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Intervista a Roberto Garofoli: “Il governo punta su occupazione e Sud”

Gazzetta del Mezzogiorno - 20/02/2016

di Michele Cozzi

Prof. Roberto Garofoli, pugliese, magistrato del Consiglio di Stato e codirettore nella Treccani Giuridica, è attualmente capo di gabinetto del ministro dell’Economia e delle Finanze; già segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri e presidente della commissione per l’elaborazione di misure di contrasto alla criminalità organizzata istituita dal Presidente del Consiglio: il suo ritorno a Bari ha un significato di attenzione al Sud?

«Con il rettore Uricchio e il professore Muscatiello inauguriamo i corsi di diritto penale e di diritto tributario dell'Università di Bari. Sono emozionato e al contempo felice di tornare nella mia Università, nella quale ho iniziato a formarmi ai tempi di Dell'Andro, proseguendo con il dottorato in diritto pubblico dell'Economia. Da qui bisogna partire per un progetto di rilancio del Sud».

Il Paese intravede la ripresa, ma non siamo ancora fuori dal tunnel. Che dice?

«La crisi che in questi lunghi anni ha attraversato il Paese non è stata (e non è) solo di tipo finanziario ma ha carattere strutturale ed attiene alla difficoltà del Paese di competere. Occorre allora affrontarla con un mix di misure di lungo e breve periodo, anche volte ad innalzare il potenziale di crescita e i livelli di produttività».

Il lavoro che non c’è è il problema più grave. Il job act sta mantendendo le attese?

«Dal 2007 il tasso di disoccupazione è più che raddoppiato. La disoccupazione giovanile è anch’essa più che raddoppiata: su 100 giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni che hanno o ricercano un lavoro, oltre 40 non riescono a trovarlo. Per il governo questa è una assoluta priorità affrontata in primo luogo con il meccanismo (che certo ha dato importanti risultati) della decontribuzione totale nel 2015 e parziale ma certo ancora significativa nel 2016».

Ma le cifre sul job act aprono diverse interpretazioni. Successo o mezza delusione?

«Sempre in una prospettiva di breve periodo, il governo è intervenuto con l'intento di stimolare gli investimenti, non solo pubblici, ma anche privati. Non se ne sta parlando molto ma nel 2016 investire in beni strumentali è un'opportunità che le imprese non dovrebbero lasciarsi fuggire. È consentito infatti ammortizzare un valore pari al 140% del costo del bene. Per le imprese del Sud questo beneficio si cumula con quello di un credito di imposta che ha una consistenza importante, fino al 20 %».

C’è un problema anche di qualificazione e di fondi alla ricerca. Su questo forse si sta andando un po’ piano. Che dice?

«Sono e saranno sempre più necessarie professionalità a più elevata qualificazione, ma anche una elevata capacità di adattamento al cambiamento delle esperienze di lavoro (non il “posto fisso”). Proprio questa consapevolezza ha indotto il governo ad intervenire sulle regole del mercato del lavoro, con l’articolato pacchetto del Jobs act, i cui effetti meritano di essere apprezzati e misurati in una prospettiva non di brevissimo periodo, al pari di ogni riforma di tipo autenticamente strutturale».

L’amministrazione pubblica. Secondo una scuola di pensiero lo Stato è ancora troppo pensante e ci vorrebbe una maggiore revisione della spesa. Su questo il governo cosa sta facendo?

«Di recente ha preso avvio il corposo pacchetto Madia con la riforma del settore delle società a partecipazione pubblica, degli appalti, delle conferenze, dei meccanismi di trasparenza, necessari per attenuare quel fenomeno corruttivo il cui contrasto deve continuare ad essere oggetto di un impegno determinato e costante di tutte le istituzioni e delle stesse imprese, cui va chiesta un maggiore coinvolgimento nella politica di prevenzione».

Sistema creditizio: è la vera patata bollente che potrebbe avere ripercussioni destabilizzanti sulla tenuta del Paese. Come pensate di agire?

«Il sistema italiano non ha fruito dei generosissimi aiuti pubblici di cui hanno goduto le banche in altri Paesi prima del 2013 (247 mld in Germania). Si è retto da solo il che non toglie che non si imponga un consolidamento e un rafforzamento. È quanto spiega l'impegno del governo nel mettere a punto gli interventi in tema di: Popolari, Fondazioni bancarie, procedure concorsuali, Bcc».

Il debito pubblico pesa enormemente sull’economia. Ma si fa poco per limarlo. Perché?

«Il nostro Paese ha un elevato debito pubblico e di questo dovrebbe esserci una più matura consapevolezza nel dibattito nazionale. Non si può credere quindi che la politica fiscale possa essere elaborata senza vincoli e regole. Al contempo si ha bisogno di politiche cautamente espansive attesa le caratteristiche del ciclo economico».

Il dibattito in Europa sulla flessibilità. Che possibilità abbiamo?

«È un dibattito che vede coinvolti tutti gli Stati non certo l’Italia da un lato e l'Europa tutta dall'altro. Occorre conciliare le due esigenze in modo da poter imprimere stimoli all’economia in un quadro tuttavia di stabilità finanziaria di medio termine. Rispettiamo quindi e rispetteremo le regole europee continuando tuttavia a far si che queste possano essere più efficaci per l' economia europea, oltre che per quella italiana. L'Italia ha a cuore che l'Europa riconosca assoluta centralità all'obiettivo di creare posti di lavoro e ricchezza, capitale umano e capitale sociale».