardi).

Ricordo in proposito che sono stati già revocati tra il 1994 e il 1995, con delibere del CIPE, oltre 3.000 miliardi di lire per opere non più realizzabili, che sono stati riutilizzati attribuendoli al cofinanziamento della quota regionale dei programmi comunitari, anche per le regioni del Centro-Nord.
La formazione di un elevato ammontare di disponibilità è stata provocata anche dalla normativa di soppressione dell’intervento straordinario. Detta normativa ha imposto al Commissario liquidatore dell’Agensud di non assumere nuovi impegni di spesa, anche in presenza di risorse disponibili, ma di procedere al trasferimento all’intervento ordinario dei programmi approvati, provvedendo alla sola liquidazione degli impegni maturati e giuridicamente vincolanti.

Agli effetti negativi di tale procedura, durata circa due anni, si sono aggiunti i ritardi derivati dal materiale trasferimento degli atti alle diverse Amministrazioni centrali e regionali interessate e alle esigenze di organizzazione interna, che ha portato, in alcuni casi, alla nomina di Commissari ad acta.

La transizione è stata di difficile e lenta attuazione; ha implicato adattamenti nella struttura organizzativa delle Amministrazioni, di per sé non inclini a mutamenti.

Incentivi alle attività produttive

La vecchia legislazione a favore del Mezzogiorno prevedeva la possibilità per gli imprenditori di avviare gli investimenti anche nelle more della definizione dell’impegno formale di concessione degli incentivi finanziari e creditizi previsti, sulla base di specifica autorizzazione alla semplice istruttoria bancaria.

Alla soppressione dell’intervento straordinario, gli impegni derivanti da tale procedura superavano di gran lunga le disponibilità residue per il settore: alla fine del 1994 dopo un’attenta revisione di tutti i fascicoli da parte del Ministero dell’Industria, risultava un fabbisogno complessivo per il pregresso per circa 21 mila miliardi di lire, a fronte di una disponibilità reale di circa 16 mila miliardi.

Si sono quindi resi necessari i provvedimenti legislativi del 1992 e del 1995, che hanno rapportato le disponibilità alle esigenze effettive, pur prevedendone l’erogazione in un arco di tempo fino al 1998, per evidenti esigenze di bilancio, oltre ad assicurare gli incentivi previsti per le nuove iniziative.

Fondi strutturali

La disponibilità complessiva per gli investimenti previsti con il cofinanziamento comunitario per il periodo 1994-99 ammonta a circa 106 mila miliardi di lire (tavola allegata).

Di questa somma, alla fine dell’agosto scorso circa 20 mila risultavano formalmente impegnati, mentre la restante parte risultava assegnata a settori di intervento specifico, ma non ancora formalmente impegnata.

In proposito bisogna ricordare che il quadro comunitario di sostegno è stato approvato il 29/7/94; i programmi operativi multiregionali e regionali sono stati a loro volta approvati dalla Commissione europea tra la fine del 1994 e l’ottobre del 1995; restano ancora da approvare alcuni programmi importanti, quali quelli dell’energia e dell’ambiente, oltre alle sovvenzioni globali.

Gli impegni e l’erogazione effettiva sono oggi pari rispettivamente al 20% e al 7% degli stanziamenti, percentuali che sono le più basse nel confronto europeo.

Questi dati mostrano che il vero nodo delle politiche di sviluppo a favore delle aree depresse del Sud e di quelle deindustrializzate del Centro-Nord non è rappresentato dalla carenza di risorse finanziarie, bensì dalla complessità delle procedure, dai vincoli, dai ritardi che, ai diversi livelli, hanno ostacolato il sollecito avvio degli interventi.

Sono mancate sia nelle Amministrazioni centrali, sia in quelle regionali, strutture adeguate per la progettazione, l’assistenza tecnico-amministrativa e il monitoraggio sull’avanzamento finanziario e fisico delle infrastrutture. È mancata sinora l’individuazione di programmi nazionali già definiti o in fase di avvio, la cui presentazione agli organi comunitari avrebbe consentito un più rapido tiraggio sulle disponibilità. A questo metodo, praticato con larghezza da altri paesi, si intende ora far ricorso.

Le difficoltà che ho menzionato rischiano di compromettere l’attuazione delle politiche per lo sviluppo, con grave perdita di risorse comunitarie per il nostro Paese.

