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Intervista al ministro Padoan: “Pensioni, pagheremo così”

Il Messaggero - 10/05/2015

di Andrea Bassi e Osvaldo De Paolini

Ministro Pier Carlo Padoan, dopo la sentenza della Consulta sul blocco delle pensioni sono circolate le cifre più disparate circa l'impatto sui conti pubblici, da 5 a 20 miliardi. Avete calcolato qual è il reale peso sul bilancio?
«Più che dare dei numeri voglio sottolineare che se si dovesse ripristinare totalmente l'indicizzazione sulle pensioni, l'Italia si troverebbe a violare simultaneamente il vincolo del 3%, l'aggiustamento strutturale e la regola del debito. Quest'ultimo, che sta iniziando a scendere, ricomincerebbe a salire, e la Commissione ci metterebbe immediatamente in procedura l'infrazione, sia per il deficit che per il debito. Con conseguenze per noi gravissime. Questo è il messaggio che forse non si è ancora capito».

Lei ha sostenuto che bisogna trovare una soluzione rispettosa della sentenza ma con un impatto contenuto sui conti. Come si tengono insieme queste due esigenze?
«Ciò che la sentenza della Corte dice è che le misure vanno prese tenendo conto della progressività e della temporaneità. E questo è esattamente il principio che ci sta guidando nel determinare un metodo che permetta di restituire una parte dell'indicizzazione, però con un criterio di gradualità, quindi tenendo conto delle fasce di reddito sia in termini di arretrati sia di trattamenti futuri. Ma allo stesso tempo occorre mantenere sostanzialmente intatta la struttura del Def».

Ed è possibile tutto questo?
«È possibile perché il Def era stato costruito avendo in mente un di più di risorse la cui destinazione, peraltro, era ancora da definire. L'utilizzo totale o parziale di quel di più di risorse permette di raggiungere questi obiettivi apparentemente in contrasto».

Lei allude al miliardo e seicento milioni del cosiddetto tesoretto che il governo si è riservato quale margine di deficit. In realtà l'asticella potrebbe essere portata più su, fino allo 0,5% del Pil, vale a dire 8 miliardi, rimanendo comunque sotto la soglia del 3%. Fino a che punto avete intenzione di spingervi?
«Sulle cifre per ora non dico altro. Stiamo ancora valutando tutte le strade possibili. Quello che posso aggiungere è che comunque questa scelta sarà definita molto presto. E sarà anche messa in pratica molto presto».

Quanto presto?
«Entro la prossima settimana il Consiglio dei ministri potrebbe già varare il provvedimento».

Un decreto?
«Sì. Meglio risolvere il prima possibile sia in termini di trattamento degli arretrati sia in termini di regime futuro. Anche perché la Commissione europea ci sta osservando attentamente riguardo a questa situazione».

In che modo verrà ripristinata l'indicizzazione?
«Non la ripristineremo totalmente. Lo faremo in modo parziale e selettivo. Progressività e temporaneità, come dice la Corte, vuol dire evidentemente che sono le pensioni più basse che devono essere protette più di quelle alte».

Quali saranno le fasce?
«Stiamo ancora lavorando e lo stiamo facendo alacremente. Poi però dovrà essere presa una decisione politica nel quadro di finanza pubblica».

Inaugurando l'anno accademico della Guardia di Finanza, lei ha ribadito l'impegno a ridurre la pressione fiscale. In realtà sui conti ci sono delle spade di Damocle che rischiano di aumentarla. A cominciare dal possibile incremento dell'Iva che dovrebbe essere disinnescato attraverso tagli di spesa per 10 miliardi. Da quanto emerge, ci sarebbero tuttavia difficoltà a raggiungere obiettivi di taglio così elevati. E vero che all'appello mancano almeno 4 miliardi?
«Sulla spending review stiamo lavorando con determinazione, in vista della prossima legge di stabilità. E posso dire con tranquillità che gli obiettivi aggregati saranno raggiunti e saranno migliorati i meccanismi con i quali la futura spesa sarà decisa».

Rivedrete anche detrazioni e deduzioni fiscali, le cosiddette tax expenditures?
«Queste costituiscono una voce importante nell'ambito della platea sulla quale si può esercitare la spending. Stiamo lavorando anche su queste».

Ministro, parliamo delle banche italiane. Le sue posizioni su bad bank e sofferenze bancarie le abbiamo ben chiare. E apprezziamo la sua fatica quotidiana di interloquire con la burocrazia di Bruxelles. Ciò detto, davvero il governo non ha nulla da rimproverarsi per non essere intervenuto quando ancora si potevano condizionare gli indirizzi sia europei sia della Bce in materia di credito e sistemi bancari?
«Io posso parlare solo per il governo di cui faccio parte. E vorrei ricordare che quando questo governo è entrato in carica i giochi erano già stati fatti. Cioè le regole europee che consentono o meno l'attivazione di misure tipo la bad bank erano state cambiate in senso fortemente restrittivo già nel 2013. Colta la delicatezza del problema, ci siamo mossi subito. Magari avrò altre colpe ma non quella di essermi mosso in ritardo sulle banche».

