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Italia e Europa: nuove sfide e opportunità

17/01/2018

Caro Rettore, cari Professori e studenti […],
Sono molto lieto e vi sono molto grato di questo invito a partecipare all’inaugurazione dell’anno accademico 2017-2018 che cade tra la fine della legislatura e l'inizio della nuova.

Un bilancio di fine legislatura
All’inizio della legislatura l’Italia era in recessione. La recessione più lunga e profonda dalla Seconda Guerra mondiale. Nel 2014 ne siamo usciti, registrando una variazione positiva del PIL di un sia pur modesto 0,1 per cento.
Negli anni successivi la crescita si è rafforzata e le prime stime per il 2017 indicano un tasso di crescita reale che si avvicina significativamente a quello di altre economie avanzate.
Secondo alcuni osservatori l’attuale ripresa sarebbe soprattutto ciclica. A mio avviso, invece, accanto alle evidenti componenti cicliche vi sono i fattori strutturali attivati durante la legislatura.
Gli interventi strutturali realizzati finora manifesteranno i propri effetti in modo crescente nel tempo. Dunque si può essere ottimisti purché nel tempo si faccia uno sforzo di attuazione e implementazione in continuità con la strategia adottata negli ultimi quattro anni.
La ripresa in corso dunque è trainata da componenti che vanno rafforzate per innalzare il potenziale di crescita in un quadro macroeconomico e finanziario sostenibile. Se il percorso di modernizzazione del paese nella direzione degli investimenti e della stabilizzazione venisse frenato, il rischio sarebbe non di fermarsi ma di tornare indietro.

Innalzare il potenziale di crescita è problema non nuovo. Anche prima della crisi finanziaria, l’Italia registrava tassi di crescita contenuti e una produttività totale dei fattori decrescente. Per superare definitivamente la crisi è necessario rilanciare la produttività nel lungo periodo e far aumentare strutturalmente l’occupazione.

La crescita di lungo periodo può derivare da fattori demografici oppure da una maggiore produttività dei fattori impiegati nell’economia: capitale materiale e immateriale e capitale umano. Paesi come l’Italia e più in generale come l’Eurozona non possono contare, al netto del contributo dell’immigrazione, su fattori demografici significativi per aumentare i tassi di crescita nel lungo periodo.
Resta, quindi, inevitabilmente la strada delle riforme mirate a rafforzare il capitale umano, a migliorare e accrescere gli investimenti in capitale materiale e immateriale, e a sviluppare sistemi produttivi innovativi, capaci di migliorare le funzioni produttive. In una parola l’innovazione. Questa constatazione permette di sintetizzare il giudizio del momento in cui ci troviamo. Alla fine di una legislatura che lascia il paese in condizioni decisamente migliori di quelle in cui lo ha trovato occorre guardare avanti e darsi da fare per consolidare e migliorare i risultati .
Il compito del policy maker oggi è quindi quello di legare i risultati ottenuti ai nuovi percorsi, identificare gli elementi per rafforzare il miglioramento delle condizioni sociali, economiche e di benessere per le future generazioni, ad iniziare da voi studenti che siete qui oggi. In altri termini come assicurare un crescita inclusiva. La via maestra, lo ribadisco, è l’investimento nel capitale umano. Non potremmo quindi essere in un posto migliore di questo per discutere di questi temi.

Anni caratterizzati da luci e da ombre nel mercato del lavoro e della formazione.
In un bilancio da fare ci sono luci ed ombre. La disoccupazione è calata ma risulta ancora troppo alta, intorno all’11 per cento; il numero dei laureati sta crescendo ma è ancora troppo basso; ancora troppi giovani lasciano il nostro Paese per migliori opportunità all’estero. Un recente rapporto commissionato all’OCSE sulle competenze disponibili in Italia ha evidenziato che stiamo soffrendo, più di altri paesi, nella transizione verso una società basata su una più alta intensità di conoscenza. Lo studio sottolinea anche che la stagnazione della produttività registrata in questi anni è dovuta alla scarsa domanda di competenze di alto profilo. Si rischia uno scenario che l’OCSE definisce low-skills equilibrium (equilibrio a bassa qualificazione professionale) in cui, dal lato della domanda molte imprese spesso di grande dimensione, sono competitive sui mercati globali, mentre le altre operano su livelli più bassi di produttività; dal lato dell’offerta ci sono alte percentuali di lavoratori sotto-qualificati o non-qualificati e il numero dei giovani con alti livelli di formazione che lasciano il nostro Paese è più alto del numero dei loro colleghi esteri che vengono da noi.
Ma ci sono anche aspetti meno problematici. In Italia l’11,7% dei lavoratori ha competenze superiori a quelle richieste dal loro impiego, mentre il 18% ha addirittura qualifiche non richieste. Le competenze dei nostri giovani sono elevate, dato che molti di loro trovano facilmente impiego all’estero. Il numero dei nostri laureati è in crescita mentre la disoccupazione giovanile sta diminuendo.

Cosa occorre fare allora?
La ricetta è facile a dirsi ma estremamente articolata nella sua realizzazione: dobbiamo intensificare la valorizzazione del capitale umano; dobbiamo aumentare la domanda di capitale umano da parte delle imprese e facilitare l’incontro tra la domanda e l’offerta per migliorare la produttività e le retribuzioni a beneficio del benessere di lavoratori e imprese.
Dobbiamo migliorare il livello della formazione a tutti i livelli, dobbiamo fare in modo che le risorse vengano incluse in un sistema capace di valorizzare i talenti e le attitudini, formarle ed indirizzarle verso prospettive di realizzazione personale, oltre che professionale. Questa è la sfida più importante - a mio modo di vedere - per la prossima legislatura.