Tre politiche integrate

Per la politica di riequilibrio delle aree depresse, quali il Mezzogiorno, emerge la necessità di una integrazione ottimale di:

  1. politiche di potenziamento e adeguamento delle dotazioni infrastrutturali, colmando lo svantaggio rappresentato dalla carenza di economie esterne;
  2. nuovi incentivi alle imprese, con procedure trasparenti e tempestive, in linea con la normativa europea, per favorire l’allargamento della base produttiva e lo sviluppo di un tessuto imprenditoriale competitivo, capace di attivare nuove iniziative industriali e servizi ad alta intensità di occupazione;
  3. misure specifiche nel mercato del lavoro, miranti a qualificare la forza di lavoro, ad agevolarne l’inserimento operativo.

Lungo queste linee si stanno promovendo forme innovative di gestione, specie per situazioni di particolare gravità. Rispondono a questo indirizzo i patti territoriali e il recente accordo tra Governo e parti sociali del 6 settembre scorso per le aree di crisi, in cui si è convenuto di sperimentare nuove forme di funzionamento della pubblica Amministrazione, nonché nuove relazioni tra le parti sociali stesse, in modo da invertire la tendenza al declino e al ristagno di particolari aree del paese.

Il CIPE il 12 luglio scorso ha varato le linee guida per la definizione, presentazione e approvazione dei patti territoriali, destinando la somma di 400 miliardi di lire. Il CNEL sta dando un importante contributo nella fase di promozione delle iniziative. Attualmente sono in via di predisposizione circa 60 patti territoriali.

Le misure indicate non sono distorsive della concorrenza e sono coerenti con l’approccio comunitario: non sussidi, ma interventi che inneschino e accompagnino il processo produttivo; non incentivazioni a pioggia, ma interventi mirati a esigenze specifiche delle singole aree di crisi.

Ulteriori azioni da intraprendere

In una visione più ampia, la struttura produttiva del Paese, e in particolare quella del Mezzogiorno, rischia di trovarsi intrappolata in un circolo vizioso, fra la disoccupazione tradizionale e la nuova disoccupazione tecnologica, conseguente al mutamento nella divisione internazionale del lavoro e nell’organizzazione dei processi produttivi.

Occorre quindi prepararsi a un doppio salto, incorporando e diffondendo nel tessuto economico meridionale i nuovi metodi della società dei servizi, della organizzazione snella e flessibile, della formazione permanente. Solo così si potrà saltare sulla nuova frontiera dello sviluppo invece che ripercorrere le tappe seguite dalle aree più avanzate; solo così un punto attuale di debolezza può essere volto in un punto di forza (tutti gli "ultimi arrivati" hanno una sorta di potenziale vantaggio competitivo).

Grande attenzione deve essere posta nell'accrescere l'impegno per il miglioramento delle cosiddette infrastrutture immateriali, aventi ricaduta diretta e indiretta sulle prospettive di crescita nelle aree depresse, quali: sicurezza, giustizia, sanità, istruzione. Si tratta cioè di agire anche sui fattori che favoriscono la creazione di un ambiente ricettivo allo sviluppo.

Lungo questo cammino, è opportuno distinguere tra interventi sulle procedure e azioni sul piano operativo. Sul fronte delle procedure occorre:

- Rendere effettivi ed efficaci il ruolo e le responsabilità delle Regioni e degli Enti attuatori a livello locale, attraverso la conclusione, con tutte le Amministrazioni regionali, di patti programmatici, in cui vengano definiti gli investimenti e gli impegni reciproci tra Amministrazioni centrali e regionali per i prossimi anni; l'avvio del federalismo fiscale, a un tempo, sollecita e favorisce questo sviluppo.

- Valorizzare il ruolo del Ministero del Bilancio nella politica di sviluppo delle aree depresse. Nell’ambito della nuova politica di decentramento regionale, si rafforza la necessità di coordinamento, programmazione e vigilanza sul complesso dell’azione a favore delle aree depresse da parte del Ministero del Bilancio. Come responsabile del Dicastero ho dato nuovo impulso all’attività di concertazione, per rendere fra di loro compatibili le diverse istanze del territorio, la legislazione regionale, le regole e le politiche dell’Unione Europea.

Il Ministero, soprattutto per il tramite del CIPE, attraverso la valutazione economico finanziaria delle varie esigenze settoriali, attiva l’azione verso gli obiettivi di sviluppo indicati dal Parlamento nelle aree depresse del Paese, verifica periodicamente l’andamento delle politiche di sviluppo e di investimento, delinea, anche attraverso la concertazione, gli adeguamenti necessari a ottimizzare il risultato degli interventi programmati.

