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Audizione del Ministro Ciampi alla Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera dei Deputati

03/03/1999

Roma, 03 marzo 1999

AUDIZIONE DEL MINISTRO CIAMPI ALLA COMMISSIONE AFFARI ESTERI E COMUNITARI DELLA CAMERA DEI DEPUTATI

Sono lieto di intervenire ai lavori di questa Commissione per gli Affari Esteri e comunitari sul tema delle istituzioni finanziarie internazionali e sul potenziamento del sistema di Bretton Woods. La serie di difficoltà che sta attraversando l'economia mondiale da circa due anni rende questo tema particolarmente attuale. Esso domina l'agenda dei principali consessi internazionali, a cominciare dal G7, che lo ha affrontato anche in occasione dell'ultima riunione tenutasi a Bonn il 20 febbraio scorso.
Il mio intervento introduttivo è volto soprattutto all'attività del Fondo Monetario Internazionale ed alle misure adottate per affrontare le crisi finanziarie e per riformare il sistema finanziario internazionale. Darò conto delle riflessioni sviluppate nei maggiori fori internazionali. In una nota allegata riferirò sull'attività delle banche internazionali e dei fondi di sviluppo, con riguardo anche al contributo italiano per una maggiore efficacia dell'azione di queste istituzioni, e con riferimento al problema del debito dei PVS. Sarò poi ben lieto di rispondere alle Vostre domande.
Tra le istituzioni di Bretton Woods, il Fondo Monetario Internazionale è forse quella che nel corso degli anni ha visto modificare maggiormente la propria missione dal mutamento del contesto economico internazionale. Al FMI i padri fondatori avevano assegnato un compito ben definito: preservare il sistema dei cambi fissi, anche con finanziamenti a breve diretti a compensare temporanei squilibri delle bilance dei pagamenti dei Paesi aderenti. Il sistema ha funzionato, secondo queste linee direttrici, per quasi trenta anni, anche grazie alla limitata mobilità dei capitali.
Nei primi anni settanta, in un contesto di crescente mobilità dei capitali e di politiche economiche divergenti, particolarmente in risposta agli shocks petroliferi, il sistema dei cambi fissi è venuto meno. L'azione del Fondo si è quindi rivolta a sostenere le politiche di aggiustamento dei paesi che registravano squilibri macroeconomici e difficoltà gravi di bilancia dei pagamenti.
L'esercizio di questo nuovo ruolo ha richiesto la creazione di nuovi meccanismi finanziari e l'aumento delle risorse.
Le quote del Fondo sono state aumentate in diverse riprese, l'ultima delle quali ha avuto attuazione nel mese scorso e ha permesso di portarne il livello complessivo a DSP 212 miliardi con un incremento del 45 per cento, rispetto al livello precedente.
Al potenziamento delle tradizionali risorse provenienti dall'aumento delle quote si è aggiunto l'ampliamento di quelle messe a disposizione del Fondo su base bilaterale da parte dei paesi industrializzati e di quelli emergenti. In particolare, per meglio soddisfare il fabbisogno di finanziamento nei periodi di particolare crisi del sistema economico internazionale si è istituito un nuovo meccanismo finanziario, il New Arrangements to Borrow (NAB), che ha consentito di raddoppiare le risorse messe a disposizione del Fondo dal GAB, creato nel 1962, portandole in totale a DSP 34 miliardi.
A queste nuove disponibilità si è già fatto ricorso nei mesi scorsi.
In occasione dell'ultima crisi finanziaria del Brasile la comunità internazionale ha varato un pacchetto di finanziamenti del valore di 41 miliardi di dollari, a sostegno di un programma triennale di aggiustamento. Il contributo del FMI è pari a $ 18.1 miliardi nell'arco del triennio, mentre il ricorso ai finanziamenti su base bilaterale ammonta a $ 14,5 miliardi. Al "pacchetto" l'Italia partecipa con una quota di $ 830 milioni; su questo importo il Tesoro ha prestato garanzia attraverso un decreto legge la cui conversione è stata approvata ieri dalla Camera dei Deputati.
Il Fondo viene spesso criticato per la scarsa attenzione che presterebbe alle esigenze di protezione sociale nei programmi di aggiustamento che ricevono il suo sostegno. In proposito non bisogna dimenticare che accanto al FMI opera sin dall'origine la Banca Mondiale, la quale è la consorella del Fondo, creata nello stesso momento perché si avesse una divisione dei compiti: il Fondo assumesse la responsabilità di appoggiare le politiche di stabilizzazione e la Banca quella di promuovere i programmi di sviluppo economico e sociale. Per quanto riguarda il Fondo si impongono ad ogni modo alcune considerazioni.
In primo luogo, esso è di solito chiamato ad intervenire a sostegno del paese in difficoltà allorquando la crisi finanziaria è già in atto e gli squilibri economici hanno raggiunto dimensioni tali da non essere facilmente correggibili. In queste circostanze le misure correttive che si richiedono per riportare il paese sul sentiero di una crescita sostenibile non possono non avere un notevole impatto sull'economia e quindi sulla società. E' pur vero che il Fondo sviluppa una vigilanza preventiva con una attività continua di sorveglianza, ma con possibilità di intervento limitato alla "moral suasion".
In secondo luogo, i programmi di aggiustamento sono il frutto di un accordo tra il Fondo e le autorità del paese in difficoltà. Una volta raggiunto l'accordo sugli obbiettivi di aggiustamento da realizzare, il paese dispone di una sufficiente discrezionalità nella scelta degli strumenti d'intervento, i quali tuttavia devono rispondere a criteri tecnici di efficacia in rapporto agli scopi da raggiungere.
Terza considerazione: nel corso degli anni è cresciuta l'attenzione che il Fondo presta, nel contesto dei programmi di aggiustamento, alla salvaguardia di quelle componenti della spesa pubblica che hanno un maggior impatto sociale, in particolare l'istruzione e l'assistenza sanitaria di base. In questo orientamento, l'azione del Fondo è integrata dagli interventi della Banca Mondiale, al fine sia di mitigare l'impatto delle misure di austerità sui ceti più deboli della popolazione, sia di migliorare i sistemi di protezione sociale, specialmente nel concentrare l'assistenza sui più bisognosi e nell'accrescere l'efficienza della spesa. Bisogna tuttavia riconoscere che non sempre i paesi in difficoltà si sono mostrati pronti nell'accogliere i suggerimenti ricevuti.
Il rafforzamento del sistema finanziario internazionale: i termini del problema
Le crisi verificatesi nell'ultimo biennio hanno mostrato con evidenza l'esigenza di procedere rapidamente al rafforzamento dell'architettura del sistema finanziario internazionale. In questo compito si pongono in particolare due problemi:

  • l'uno riguarda la natura degli interventi da svolgere, soprattutto nei paesi emergenti, ma anche in quelli sviluppati, sede dei principali mercati finanziari mondiali;
  • l'altro concerne la selezione delle procedure e delle istituzioni alle quali va assegnato il mandato di promuovere e gestire il cambiamento.

La natura degli interventi deve essere rispondente ai fattori all'origine della crisi finanziaria. Il Fondo è oggi oggetto di critiche che gli contestano di non aver saputo diagnosticare tempestivamente le cause che hanno condotto alle crisi e di non avere agito in misura adeguata alle dimensioni delle crisi stesse. Altre critiche, più radicali, mettono in dubbio l'opportunità di un soccorso finanziario internazionale, in quanto l'aspettativa dell'intervento asseconderebbe tra i finanziatori privati comportamenti poco coerenti con un'attenta valutazione del merito di credito del paese.
Non vi è dubbio che vi sia un rischio di "azzardo morale" nella logica stessa che presiede all'attività delle istituzioni finanziarie internazionali. Questo rischio può essere ridotto rafforzando in primo luogo la trasparenza nell'informazione che i Governi danno al Fondo Monetario e ai mercati sullo stato dell'economia dei loro paesi; in secondo luogo colmando quelle lacune nella vigilanza e nella regolamentazione prudenziale che contribuiscono al formarsi delle crisi finanziarie; e infine coinvolgendo in misura maggiore i creditori privati nel sopportare l'onere delle ristrutturazioni del debito, quando sono necessarie.
Qualche progresso in tal senso è stato compiuto nella gestione della recente crisi del Brasile. L'azione di coordinamento del Fondo e la pressione esercitata dalle autorità nazionali hanno contribuito a realizzare un parziale rifinanziamento dei prestiti privati a breve, evitando che il finanziamento pubblico dall'estero andasse interamente a rimpiazzare i crediti privati dall'estero.
Una causa delle crisi è il comportamento degli investitori privati: flussi di capitale di dimensioni enormi sono stati canalizzati su alcuni paesi per essere bruscamente ritirati all'apparire dei primi sintomi di instabilità. Questo comportamento è stato in parte indotto dalla carenza di informazioni chiare e accurate sullo stato dell'economia, dalla mancanza di una vigilanza adeguata sui mercati e sulle istituzioni finanziarie e di una efficace legislazione sul diritto societario e fallimentare. Vi è stata anche una tendenza degli investitori, in particolare di quelli istituzionali, a perseguire strategie basate sulla replica di indicatori di benchmark e a imitare investitori di successo senza procedere a un'adeguata analisi delle condizioni e senza una attenta valutazione dei rischi inerenti al credito concesso (cosiddetto "herding behaviour").
Questi "fallimenti del mercato" ripropongono la necessità di un'azione internazionale che preservi il bene pubblico della stabilità del sistema finanziario internazionale. È necessario in particolare individuare le azioni concrete di "public policy" idonee a conciliare efficienza allocativa e stabilità del sistema.
Per quattro aree soprattutto è necessario fare progressi a livello internazionale:

  1. il perfezionamento di standard universalmente accettati per ottenere, per i singoli paesi, trasparenza d'informazione sulle attività finanziarie, per il monitoraggio delle istituzioni d'investimento e per la vigilanza bancaria;
  2. lo sviluppo di reti di sicurezza finanziaria che, pur salvaguardando la stabilità del sistema, non offrano coperture indiscriminate a intermediari finanziari colpevoli di cattiva gestione dei rischi;
  3. il consolidamento dei mercati di capitali dei paesi emergenti;
  4. l'adozione di regimi dei cambi coerenti con gli andamenti fondamentali dell'economia.

Per quanto riguarda il primo punto, la crisi asiatica ha mostrato la forte propensione del settore privato in molti paesi emergenti all'indebitamento verso l'estero. Di qui l'urgenza di una più accurata raccolta e diffusione di informazioni sulla posizione del settore bancario e societario e sulla loro esposizione al rischio di cambio. Nella stessa ottica i paesi vanno sollecitati a fornire informazioni esaurienti e tempestive sui più importanti fenomeni monetari e finanziari.
Relativamente al secondo punto, tradizionalmente la rete di sicurezza finanziaria ha avuto come finalità la protezione dei piccoli risparmiatori e la preservazione dell'integrità dei sistemi finanziari e di pagamento. Nel continuare a perseguire queste finalità occorre evitare di sottrarre le singole banche, il loro management e i loro azionisti alle conseguenze del loro operato, esentandoli di fatto dalla possibilità di fallimento. In questo campo la crisi asiatica ha mostrato gravi carenze. E' emersa la mancanza di strumenti affidabili di protezione dei depositanti e di istituti efficaci e trasparenti per la prevenzione e la risoluzione delle crisi bancarie. In assenza di tali strumenti le autorità si sono trovate a dover estendere garanzie indiscriminate a banche ed intermediari colpiti dalla crisi, esacerbando in tal modo il rischio di "moral hazard".
Per quanto attiene al terzo punto, l'esperienza recente ha mostrato che condizione pregiudiziale dell'apertura del mercato finanziario interno al capitale estero deve essere il consolidamento delle strutture del mercato stesso.
E' responsabilità delle autorità edificare solide strutture istituzionali e norme che disciplinino il comportamento degli operatori di mercato.
Non sempre l'azione delle istituzioni finanziarie internazionali in questo campo è risultata incisiva. Le ragioni sono diverse, ma fattore determinante è non di rado le remore delle autorità nazionali a fronte di sollecitazioni esterne in settori particolarmente sensibili, come quello delle banche. Le riforme più "scomode" possono tuttavia essere intraprese all'indomani di una crisi, quando la resistenza delle forze contrarie al cambiamento è indebolita dal ricordo ancora vivo dei costi dell'inazione.
Riguardo all'adeguatezza della politica dei cambi seguita nei paesi in difficoltà, va sottolineato che le ultime crisi finanziarie hanno avuto luogo in paesi caratterizzati da un'elevata rigidità dei cambi, generalmente agganciati al dollaro statunitense.
La crisi asiatica ha dimostrato ancora una volta che la difesa di un determinato livello di tasso di cambio può avere successo solo se si dispone di margini di flessibilità sul fronte delle altre politiche e dei settori sui quali ricade gran parte dell'onere dell'aggiustamento, particolarmente la politica dei redditi e quella del pubblico bilancio. E' altresì necessaria una forte vigilanza sui livelli dell'indebitamento estero del sistema bancario e delle imprese. Sono questi gli elementi che erano deboli nei paesi entrati in crisi.
Quanto al problema delle istituzioni che devono presiedere al potenziamento dell'architettura del sistema finanziario internazionale, i recenti eventi sottolineano l'importanza di migliorare il dialogo tra le autorità nazionali e le IFI, in particolare il FMI e la Banca Mondiale, e di ottenere un migliore coordinamento dell'azione di queste istituzioni.
Le linee di intervento e le iniziative in corso
Di fronte alla complessità dei problemi che ho tratteggiato, è stata avviata una strategia d'intervento che si sviluppa lungo una pluralità di linee direttrici tra loro interconnesse e che vede impegnati diverse sedi e istituzioni internazionali e gruppi di paesi, con in prima linea il Gruppo dei 7 nel ruolo di promotore di iniziative e sede di catalisi di più ampi consensi tra i paesi.
Le principali linee d'intervento riguardano:

  1. i codici di condotta e gli standards per le politiche macroeconomiche e di struttura;
  2. la trasparenza dell'informazione sulle condizioni economiche e finanziarie dei paesi;
  3. la regolamentazione e la vigilanza del sistema finanziario;
  4. il coinvolgimento degli investitori e creditori stranieri nella soluzione delle crisi debitorie dei paesi;
  5. un riesame delle condizioni per l'apertura dei mercati finanziari nazionali dei paesi emergenti;
  6. il rilancio dell'Interim Committee del FMI;
  7. il varo di un nuovo meccanismo finanziario in funzione di prevenzione delle crisi paese.

Su ciascuno di questi fronti il lavoro è già iniziato e in alcuni casi si sono compiuti progressi significativi. In materia di politica di bilancio sono stati messi a punto codici di condotta e standards. Un approccio analogo è in via di completamento per la politica monetaria. In diverse sedi internazionali, quali il G22, la BRI, l'OCSE, lo IOSCO, si è lavorato per definire norme di "best practices" e standards in materia di governo societario, contabilità di bilancio, procedure fallimentari e sistemi di pagamento. È essenziale che queste regole trovino applicazione nella larga maggioranza dei paesi, inclusi i centri finanziari off-shore.
Sul fronte della trasparenza di informazione è divenuto operativo il programma del FMI "Special Data Dissemination Standards", che prevede la tempestiva diffusione dei principali dati economico-finanziari dei paesi partecipanti. È necessario che questo programma sia adottato da tutti i paesi membri del FMI e sia esteso nei contenuti per includere dati sull'andamento delle riserve internazionali, sull'indebitamento verso l'estero e sulla sua composizione. Sono altresì oggetto di considerazione iniziative per una maggiore trasparenza sia per le attività delle istituzioni finanziarie private, particolarmente degli istituti d'investimento ad elevata leva finanziaria (hedge funds), sia per i programmi d'intervento del FMI.
In tema di vigilanza sul sistema finanziario, il gruppo di lavoro stabilito dal G7 e presieduto dal governatore della Bundesbank, Tietmeyer, ha completato l'esame degli strumenti idonei a rilanciare la cooperazione e il coordinamento tra paesi. Nel rapporto preparato dal Gruppo e presentato al G7 dei Ministri finanziari tenuto a Bonn il 20 febbraio scorso, si sottolinea la necessità di stabilire procedure armonizzate tra paesi per identificare in anticipo i fattori di vulnerabilità dei sistemi finanziari nazionali e internazionali. Si rilevano in particolare lacune nella regolamentazione; esse vanno colmate, definendo regole e standards che trovino applicazione su base internazionale e con riferimento a tutti i tipi di istituzioni finanziarie. Bisogna altresì assicurare un costante scambio di informazioni tra le autorità e istituzioni responsabili per la vigilanza, in considerazione del fatto che se le diverse autorità nazionali e le istituzioni internazionali operano su singoli segmenti del sistema, nessuna di esse dispone di un'informazione globale e di capacità tali da permettere loro di valutare adeguatamente i rischi finanziari emergenti.
In questa prospettiva, il G7 ha discusso le implicazioni derivanti dal Rapporto del Gruppo ed ha accolto la proposta di creare un Foro per la Stabilità Finanziaria. Il Foro radunerà le istituzioni nazionali ed internazionali, responsabili per la stabilità del sistema, la regolamentazione e la supervisione finanziaria, le IFI ed esperti, con il mandato di valutare periodicamente i problemi di vulnerabilità del sistema finanziario internazionale, e di identificare e coordinare gli aggiustamenti da introdurre. La prima riunione del Foro è prevista nella prossima primavera. Questo nuovo strumento di cooperazione nel definire standards di regolamentazione e nel coordinare e monitorare le istituzioni, concorrerà a contenere i rischi sistemici attraverso un migliore coordinamento delle istituzioni.
Il Forum si avvarrà di un segretariato da istituire a Basilea presso la BRI. A Basilea, come è noto, opera da anni il Comitato sulla vigilanza bancaria, impegnato nel monitoraggio dell'applicazione dei "principi di base" concordati tra i paesi in materia.
Per ottenere un maggiore coinvolgimento del settore finanziario privato nella soluzione delle crisi debitorie si sta sviluppando a Washington presso il FMI l'analisi di possibili nuovi meccanismi, avviata col recente Rapporto del G-22. Contemporaneamente si sta conducendo una revisione della politica del Fondo di concedere prestiti a paesi con arretrati di pagamento sul debito internazionale, ma impegnati in un serio sforzo di aggiustamento. Nella stessa sede è in corso un riesame dei criteri da seguire per giungere nei paesi emergenti a un processo di liberalizzazione dei movimenti di capitale che non comprometta la loro stabilità finanziaria.
Un tema che mi riguarda da vicino, nella mia qualità di presidente del Comitato Interinale del FMI, è quello del rafforzamento del ruolo del Comitato stesso. Si avverte il bisogno, da un lato, di un maggiore coordinamento delle istituzioni di Bretton Woods fra di loro e con le altre istituzioni multilaterali; e dall'altro lato, di un maggiore coinvolgimento dei paesi che più abbisognano di riformare le loro strutture finanziarie.