Sempre in tema di banche, c'è poi la questione del trattamento fiscale dei crediti svalutati, il peggiore in Europa, e quella della lunghezza dei tempi per il recupero crediti. Fino a quando non saranno risolti questi problemi, difficilmente le banche potranno contribuire con pienezza alla ripresa. Che tempi vi siete dati per risolverli?
«La questione delle sofferenze ha vari aspetti. Un conto sono i crediti in sofferenza, e qui stiamo lavorando per attivare rapidamente un mercato: come accade ovunque, è necessario favorire l'incontro tra domanda e offerta di questi asset. Lo Stato può intervenire direttamente o indirettamente. E qui dobbiamo superare le riserve della Commissione in tema di aiuti di Stato: l'entità del nostro intervento dipenderà da come si concluderà il negoziato in corso, particolarmente serrato».

E per quanto riguarda l'accelerazione del recupero crediti?
«Con il ministro Orlando stiamo lavorando a misure per le quali non c'è bisogno della luce verde di Bruxelles. Le modifiche alla normativa fallimentare, finalizzate a una forte accelerazione del recupero crediti da parte degli istituti, sono ormai a buon punto».

In che tempi pensate di risolvere il problema della cosiddetta bad bank, del trattamento fiscale dei crediti svalutati e delle disposizioni fallimentari?
«Penso in poco tempo, nel giro di poche settimane».

Possiamo dire entro giugno?
«Mi auguro di sì. Naturalmente è un processo complesso che ha aspetti che vanno vagliati con attenzione. La questione è matura, bisogna aiutare le banche a rientrare in carreggiata».

I problemi per le banche non finiscono però qui. La Vigilanza della Bce continua ad alzare l'asticella dei requisiti di capitale. Non le sembra che a Francoforte si stia esagerando? Molti banchieri si lamentano, e francamente non hanno torto.
«E' l'effetto dell'Unione Bancaria, ma vale anche quanto dicevo prima sulle regole in materia di aiuti di Stato. In passato banche di altri paesi hanno potuto beneficiare di un sostegno pubblico molto consistente, penso alla Germania il cui sistema bancario ha ricevuto centinaia di miliardi dallo Stato. Interventi fatti prima della nuova legislazione. Quello che sta avvenendo, e temo che in Italia ci si renda poco conto, è che c'è una forte accelerazione verso un nuovo regime nel quale tra le altre cose i requisiti di capitale sono più esigenti di prima. E questo vale per tutti. Tuttavia, le istituzioni europee devono prestare attenzione ai tempi di implementazione di questi nuovi requisiti, perché il cambiamento sta avvenendo in un contesto in cui la ripresa è ancora troppo fragile. È dunque una questione di dosaggio del cambiamento».

Le autorità italiane lo hanno capito. Ma non pare che il capo della vigilanza unica, la signora Danièle Nouy, sia dello stesso avviso, visto che non perde occasione per replicare ai nostri banchieri che l'unico interesse della Bce è la stabilità del sistema bancario europeo.
«Non commento le dichiarazioni della signora Nouy che non ho sentito. Il dibattito però continua. E penso che nessuno desideri creare delle fragilità indotte da errori di politica economica».

In settimana lei ha incontrato il ministro greco Varoufakis. Ultimamente è considerato una sorta di reietto in Europa, lasciato un po' ai margini delle trattative. È davvero così?
«Dico subito che è assolutamente in carica e non reietto. Con lui ho un ottimo rapporto. E' una persona molto simpatica e gradevole. Ma non è questo il punto. Il punto è che da questo incontro ho avuto l'impressione che in Grecia c'è consapevolezza crescente che il tempo sta finendo. Ma traspare che anche il Paese sta vivendo un momento delicato. Il governo Tsipras sta dunque agendo su due fronti: quello europeo per trovare l'accordo e quello interno per trovare consensi all'accordo. Questo è emerso chiaramente dal colloquio con il ministro greco».

In virtù di quel colloquio, se lei dovesse fare una previsione, che tempi dà alla realizzazione di un accordo definitivo?
«I tempi sono condizionati da variabili esogene. Sono commisurati alla capacità della Grecia di rimborsare i debiti e nello stesso tempo pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici. Sono tempi molto stretti. La buona notizia è che ci dicono che a livello tecnico la discussione ha avuto una forte accelerazione».

Per l'estate potremmo avere alle spalle il caso Grecia?
«L'estate comincia il 21 giugno. Speriamo di raggiungere un accordo prima di quella data».

Non le fa rabbia, come cittadino italiano, il fatto che l'Italia prima ha sostenuto finanziariamente altri Paesi in crisi e ora registra tanta resistenza sul fronte delle sue banche?
«Non c'è rabbia. Perché le risorse messe nel fondo salva-Stati sono risorse messe non tanto per la Grecia in quanto tale, ma per gestire le crisi nell'ambito dell'Unione Bancaria. Certo, lo strumento potrebbe essere usato meglio. Ma non ho sensazioni di rabbia, ho invece un grande desiderio di accrescere la fiducia reciproca in Europa. E' questo il punto centrale».

Lei ha sempre sostenuto che l'Italia ha davanti a sé una finestra di opportunità per fare le riforme e che questa finestra non sarà tuttavia eterna. Quando si chiuderà?
«Se uno dovesse guardare i dati - il prezzo del petrolio è tornato a crescere, i tassi stanno risalendo e l'euro si sta rafforzando - ebbene, se uno volesse fare il gufo, cosa che non voglio assolutamente fare, direbbe che si sta già richiudendo. Questi segnali sui mercati finanziari dicono che non bisogna perdere un solo istante per intensificare lo sforzo di riforma. Ed è quello che sta facendo il governo Renzi tra mille ostacoli».

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