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Cambio di passo sulla tutela del risparmio (Testo di Roberto Garofoli)

Il Sole 24 Ore - 17/05/2017

Pubblichiamo l'intervento di Roberto Garofoli, Capo gabinetto del Ministro Padoan nei Governi Renzi e Gentiloni, Presidente di sezione del Consiglio di Stato, apparso sul Sole 24 Ore il 17 maggio 2017 nell'ambito dell'iniziativa #eurodibattito avviata dal quotidiano.

Il dibattito sull’euro non può prescindere dalle altre condizioni che rendono una Unione monetaria sostenibile nel lungo tempo. Tra queste figura certamente l’omogeneità delle regole di gestione del settore creditizio. L’Unione bancaria è stata varata con l’accordo politico raggiunto alla fine del 2013, nella generale soddisfazione ma anche con qualche riserva. Da allora l’Unione bancaria ha fatto progressi ma è lungi dall’essere completa. Un dibattito pubblico acceso ha suscitato la nuova disciplina delle modalità di gestione delle crisi bancarie nella parte in cui, con il principio del cosiddetto bail in, vieta salvataggi degli istituti di credito in dissesto fondati sul solo intervento pubblico, introducendo strumenti regolatori che impongono la cosiddetta condivisione degli oneri, con il coinvolgimento, a certe condizioni, dei creditori dell’ente (possessori di obbligazioni e depositi). Non poche le perplessità suscitate dalla nuova disciplina, in specie quelle - di recente riproposte dal Presidente della Consob Vegas - relative alla sua assunta applicazione retroattiva e all’assenza di un regime transitorio. Una discussione compiuta sull’attuazione della nuova disciplina e sulle più ampie implicazioni di sistema alla stessa connesse è cruciale perché il dibattito sull’euro possa considerarsi completo.

Sono note le ragioni sottese alla nuova regolamentazione, tra cui l’elevato costo che, per effetto dei salvataggi pubblici, ricade sui contribuenti; il rischio di moral hazard, insito in un sistema nel quale, a fronte di banche in crisi in conseguenza di ripetute violazioni dei criteri di sana gestione, sia comunque assicurato il bail-out; la consapevolezza della inadeguatezza delle procedure tradizionali di gestione delle crisi, maturata anche a seguito della vicenda Lehman Brothers, ove è emerso che una tempestiva riduzione del solo 15% del valore dei crediti senior non garantiti avrebbe evitato il dissesto e le maggiori perdite sofferte nella liquidazione. Con il passaggio alla nuova disciplina, il “creditore azzerato” perde non solo il diritto di credito, ma anche la possibilità di agire in sede concorsuale, non potendo soddisfarsi su eventuali attivi residui, come invece avverrebbe – almeno in astratto - nell’ipotesi di liquidazione. Se certo in Italia le implicazioni delle nuove regole sono state fin qui temperate con la previsione di misure di indennizzo automatico o di tutela risarcitoria, arbitrale o transattiva, le stesse hanno riproposto con forza il tema dell’adeguatezza delle vigenti forme di protezione del risparmio e dell’integrità del patrimonio dell’azienda bancaria. Il Governo ha provato a perseguire questi obiettivi fronteggiando i veri fattori di vulnerabilità del sistema bancario, costituiti dal non adeguato livello di capitalizzazione e dall’elevato stock dei prestiti deteriorati, aumentati di circa il 20% all’anno fino al 2014, con una riduzione nell’incremento a partire dal 2015 e un decremento dal 2016: sono state promosse forme di aggregazione nei settori delle banche popolari e del credito cooperativo, nonché introdotte misure di semplificazione delle procedure giudiziali (esecutive e concorsuali) per la riscossione dei crediti, in attesa della più organica riforma Rordorf.

E tuttavia le debolezze riscontrate nel sistema bancario, che pure sono principalmente conseguenza della severissima crisi economica che ha attraversato il Paese dal 2008 al 2014 (con una riduzione del Pil del 9% e della produzione industriale del 25%, un aumento dei disoccupati da 1,7 a 3,2 milioni, la chiusura di 480mila imprese, di cui 60mila fallite), hanno finito per imprimere un disvalore sociale ancor più marcato alle diffuse condotte improntate a infedeltà e conflitto di interessi, tanto più in considerazione del potenziale sacrificio dei creditori dell’ente in dissesto che la nuova disciplina impone.

Sul fronte sanzionatorio, improponibile essendo il ritorno all’applicazione dello statuto penale della pubblica amministrazione all’attività bancaria, ritenuta sin dal 1987 di tipo imprenditoriale dalla Cassazione, i più robusti dubbi di adeguatezza preventiva e repressiva sono emersi con riguardo ai diversi reati che – introdotti a tutela dell’azienda, anche bancaria - sono costruiti dal legislatore come “illeciti di danno”; con la conseguenza per cui, nell’addebitarli, non è sufficiente provare che siano state poste in essere condotte (pure gravi, reiterate e sistematiche) di abuso di gestione o violazione di regole di fedeltà, dovendosi accertare anche che si sia prodotto un pregiudizio spesso di tipo patrimoniale. Reati (gestione infedele, infedeltà patrimoniale, omessa comunicazione del conflitto d’interessi, corruzione tra privati), destinati, quindi, a rappresentare un presidio spuntato, perché spesso contestabili solo quando si sono già realizzate macerie finanziarie talvolta significative.

Da più parti è stata prospettata, quindi, l’opportunità di un cambio di passo nel sistema di tutela penale del risparmio, con la revisione delle indicate fattispecie e il superamento delle esposte criticità che non poco ne riducono la portata applicativa e l’attitudine preventiva e repressiva. In una prospettiva più ambiziosa, è stata proposta l’introduzione di una fattispecie che, sul modello di quella francese dell’“abus des biens sociaux”, non sia costruita attorno all’evento di danno, ma riconoscendo carattere di centralità all’elemento della grave violazione delle regole proprie della gestione ed erogazione del credito, così sanzionando la rottura (significativa o sistematica) del rapporto di lealtà che lega il “corrotto” o l'“infedele” all’ente che gestisce il risparmio altrui: si propone, così, il passaggio da una concezione “patrimonialistica” a una struttura “lealistica” dei reati contro la banca e il risparmio, nei quali quindi il bene giuridico protetto sia non il patrimonio dell’azienda ma, in forma molto più anticipata, la lealtà che si pretende da chi gestisce risparmi altrui.

Certo, il ricorso al diritto penale costituisce sempre l’extrema ratio sicché è necessario chiedersi fino a che punto le indicate esigenze di rafforzata protezione del risparmio non possano essere soddisfatte agendo sul versante della repressione amministrativa. Il tema dell’adeguatezza dell’odierno sistema di protezione del risparmio merita, tuttavia, di essere posto al centro del dibattito, anche politico e istituzionale.