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L’intervento del ministro dell’Economia e delle Finanze, professor Giovanni Tria, alla ministeriale OCSE del 22-23 maggio 2019

23/05/2019

Dopo un ulteriore rallentamento atteso per questo anno, l' Outlook dell'OCSE prevede una moderata ripresa del PIL mondiale e una crescita degli scambi nel 2020. Tuttavia, l'OCSE ritiene che i rischi siano ancora orientati al ribasso a causa dell'incertezza generata dalle dispute commerciali, dalla decelerazione della crescita cinese, dalla Brexit, dagli squilibri in diverse economie emergenti e dal cambio di paradigma nell'industria automobilistica.

Mentre le previsioni numeriche dell'OCSE sono incoraggianti, la realtà rischia di essere meno rassicurante. L'OCSE infatti arriva ad esortare i paesi membri a lavorare su un progetto coordinato di allentamento della politica di bilancio qualora i rischi al ribasso si materializzassero e portassero le economie avanzate in una recessione conclamata.

Mentre riteniamo che le previsioni di crescita OCSE per l'Europa siano un po’ troppo pessimistiche, specialmente nel caso italiano, concordiamo invece sul fatto che ci sono rischi al ribasso per le prospettive future e che questi rischi potrebbero essere significativamente ridotti se si tornasse a un approccio più cooperativo nelle relazioni internazionali da parte di tutte le parti coinvolte.

Negli ultimi due anni abbiamo assistito a un importante cambiamento nella politica commerciale della più grande nazione importatrice del mondo, gli Stati Uniti d'America. Questo cambiamento è comprensibile se si considerano le dimensioni del deficit commerciale degli Stati Uniti e gli effetti negativi della globalizzazione sull'industria americana, che sono comuni alle economie più avanzate. Inoltre, la fortissima crescita  delle principali economie emergenti come la Cina ha cambiato il panorama geopolitico, rendendo assolutamente prioritaria la creazione di un regime di concorrenza ad armi pari su scala globale, la tutela dei diritti di proprietà intellettuale, una tassazione equa su scala internazionale.

Ciononostante, il segno e il livello dei saldi commerciali dovrebbero essere sempre contestualizzati e non dovrebbero essere usati per giustificare politiche protezionistiche unilaterali. L'internazionalizzazione delle società statunitensi tradizionalmente si affida più sugli investimenti esteri diretti che sull'esportazione. I saldi commerciali riflettono anche le posizioni cicliche di ogni economia e sono solo una delle sfaccettature delle più ampie relazioni economiche tra paesi.

La minaccia di quote e dazi più elevati negli scambi commerciali solleva incertezza e incide negativamente sulle decisioni di investimento delle imprese e sulla fiducia dei consumatori. Il governo italiano ritiene che la comunità internazionale non dovrebbe abbandonare il multilateralismo e la ricerca di accordi su commercio e investimenti ampiamente condivisi. Dovrebbe cercare la massima cooperazione e chiarezza strategica sulle politiche ambientali e sulle normative che riguardano settori chiave come l'industria automobilistica.

L'Europa ha un ruolo importante da svolgere in questo contesto. La recente performance dell'economia è stata positiva, con il PIL dell'Eurozona annualizzato trimestre su trimestre  in crescita dell'1,6 per cento nei primi tre mesi dell'anno, in rialzo dallo 0,9 per cento nel quarto trimestre. Anche così, la tendenza di fondo rimane nel migliore dei casi una lenta espansione economica. Come sostiene l'OCSE nel suo rapporto, vi è il rischio che la debolezza del settore manifatturiero si diffonda a quello dei servizi. Inoltre, il modello di crescita rimane disomogeneo nei paesi europei.

In questo scenario, la politica monetaria può svolgere un importante ruolo di sostegno contrastando i rischi deflazionistici e favorendo efficaci politiche accomodanti a beneficio dell'economia reale. Tuttavia, non possiamo affidarci esclusivamente alla Banca centrale europea per garantire la tenuta dell'espansione economica. I piani per rafforzare l'unione monetaria dovrebbero essere completati e pienamente attuati.