Molto è stato fatto, ma i dati ci dicono che seppur ci stiamo muovendo nella giusta direzione siamo ancora lontani da un risultato accettabile. Fatemi pero' citare alcuni esempi di scelte che vanno nella direzione giusta.
Dal lato dell’offerta di capitale umano, la creazione dello Human Technopole quale centro di eccellenza per la promozione dell’innovazione è il risultato di una azione condivisa tra il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, un passo decisivo verso la promozione dell’innovazione a tutto campo nel nostro sistema formativo. La Buona Scuola ha valorizzato la gestione manageriale degli istituti scolastici migliorando la corrispondenza tra merito e responsabilità, oltre che aver promosso misure che facilitano la transizione tra la formazione e il mercato del lavoro. La Legge di Bilancio 2018 ha predisposto i fondi per la creazione di 1.500 nuovi posti da ricercatore nelle nostre università.
Le misure dal lato dell’offerta di lavoro sono state accompagnate da interventi volti a migliorare le prospettive per una maggiore domanda di lavoro qualificato. Sono stati introdotti incentivi fiscali per gli investimenti in ricerca e sviluppo e per gli investimenti in tecnologie avanzate, sono stati introdotti incentivi alla crescita della dimensione aziendale e sono stati creati nuovi canali per il finanziamento delle piccole e medie imprese, tali da migliorare il reperimento di risorse necessarie all’immobilizzazione di capitale. Inoltre il piano Impresa 4.0 colloca in un quadro coerente le strategie dal lato della domanda e dell’offerta facilitando il dialogo, la sinergia e la contaminazione tra la formazione, l’impresa e la ricerca.

La stessa sfida - su una scala più ampia – interessa l’Unione europea.
Mi ripeto. Dopo anni di profonda recessione, squilibri, fragilità diffuse l’attività economica in Italia si sta consolidando sulla scia di una ripresa globale. E tuttavia non c’è alcuno spazio per il compiacimento: permangono difficoltà di natura strutturale, istituzionale e rischi geo-politici: il diffondersi di proposte politiche populiste e nazionaliste, le conseguenze della Brexit, la possibile escalation delle tensioni commerciali, solo per citarne alcune.
Molto resta ancora da fare in Italia ma anche in Europa. Per rafforzare la componente strutturale della ripresa e consolidare la solidità e la resilienza dell’Unione Monetaria Europea sono necessarie ambiziose misure di riforma della governance e degli strumenti comuni di politica economica.
Su questi temi è in corso un vivace dibattito a cui l’Italia partecipa con convinzione e con proposte specifiche: ne ricordo alcuni aspetti.
Accanto all’integrazione monetaria e finanziaria, la nuova governance europea deve sostenere la crescita, l’occupazione e l’inclusione sociale. Perché il benessere riprenda a distribuirsi e a coinvolgere diffusamente i cittadini europei, tutti gli Stati membri devono aumentare la propria capacità di aggiustamento agli shock, attraverso è riforme strutturali e attraverso una migliore condivisione dei rischi.
Il completamento dell’Unione Monetaria Europea è parte integrante di questo processo, poiché il buon funzionamento dell’eurozona e il rafforzamento dell’Unione europea si sostengono reciprocamente. Ma non basta.
In molti casi le sfide comuni possono essere meglio affrontate a livello europeo, tenuto conto di esternalità ed economie di scala. Dobbiamo quindi migliorare la gestione dei beni pubblici europei quali:

  1. Le frontiere UE, anche tenendo conto delle sfide poste dalla migrazione
  2. La difesa per le sfide derivanti dall’incertezza dello scenario geopolitico globale e dalle nuove forme di minaccia terroristica
  3. La sicurezza: l’efficace sviluppo delle capacità di sicurezza interne ed esterne, compresa la cyber-sicurezza, e la lotta al finanziamento del terrorismo
  4. Le politiche ambientali con significative esternalità a livello UE
  5. Gli investimenti.

Un’economia reale più forte e convergente richiede iniziative comuni di investimento in progetti con rilevanti esternalità negli Stati membri. L’espansione del piano Juncker e la creazione di una capacità di bilancio dell’area dell’euro rafforzerebbero l’occupazione e gli investimenti per l’innovazione, promuovendo al tempo stesso la produttività e crescita potenziale. Una strategia di investimento tesa a stimolare il potenziale di crescita si dovrebbe concentrare su iniziative volte a promuovere una forte e competitiva base industriale per il mercato unico e per il completamento dell’unione digitale, dell’innovazione, dell’energia e dei mercati dei capitali.
In breve: un maggior benessere per tutti passa da una maggiore “Unione” nella gestione delle questioni comuni.

Conclusione
Care studentesse e cari studenti, vi auguro di non perdere mai la curiosità di andare in fondo alle cose, che deve accompagnare tutta la vostra carriera, ora di studio e un giorno professionale. Non abbiate mai timore di rompere gli schemi, di fare domande, anche scomode, perché spesso queste sono la via per il progresso individuale e collettivo.
Ai colleghi professori, a cui mi sento particolarmente vicino per ovvie ragioni professionali, un ringraziamento particolare per il costante sforzo sia nella docenza che nella ricerca. Questa, come tutti sappiamo dipende anche dalla capacità di mettere in discussione, ove necessario, schemi consolidati e farlo con costanza.
Care studentesse e cari studenti, buon lavoro.

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