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Tria: “Ci sono più margini sulla manovra 2020. Priorità gli investimenti”

Avvenire - 25/07/2019

Intervista di Eugenio Fatigante

Ministro, partiamo dall’ultima novità: bene la svolta sulla Tav?
Sono soddisfatto, ma non ho mai avuto dubbi. La Tav non si è mai bloccata, per farlo era necessario una legge e, quindi, una maggioranza che non vedevo. Per me va portata avanti perché è un simbolo che va oltre l’opera: concerne il rispetto dei patti internazionali e, quindi, la capacità di dare sicurezza a coloro che investono e che non possono essere sottoposti, dopo che le decisioni si sono prese, al mutamento delle maggioranze di turno. Bisogna sempre stare attenti a quel che si fa.

Come valuta oggi questi suoi 14 mesi al governo? E quale voto si darebbe?
Non ho avuto molto tempo per soffermarmi a dare giudizi. Certo, più si va avanti più si affina l’esperienza di governo, ci si conosce meglio fra noi ministri e, così, sta migliorando il modo in cui si può cooperare. I voti, però, si danno agli altri e non a se stessi. Poi, si sa, i professori sono famosi in genere per considerarsi tutti dei geni, quindi è meglio lasciar perdere...

Ha scongiurato due procedure Ue. Si sente un primatista?
Più che altro sono soddisfatto che la conduzione della finanza pubblica sia stata riconosciuta come corretta e prudente, il che ha consentito di superare il giudizio della Commissione. E, soprattutto, di riconquistare la fiducia dei mercati finanziari, ma anche delle famiglie e delle imprese.

E sul piano interno cosa la soddisfa?
L’accelerazione sull’esigenza di rilanciare gli investimenti pubblici. Lo si è visto anche oggi (ieri per chi legge, ndr) al Cipe. Sarei stato più soddisfatto se fosse avvenuto prima, ma l’impegno ora è a superare gli ostacoli che frenano opere ferme da decenni.

A proposito: come valuta l’addio all’Anac di Cantone, che è stato critico sullo “Sblocca-cantieri”?
Io apprezzo molto Cantone. Già in passato abbiamo cooperato molto. Peraltro l’ultimo corso d’insegnamento da me creato è stato sull’economia della corruzione e dei mercati illegali. Sono convinto tuttavia che la corruzione non si contrasta con una superfetazione come quella che in Italia ha portato a una normativa sempre più complessa, che tende a paralizzare chi opera nella legalità e dà spazi a chi pensa di potersi assumere invece il rischio di fare errori perché punta ad altri ‘premi’. La mia idea è tornare alle direttive Ue, che funzionano in tutti i Paesi senza per questo favorire l’illegalità. In tutte le mie interlocuzioni con operatori stranieri ho riscontrato un forte interesse verso l’Italia, ma un freno per quello che loro definiscono il ‘rischio legale’. Se non s’interviene su questa percezione, sarà difficile sbloccare l’economia italiana.

È questa la priorità che lei fissa?
Questa, assieme al rilancio degli investimenti pubblici in infrastrutture che, in quota del Pil, devono tornare al 3%. Oggi sono all’1,8-1,9% e negli anni si sono ridotti del 30%, serve un’inversione.

La continua incertezza dentro la maggioranza è fonte di problemi per i conti pubblici?
Questi fuochi d’artificio di fatto non mi hanno generato problemi particolari, anche durante la campagna elettorale. Il Parlamento non ha posto ostacoli. Certo, una maggior intesa nella coalizione è utile, ma finora quel che si doveva fare è stato fatto.

Sul piano generale, vede il rischio di una stagnazione prolungata?
Siamo in stagnazione. Il punto è che dobbiamo uscirne. Per riuscirci, ci vuole la ripresa economica anche in Europa. Noi e la Germania abbiamo subito i colpi più forti dalle tensioni commerciali, anche se la nostra economia è abbastanza resiliente. Faccio notare che quest’anno il Pil della Germania è previsto allo 0,5%, un dato che indica la difficoltà anche di un certo modello di crescita. E che nel 2020 quello dell’Eurozona è stimato all’1,3% contro il nostro 0,8%: le distanze si stanno accorciando rispetto al passato. Il che non significa che stiamo andando meglio, solo che il nostro rallentamento è minore rispetto agli altri. Ma resta un problema generale di crescita da stimolare. Noi dobbiamo fare la nostra parte, non solo mettendo più denaro pubblico e sbloccando stanziamenti per investimenti che sono disponibili da anni, ma favorendo anche le iniziative private.