È in corso una riflessione anche sul modello di crescita dell'Unione Europea in generale e  dell'area dell'euro in particolare, che oggi rimane fortemente orientato all'esportazione. Le cornici normative di vigilanza fiscale e macroeconomica adottate durante la crisi continuano a risentire di un'asimmetria fondamentale: i paesi che registrano forti avanzi di bilancio e delle partite correnti subiscono una pressione limitata a correggere gli squilibri attraverso una crescita più forte della domanda interna. D'altra parte, i paesi con un debito pubblico o estero di grandi dimensioni devono fare politiche di aggiustamento, senza poter contare su un sostegno significativo da parte della domanda estera all'interno dell'unione monetaria, il che acuisce le pressioni deflazionistiche.

Ora nella zona euro l'atteggiamento dei paesi come la Germania in surplus di bilancio sta diventando più accomodante. Questa è una buona notizia, ma non è sufficiente per promuovere un vero cambiamento economico per l'intera area. Dobbiamo fare uno sforzo collettivo per superare la frammentazione finanziaria ed economica che si è affermata nella zona euro dal 2010. Dovremmo esaminare i modi per promuovere una maggiore crescita dei salari e una distribuzione più equa del reddito. Dovremmo continuare a promuovere il nostro interesse economico nei confronti del resto del mondo in modo da sostenere i valori del commercio libero ed equo. Inoltre, dobbiamo anche sostenere le nostre politiche in relazione a budget, tassazione, economia digitale, innovazione, commercio e investimenti secondo un approccio olistico, per poter prendere decisioni coerenti.

Inoltre, dobbiamo investire maggiormente in infrastrutture, conoscenze e competenze. Questo, secondo l'Outlook dell'OCSE, è particolarmente vero per i paesi che dispongono di "spazio fiscale". Tutti i paesi europei devono però aumentare i loro tassi di investimento, anche quelli che secondo le regole fiscali europee devono ancora migliorare i rispettivi equilibri di bilancio.

L'Italia è tra i paesi che hanno bisogno di aumentare il tasso di investimento e di destinare maggiori risorse pubbliche a tale scopo. Gli investimenti pubblici sono scesi dal 3,0 percento del PIL negli anni precedenti la crisi, al 2,0 percento nel 2018. Il rilancio degli investimenti pubblici è uno degli obiettivi chiave del Governo. Il nostro Programma di Stabilità per il 2019 fissa un obiettivo del 2,6% del PIL a partire dal 2021.

Nel precedente Outlook l’Italia era stata indicata come uno dei rischi per l'economia globale, anche rispetto al sistema bancario. I recenti dati e gli andamenti del mercato hanno mostrato che la valutazione era troppo pessimistica. Le nostre banche hanno registrato utili solidi e ridotto gli NPL. L'andamento dei depositi e dei prestiti bancari è rimasto positivo.

Alla fine di dicembre, abbiamo raggiunto un accordo con la Commissione europea per evitare che il bilancio italiano violasse le norme fiscali europee. Sul fronte economico, la produzione industriale è rimbalzata nel primo trimestre 2019 e il PIL reale è tornato in territorio positivo.

Il nostro Programma di Stabilità mira a ridurre gradualmente il disavanzo di bilancio e il rapporto debito pubblico/PIL nei prossimi tre anni. Negli ultimi giorni però i nostri titoli sovrani sono stati messi sotto pressione a causa delle frizioni politiche in vista delle elezioni europee: tuttavia non va dimenticato, anzi va sottolineato che il Parlamento italiano, come prima il Governo, ha approvato il Programma di Stabilità.

Le prospettive economiche rimangono incerte a tutti i livelli, nazionale e internazionale. Tuttavia, siamo fiduciosi che nei prossimi mesi saremo in grado di compiere ulteriori progressi verso il ripristino di una crescita sostenibile e socialmente equilibrata e che dimostreremo che le proiezioni dell'OCSE sull’Italia sbagliano... per difetto.

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