Il FMI ha un mandato ampio e indiscusso nella vigilanza sui sistemi economici e finanziari dei paesi membri; ma il compito di analizzare e di sviluppare a livello internazionale criteri di supervisione bancaria, standard contabili, regole di governo societario, procedure fallimentari risiede in altre sedi.
Le recenti crisi hanno reso viva l'esigenza di portare questi compiti sotto un ombrello comune. Questo luogo istituzionale deve soddisfare simultaneamente tre esigenze: essere tale da permettere un efficace coordinamento a livello politico delle attività svolte dalle diverse organizzazioni internazionali nell'ambito dei loro mandati; rendere possibile il coinvolgimento diretto anche di quei paesi emergenti che maggiori benefici trarrebbero dall'introduzione nei loro sistemi finanziari delle "pratiche" dei paesi industriali avanzati; assicurare la legittimazione politica internazionale delle deliberazioni che ivi vengono adottate.
Il Comitato Interinale pare soddisfare meglio di altri fori queste esigenze.
Le recenti crisi finanziarie hanno altresì messo in evidenza il rischio di una carenza di copertura politica per le decisioni del FMI. Secondo alcuni, una risposta potrebbe consistere nel trasformare il Comitato Interinale in Consiglio dei Ministri con maggiori poteri decisionali, sia di indirizzo sia di verifica dell'opera del Fondo. Questa soluzione tuttavia richiederebbe probabilmente una ridefinizione dei ruoli di altre componenti istituzionali del sistema di Bretton Woods.
Su tutte queste possibili innovazioni nell'architettura del sistema finanziario internazionale la discussione è in corso. I prossimi incontri dei Ministri del tesoro del G-7 e dello stesso Comitato Interinale costituiranno occasione di chiarimento e forse di risoluzione.
Un'altra linea d'intervento per la prevenzione delle crisi debitorie sta prendendo forma con l'istituzione presso il FMI di un nuovo meccanismo finanziario a breve termine, la Contingency Credit Line. Questo strumento, che è nella fase finale di messa a punto, dovrebbe servire a contenere il rischio di propagazione delle crisi finanziarie a paesi che seguano appropriate politiche di aggiustamento.
La strategia di rafforzamento del sistema internazionale trova un altro punto di forza nel rilancio delle attività della Banca Mondiale. Con il piano "Strategic Compact", approvato nel 1997, si è inteso accrescere l'efficacia degli interventi nei PVS in relazione agli obbiettivi centrali di riduzione della povertà, di integrazione della dimensione sociale nei programmi di aggiustamento e di sviluppo del capitale umano. Risultati incoraggianti si stanno ottenendo, introducendo strumenti di misurazione dell'effettivo impatto degli interventi della Banca in rapporto a questi obbiettivi ed intensificando la collaborazione con le altre organizzazioni attive nel sostegno dei PVS.
Principio ispiratore di questa strategia è che gli aspetti macro-economici e finanziari, responsabilità del FMI, e quelli strutturali, sociali e umani, punto di riferimento per la Banca Mondiale, sono da considerare come due facce inscindibili dello sviluppo. In questa logica, la Banca Mondiale sta lavorando su un nuovo strumento di coordinamento delle attività a favore dei PVS. Si tratta di una vera e propria "matrice dello sviluppo", le cui righe e colonne indicherebbero, da un lato, i requisiti strutturali, infrastrutturali e sociali necessari per ottenere uno sviluppo sostenibile e, dall'altro lato, gli attori principali chiamati ad intervenire nel processo di sviluppo: i governi, le istituzioni internazionali, la società civile e il settore privato. Realizzata correttamente, questa matrice potrebbe consentire una visione strategica degli obbiettivi, delle priorità e della distanza da colmare in rapporto alla situazione in cui il singolo paese versa.
Si è altresì provveduto a potenziare gli strumenti finanziari della Banca Mondiale, in particolare con la recente introduzione di una "emergency facility" diretta ad accrescere le risorse da destinare alla protezione dei gruppi sociali più vulnerabili nei paesi in crisi e alla ristrutturazione del loro settore finanziario.
Sulla partecipazione dell'Italia all'azione delle banche e dei fondi di sviluppo riferisco nell'allegato che lascio agli atti. Desidero soltanto richiamare il problema dell'iter parlamentare dei provvedimenti finanziari che permettono all'Italia di ottemperare agli impegni presi con le banche e i fondi di sviluppo.
Dal quadro che ho brevemente tracciato emerge con evidenza che ci troviamo davanti a un'agenda densa di lavori e di iniziative e con grandi aspettative sui risultati occorre conseguirli in tempi brevi. Assumendo la presidenza del Comitato Interinale mi sono impegnato a contribuire al raggiungimento di soluzioni adeguate che migliorino la stabilità del sistema finanziario internazionale e rafforzino il ruolo del Comitato nel governo del sistema. È mia ferma intenzione tenere fede a tale impegno.