Nelle prime dichiarazioni la presidente della Commissione Ue, Von der Leyen, ha sottolineato i rischi dei conti italiani. Cosa ne pensa?
Non vi ho visto nulla di nuovo. Monitorare i conti fa parte del dovere della Commissione, è normale che quelli italiani siano seguiti con maggior preoccupazione per il debito pubblico più alto, che viene dal nostro passato. Attendiamo ottobre, quando Bruxelles farà le sue osservazioni su tutte le manovre dei vari stati. Ora vedo comunque in Europa uno spazio di discussione, è importante che l’Italia vi partecipi attivamente perché le nostre istanze possono trovare più udienza di prima.

Quali margini vede per la prossima manovra? L’Italia può ridurre il deficit 2020 all’1,8% annullando tutti i 23,1 miliardi di aumenti Iva e avviando una riforma dell’Irpef?
Innanzitutto, non abbiamo indicato un numero specifico per il 2020, non ci siamo impegnati all’1,8%. Abbiamo detto che bisognerà continuare nell’aggiustamento strutturale tenendo conto del quadro economico. Vedremo intanto quanto sarà il deficit a fine 2019, in considerazione delle maggiori entrate e del minor ‘tiraggio’ di reddito di cittadinanza e Quota 100, e quanto sarà l’aggiustamento strutturale realizzato, il primo degli ultimi anni, condotto in condizioni di crescita zero. Dovremo fare un grosso sforzo, anche perché dovremo rispondere alle indicazioni dateci dal Parlamento che ci ha chiesto di procedere senza aumenti di tasse, ma con misure alternative.

Ci sarà un taglio degli sgravi fiscali?
Rientra nelle misure alternative chieste dal Parlamento. Si stanno esaminando tutte le voci comprimibili nel bilancio pubblico, escludendo quelle a impatto sociale. Poi, a fine settembre le decisioni saranno politiche.

Da anni si invoca una diversa tassazione per le famiglie. Come valuta l’ipotesi di un assegno unico per i figli?
Al Tesoro si sta lavorando a una riforma del sistema di tassazione dei redditi personali. Non abbiamo fatto uno studio specifico sull’assegno unico. Io concordo che serva una revisione globale del sistema di aiuto ai nuclei, che peraltro potrebbe non comportare maggiori costi. La via migliore è semplificare. Convinzione generale di noi economisti è che per ogni obiettivo ci vuole uno strumento. Il punto di partenza è la riforma della tassazione, poi bisogna valutare uno strumento di aiuto alle famiglie che può essere inglobato in questa riforma, ma senza troppe complicazioni, oppure affiancato. Una decisione va ancora presa.

Ma la Flat tax si farà?
Stiamo esaminando disegni alternativi. Il processo di riforma deve andare nella direzione di una Flat tax, che però come idea si può fare a qualunque livello di aliquota. Rispetto all’ipotesi del 15%, dico che - tenendo conto della ‘no tax area’ - il prelievo effettivo è già ora sotto il 15% per i redditi più bassi e, in parte, anche per quelli medi. Si tratta di cercare di allentare ancora di più la pressione fiscale su tali redditi medi perché sono quelli che, durante la fase di alta inflazione, sono passati ad aliquote concepite all’origine per redditi alti. Questa è una correzione che andava fatta già da decenni.

Il suo predecessore Padoan aveva coniato l’immagine del «sentiero stretto». La sua qual è?
Il sentiero resta quello. Il mio auspicio è che si ampli: potenzialmente può essere molto più largo.

Il nodo dell’autonomia verrà sciolto?
Il problema è politico. Sul piano tecnico, procedere verso una maggior autonomia applicando i fabbisogni standard è possibile, non vedo problemi reali né un pericolo di ampliare i divari fra aree del Paese. D’altronde, scelte di federalismo fiscale erano state fatte in passato, ma nulla è andato avanti. Io penso sempre che, per attenuare i divari, occorra intervenire dove si va più lenti, non zavorrare gli altri.

A livello globale, cosa teme di più? La guerra commerciale, la ‘frenata’ della Germania o le valute parallele, tipo Libra?
Più le guerre commerciali. Perché, se gli stati si muovono come si è cominciato a fare all’ultimo G7, è più facile fronteggiare le monete alternative che sono comunque un fattore di forte preoccupazione.

C’è una proposta leghista di riforma delle nomine in Banca d’Italia, affidandone tre al governo e due al Parlamento. Cosa ne pensa?
Non vedo necessità di cambiamenti rispetto allo stato attuale. Non mi pare tuttavia una proposta esplosiva, già oggi il governatore è l’approdo di una scelta politica: si tratterebbe di ampliare il sistema. Ma vedo altre priorità.

Per chiudere: i due vicepremier l’hanno spesso criticata. Quale giudizio dà di loro, sul piano economico?
Come ho detto, le proposte da me avanzate sono state tutte approvate. Anche, al di là della polemica, quelle sulle risposte per i risparmiatori truffati. Di loro non posso quindi che dare un giudizio positivo. Peraltro, non sono tenuti a essere esperti di economia.