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Intervista a Pier Carlo Padoan: “C'è un clima da anni 70. Molti partiti sottovalutano le gravi violenze di piazza”

La Stampa - 24/02/2018

Intervista a Pier Carlo Padoan di Luca Fornovo

«Non c’è bisogno di essere un esperto: è la memoria storica che conta. Gli Anni 70 sono stati anni brutti per la democrazia italiana, con gli anni di piombo, le brigate rosse e nere. Ma i metodi di oggi legati alla violenza sono gli stessi di allora: sostanzialmente fascisti, per non dire di peggio». Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, in visita a Torino per la campagna elettorale, lancia l’allarme sugli scontri esplosi giovedì nel capoluogo piemontese durante il corteo antifascista organizzato dai centri sociali contro CasaPound.

Ministro pensa che i partiti trascurino il problema?
«Sottovalutare queste situazioni è pericoloso. Ci sono forze politiche come il Pd che sono in allerta ma altre considerano il fenomeno quasi un fatto da giustificare a causa della variabile nuova di oggi: l’immigrazione».

È bizzarro che si stia facendo la campagna elettorale su fascismo e antifascismo?
«No, non è bizzarro. Il fatto è ci sono manifestazioni nuove di questo fenomeno. Oggi sono in molti che si dichiarano fascisti e nazisti».

Facendo un bilancio qual è il risultato di cui è più felice e quale considera una sconfitta ?
«Sono contento di aver contribuito a garantire la stabilità del Paese. Vorrei aver avuto maggior successo nella semplificazione dei procedimenti amministrativi».

Parliamo di Pil. Come si può ridurre la distanza tra la crescita dell’Italia e quella degli altri Paesi Ue?
«Se le spese per gli investimenti pubblici fossero state pari alle risorse stanziate, la crescita sarebbe superiore di qualche decimo di punto. Se la riforma della giustizia civile, della scuola e della P.a. fossero potenziate, questo divario scenderebbe molto».

Se il nuovo governo dovesse introdurre la Flat Tax quanto sarebbe in pericolo il bilancio dello Stato?
«I conti pubblici sarebbero davvero a rischio e sarebbe un pericolo per il Paese, i mercati cambierebbero in fretta umore».

Le dichiarazioni (poi corrette) del presidente Ue, Jean-Claude Juncker, riflettono la preoccupazione dell’Europa sul voto italiano. Come interpreta questi timori?
«Sento spesso i colleghi dell’Ecofin e rispetto a mesi fa posso dire che ci sono meno preoccupazioni. C’è stato più nervosismo con il referendum costituzionale. I mercati sono calmi, perché non c’è l’impressione che il nuovo governo cambi rotta e c’è la convinzione che l’economia italiana sia più solida di dodici mesi fa».

L’espressione che più rassicura i partner europei è governo di larghe intese. È una prospettiva realistica?
«Onestamente non lo so, è una domanda che mi fanno in tanti. Se guardo ai programmi politici non vedo punti in comune, eccetto qualche misura. La filosofia di fondo degli altri partiti è diversa da quella del Pd».

Il nuovo governo dovrà negoziare con l’Ue una manovra di correzione, che secondo le cifre scritte dai giornali sarà di 3-5 miliardi?
«Non mi risulta che ci sia una trattativa sulla manovra di correzione. In Europa non se ne discute. Piuttosto per i Paesi ad alto debito, come l’Italia, l’Europa può valutare se il nostro indebitamento sia insostenibile. Questo meccanismo è andato avanti più volte, ma poi l’Ue ha concluso che non c’erano rischi».

Parliamo di banche. Lei, che è candidato a Siena e ha gestito la crisi Mps, pensa che il management attuale accompagnerà la banca a eventuali aggregazioni?
«Non sono previste fusioni tra Mps e altri istituti, mi aspetto che ci siano aggregazioni nel settore. I manager di Mps stanno conducendo la gestione del piano di ristrutturazione come da attese».

Dalla quotazione in Borsa avvenuta a ottobre Mps ha perso circa il 28%. Che ne pensa l’azionista Tesoro?
«Vista l’elevata volatilità, l’andamento in Borsa non è un indicatore adatto a stabilire ora se l’investimento è giusto. Intanto Mps si è liberata di 27,2 miliardi di sofferenze. Siamo sulla strada giusta».

Lei ha lavorato sia con Renzi che con Gentiloni. Chi ritiene più adatto a governare l’Italia?
«La linea politica di Gentiloni e quella del Pd di Renzi sono pressoché identiche. Lavoro bene con Gentiloni e ho lavorato bene con Renzi per lo slancio riformatore».

Ma di Renzi non ne ha sempre condiviso lo stile...
«Lo stile è diverso, ma quando sono stato numero due di Angel Gurrìa all’Ocse le assicuro che lui non è stato da meno di Renzi».

Chiudiamo sul lavoro. Quali misure vorrebbe lanciare?
«Il governo Gentiloni ha messo in campo gli incentivi permanenti all’occupazione giovanile. Ora bisogna rafforzare il Jobs Act, gli incentivi fiscali vanno ridisegnati. E serve un piano pluriennale sulla formazione professionale».

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