- Proseguire nello snellimento delle procedure amministrative e nel rafforzamento delle procedure di coordinamento e controllo delle strutture responsabili dell'esecuzione degli investimenti, anche in attuazione delle indicazioni contenute nel Libro Bianco e nell’intesa con la Commissione europea del luglio del 1995. Analoghi provvedimenti dovranno essere attuati dalle Regioni per le materie di loro competenza. D'intesa con la Commissione europea dovranno essere rafforzati inoltre i dispositivi di assistenza tecnica per accrescere le capacità progettuali e realizzative delle Amministrazioni e degli Enti territoriali, con l’obbiettivo ultimo di stimolare la partecipazione del capitale privato.

È in questo contesto che va letta e valutata la recente risoluzione del Comitato di sorveglianza del Quadro Comunitario di Sostegno - obiettivo 1- che nella riunione del 19 luglio scorso ha approvato una metodologia di riprogrammazione volta ad evitare che i ritardi accumulati nella realizzazione di alcune misure di più complessa attuazione portino a una perdita secca dei finanziamenti comunitari programmati, con grave e inaccettabile penalizzazione per il nostro Paese, che subirebbe una decurtazione di finanziamenti a vantaggio di altri Stati membri più efficienti. Sviluppando tali linee di tendenza, il Governo intende farsi promotore di una iniziativa legislativa che consenta il trasferimento di risorse attribuite a progetti la cui attuazione risulti particolarmente problematica verso iniziative di più sicura realizzazione.

- Completare il quadro normativo del nuovo intervento ordinario, con l’obiettivo di una definitiva razionalizzazione e sistemazione legislativa della normativa, ora composta da una serie di provvedimenti stratificatisi nel tempo. A tal fine appare irrinunciabile l’obiettivo di delegiferazione e semplificazione, pervenendo ad un Testo Unico normativo, che sostituisca a tutti gli effetti, ed eventualmente integri, le norme preesistenti, mediante una delega al Governo da parte del Parlamento.

Sul piano operativo occorre:

- Proseguire con determinazione le azioni per l’accelerazione degli investimenti pubblici (delineate con la Legge 8/8/96 n. 425, la cosiddetta "manovrina Prodi"), attribuendo priorità alle opere immediatamente cantierabili e cofinanziabili con fondi strutturali.

- Intensificare la collaborazione con le parti sociali per il rilancio degli investimenti e dell'occupazione (’), per la promozione di attività imprenditoriali (industriali, commerciali, turistiche). Sono, queste, iniziative considerate con grande interesse dalla stessa Commissione europea, nella misura in cui possano esaltare la ricaduta occupazionale dei finanziamenti comunitari.

- Promuovere la diffusione del modello adriatico con adeguate misure per la crescita delle piccole e medie imprese e per favorire un processo di sviluppo e di incubazione della nuova imprenditorialità, specialmente nelle regioni colpite dalla maggiore disoccupazione strutturale. A questo fine non auspico un ulteriore appesantimento della normativa esistente, ma piuttosto una sua finalizzazione a favorire la diffusione, soprattutto alle aziende minori, della nuova tecnologia e delle nuove conoscenze produttive e manageriali.

- Favorire la vocazione al terziario avanzato nel Mezzogiorno con adeguato sostegno al settore del turismo, dei beni culturali e dell’ambiente, fattori che presentano potenzialità inutilizzate e forte capacità di sviluppo endogeno delle economie locali, finora non valorizzate appieno e su cui, di recente, anche la Commissione europea ha concentrato la propria attenzione.

- Promuovere un grande rilancio della formazione, d’intesa con i Ministeri del Lavoro, dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, della Pubblica Istruzione.

La particolare attenzione del Governo e mia personale al drammatico problema della disoccupazione impone un cenno a una considerazione generale sui nessi fra formazione, produttività e competitività.

Nella realtà dei nuovi mercati mondiali, delle nuove forme di organizzazione della produzione, sarebbe sbagliato inseguire un modello di formazione (o riqualificazione) delle risorse umane limitato ai settori di avanguardia, ossia alla creazione di "isole di eccellenza".

