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Intervento del ministro Padoan - I 70 anni della Costituzione

Tanti auguri a tutte e tutti noi!

09/01/2018

Caro Presidente, cara Ministra, cari studenti e care studentesse,
sono molto lieto e vi sono molto grato di questo invito a celebrare insieme agli studenti il settantesimo anniversario della nostra Carta costituzionale.
Qualcuno potrebbe chiedersi che cosa abbia mai da dire il ministro dell’economia in materia istituzionale. Non è una domanda oziosa, come dimostra il tentativo di diversi economisti di studiare in modo problematico la relazione che intercorre tra l’ordinamento istituzionale e il funzionamento dell’economia. Del resto gli economisti sono scienziati sociali e fino a due secoli fa la distinzione fra filosofia, economia, scienza della politica e sociologia non era netta come lo è oggi in virtù della specializzazione delle diverse discipline.
Su questo tema ho prestato grande attenzione alle riflessioni di Mancur Olson, economista e scienziato sociale americano che dedicò la propria attività allo studio delle scelte pubbliche, contribuendo a fondare una vera e propria teoria della scelta pubblica.
Olson studiò le logiche dell’azione collettiva, gli incentivi al perseguimento di beni pubblici anziché dei soli beni privati, il ruolo di gruppi organizzati capaci di orientare le politiche pubbliche. Un tema quanto mai attuale in questi mesi.
Altri studiosi dopo Olson hanno investigato il rapporto tra l’organizzazione delle istituzioni e il funzionamento dell’economia, per comprendere non soltanto quali siano le istituzioni che favoriscono lo sviluppo economico, ma anche quali siano quelle capaci di promuovere la giustizia sociale.
Due studiosi americani, Daron Acemoglu e James Robinson, hanno fornito alcune evidenze secondo le quali l’ordinamento democratico è in grado di promuovere la prosperità collettiva e individuale molto meglio dei regimi autoritari. La democrazia dunque non risponderebbe soltanto a un richiamo ideale, ma risulterebbe anche efficiente rispetto all’obiettivo di generare prosperità collettiva.
Non si può quindi non guardare alla Costituzione repubblicana e alla scelta democratica che prevalse nel referendum del 1946 come una opportunità per l’Italia dalla quale abbiamo tratto molti vantaggi. Sia come comunità nazionale, sia in termini di opportunità individuali.
Anche per questo dobbiamo prendere molto sul serio la Costituzione. Dobbiamo leggerne gli articoli come vere e proprie prescrizioni pratiche valide ancora oggi, a 70 anni dalla sua redazione.
Mi soffermo su due esempi.
Il primo riguarda l’articolo 1. La Costituzione esordisce con una frase distinta in due periodi: il primo dice che “L'Italia è una Repubblica democratica”, il secondo aggiunge che è “fondata sul lavoro”. Questo legame esplicitato in modo così stretto tra il lavoro e la natura democratica della Repubblica può suggerire molte interpretazioni. A me dice che la dignità dei cittadini, che sono tutti uguali nei loro diritti e nelle loro opportunità, è strettamente legata al lavoro. Allo svolgimento di un lavoro e al reddito che se ne ricava. Se diamo il giusto peso a questa prescrizione dei padri costituenti, dobbiamo trarne un suggerimento concreto e non retorico. A mio avviso questo articolo ricorda alle istituzioni repubblicane che devono dare il meglio di sé nello sforzo di moltiplicare le opportunità di lavoro per il maggior numero possibile di cittadini.
Nel corso di questa legislatura, la progressiva uscita dalla crisi economica ha consentito di riportare in alto il numero assoluto di italiani occupati. Nonostante questo, in Italia la quota di cittadini occupati sul totale della popolazione attiva è tra le più basse d’Europa. Dati alla mano, si tratta di un problema che affligge la nostra società da almeno vent’anni. Durante questo recente passato si è creata una profonda frattura tra insiders e outsiders: tra chi è inserito in un contesto produttivo al quale sono associate garanzie; e chi ne resta ai margini, disoccupato o sotto-occupato e privo di garanzie. Le riforme di questi anni hanno rimosso molti degli ostacoli strutturali che impedivano di rimarginare questa frattura. La ripresa economica ha favorito una più ampia occupazione, capace di riassorbire parzialmente i tassi di disoccupazione assai elevati che hanno caratterizzato gli anni della crisi e che ancora oggi affliggono gli strati più giovani della popolazione. Bene ha fatto il presidente Mattarella a ricordarci - nel suo messaggio di fine anno - che al lavoro dobbiamo rivolgere tutte le nostre energie.
A questo proposito il secondo esempio che vorrei proporre è l’articolo 3 della Costituzione: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Qui le indicazioni che ci vengono consegnate sono chiare. L’assemblea costituente non si è limitata a dirci che lo sviluppo della persona umana si realizza attraverso la partecipazione dei lavoratori alla vita politica, economica e sociale del paese. Non si è accontentata di dirci che questo sviluppo è desiderabile. I padri costituenti ci consegnano un compito preciso: quello di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano l’eguaglianza dei cittadini.