Occorre, che, all’affermarsi della "società dell’informazione" si risponda con la "società dell’apprendimento", organizzando e promovendo nuove forme di istruzione di base, di preparazione professionale, di formazione "permanente" lungo tutta la durata della vita lavorativa. È questa una condizione che riguarda l’intera economia, é una delle vie fondamentali per affrontare le cause di fondo, tradizionali e nuove, della disoccupazione.

L’attivazione da parte del CIPE del D.L. 450/96

Nel quadro degli obiettivi del DPEF, al fine di assicurare un pronto ed effettivo afflusso delle risorse sul territorio, il CIPE nelle riunioni del 12 luglio e 8 agosto ha deliberato il riparto dei 10.000 miliardi stanziati a favore delle aree depresse dalla legge finanziaria 1996 e dal successivo D.L. n° 450/96, assumendo come criteri prioritari per l’attribuzione di queste risorse il contributo al rafforzamento ed alla creazione di occupazione, nonchè l’attivazione di cofinanziamenti comunitari e privati.

Operativamente, le quote accantonate sono state destinate per circa 2.500 mld al cofinanziamento dei programmi regionali del Quadro Comunitario di Sostegno 1994-99, per 3.500 mld alle agevolazioni ad attività produttive, ricerca e patti territoriali per 3.000 mld ad interventi di settore e di area e, infine, per 1.000 mld per misure specifiche dirette allo sviluppo dell’occupazione (ad es., formazione e nuova imprenditorialità).

Nel superamento delle vecchie logiche di interventi a pioggia, l’azione del Governo è dunque improntata, da un lato, all’esigenza di massimizzare l’impatto occupazionale dell’utilizzo dei finanziamenti, e, dall’altro, alla necessità di valorizzarne l’impiego attribuendoli ad interventi capaci di attrarre finanziamenti, sia di parte comunitaria sia di parte privata, nell’ottica del cofinanziamento e dello sviluppo delle operazioni di project financing.

Conclusioni

Per un’efficace politica dello sviluppo, il ricupero della prontezza e dell’efficienza nell’utilizzo e nella gestione dei fondi riveste priorità assoluta: è un delitto verso la collettività perdere risorse comunitarie per l’incapacità di utilizzo delle stesse nei modi e nei tempi dovuti.

Il Governo sta accelerando l’utilizzo dei fondi strutturali: si stima che nel 1996 vengano spese risorse comunitarie per circa 1.500 miliardi; nel 1997 puntiamo a utilizzarne per 4.000 miliardi, con il duplice obbiettivo di "forzare" la realizzazione degli investimenti e di risparmiare risorse nazionali.

Sotto il profilo della strategia di politica economica, la filosofia portante deve essere quella del ricupero di efficienza, della progettazione bottom-up, cioè di stimolo propositivo dal basso. Ma è un’impostazione che, in base al principio della "sussidiarietà", deve consentire pronti interventi delle Amministrazioni centrali laddove difettino le iniziative locali, dal basso.

Occorre uno snellimento delle procedure partendo dal riordino legislativo, senza imbarcarsi in inutili duplicazioni di strumenti amministrativi, liberando le forze del mercato.

Con procedure manageriali snelle, con istruttorie preparate con criteri professionali si può rilanciare un ruolo pubblico propulsivo del Mezzogiorno.

Con l’avvio dei recenti interventi di sblocco delle risorse finanziarie che ho sommariamente illustrato, ritengo che si possa imprimere un ritmo più spedito al rilancio dello sviluppo delle aree depresse.

Concludendo, questo Governo sta dando contenuto al ruolo dello Stato nelle due forme di: a) realizzatore diretto delle infrastrutture di base, materiali e immateriali, b) stimolatore delle iniziative imprenditoriali. Il Governo crea le condizioni perché le forze di mercato si attivino. Sta alla capacità imprenditoriale dell’intero paese creare nuove produzioni, nuovi posti di lavoro, nuove opportunità per i giovani, soprattutto nel Mezzogiorno.

Tutto ciò è coerente con l’Unione Europea, è obbiettivo dichiarato della stessa Unione Europea.

Si dimentica troppo spesso che nelle trattative che hanno portato al trattato di Maastricht e nel testo dello stesso Trattato si sono definiti obbiettivi di "convergenza" tra le economie dei paesi europei, ma si sono definite anche politiche di "coesione", proprio per evitare che il perseguimento della "convergenza" possa determinare conseguenze negative a danno delle aree in ritardo nello sviluppo.