Nei passati quattro anni i governi repubblicani hanno cercato di rimuovere alcuni degli ostacoli di natura strutturale all’eguaglianza dei cittadini. Ostacoli economici, sociali e istituzionali. In molti casi ci siamo riusciti, in altri meno. Un giudizio più attendibile potrà maturare soltanto nei prossimi anni.
Cari studenti, voi vi impegnate nel vostro compito per un anno intero, e alla fine del periodo di studi misurate il frutto del vostro lavoro. Ma per sapere quanto è efficace e utile ciò che avete appreso deve passare ancora del tempo. Dovete completare un percorso formativo che può durare molti anni, e poi ancora dopo, una volta inseriti nel mondo del lavoro, potrete scoprire l’importanza di ciò che avete appreso.
Anche le politiche pubbliche richiedono un tempo lungo per dispiegare i propri effetti. Chi si vantasse troppo rapidamente di misure appena prese farebbe lo stesso errore di quei critici pronti a strumentalizzare qualsiasi dato per dare torto al governo.
La dinamica della società e quella dell’economia richiedono un tempo paziente. Diffidate di chi vi propone scorciatoie. Diffidate di coloro che vi dicono che i problemi sono semplici e che le soluzioni sono a portata di mano.
E’ vero il contrario: i problemi sono complessi perché complessa è la società. Se fate una scelta che produce benefici per alcuni probabilmente dovrete finanziarle con risorse da sottrarre a qualcun altro. Che non sarà contento.
Prendere decisioni è sempre difficile. Attuarle è ancora più arduo. La politica economica è fatta di scelte che allocano risorse, magari spostandole da una funzione economica a un’altra. Una scelta di politica economica non è quasi mai neutrale.
Ancora una volta mi permetto di richiamare qui il messaggio che il Presidente della Repubblica ha indirizzato alla nazione il 31 dicembre scorso. Stiamo entrando in un periodo di competizione elettorale. Ogni partito cercherà di conquistare la fetta di consenso la più ampia possibile. Lo farà alludendo a scelte di politica economica tali da promettere i maggiori benefici al proprio elettorato. È nella natura della democrazia.
È compito degli elettori valutare le diverse proposte e ricordare a se stessi che non tutte le promesse sono realizzabili. Che la credibilità di una proposta dipende dalla sua realizzabilità, tenuto conto dei vincoli posti dalle circostanze esterne. Sarebbe opportuno che tutte le parti in competizione rendessero questo compito più facile agli elettori, formulando proposte misurabili e quindi credibili.
Ho più volte fatto riferimento alla prospettiva di politica economica del nostro Paese con la metafora di un sentiero stretto cercando in questo modo di ricordare i molti vincoli che il passato ci impone, soprattutto attraverso il peso del debito pubblico. Il debito pubblico contiene gli effetti di molti errori – magari anche di scelte compiute in buona fede – compiuti in anni passati.
In questi anni lo abbiamo stabilizzato in rapporto al prodotto interno lordo, ma non basta. Occorre fare scelte che orientino questo rapporto verso una decisa riduzione, in una logica di lungo periodo che tenga conto della politica monetaria, dell’inflazione, delle condizioni del commercio internazionale, del quadro geopolitico - cruciale per un paese fortemente esportatore come l’Italia.
La consapevolezza dei vincoli non corrisponde a una rinuncia, al pessimismo o al declinismo. Sebbene stretto tra vincoli quel sentiero per lo sviluppo e il lavoro c’è. In questi anni abbiamo provato a tracciarlo con più chiarezza, a definire i margini di manovra, ad allargare il sentiero. Abbiamo introdotto alcune misure pur sapendo che avrebbero prodotto effetti oltre l’orizzonte della nostra azione per tracciare un solco, nell’auspicio che possa essere percorso nell’interesse dei più giovani.
Per essere ulteriormente allargato quel sentiero deve comprendere una forte propensione all’innovazione, un’attenzione specifica all’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, e strumenti capaci di aumentare la dimensione inclusiva della crescita.
Se vi chiedete che cosa sia la crescita inclusiva alla quale questi ultimi governi hanno prestato crescente attenzione, rileggete quell’articolo 3 della Costituzione che ho citato poc’anzi. Rileggiamo insieme il compito che ci assegna: “... rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che ...  impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Questo è il compito che attende chiunque avrà responsabilità di governo nei prossimi anni.

Cari studenti, care studentesse buon lavoro.

 

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