ALLEGATO
L'ITALIA E LE BANCHE E I FONDI DI SVILUPPO

A. Osservazioni generali

La cooperazione italiana con le istituzioni multilaterali per lo sviluppo segue tre linee direttrici, corrispondenti ai tre gruppi di organismi internazionali cui l'Italia contribuisce finanziariamente:

  • le Banche e i Fondi di Sviluppo;
  • l'attività di cooperazione allo sviluppo dell'Unione Europea;
  • gli organismi internazionali delle Nazioni Unite.

L'aiuto fornito attraverso le istituzioni multilaterali è strumento efficace di cooperazione allo sviluppo: concentra i flussi di risorse provenienti dai vari paesi donatori e rende possibile la realizzazione di iniziative che un singolo Paese non sarebbe in grado da solo di sostenere.
L'istituzione più importante in questo settore è la Banca Mondiale. A questa si affiancano le Banche regionali, a cui se ne aggiungerà presto una nuova, la Banca per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo del Medio Oriente e Nord Africa (MENA Bank). Le loro aree di maggior intervento riguardano la riduzione della povertà, la tutela dell'ambiente, lo sviluppo del settore privato, la creazione di un adeguato settore finanziario, lo sviluppo della capacità di governo e il ruolo delle donne nel processo di sviluppo.
Pur essendo formalmente legati al perseguimento di questi obbiettivi, spesso i prestiti concessi ai paesi colpiti dalla crisi hanno avuto la natura di operazioni di sostegno alle riserve valutarie di questi paesi. Il caso più emblematico è stato quello della Corea, paese rispetto al quale la Banca Mondiale si è impegnata complessivamente per 10 miliardi di dollari. La Banca ha accettato di svolgere questo ruolo perché i deficit da finanziare erano di dimensione notevole e la Banca poteva contribuire attingendo alla sua capacità di raccolta di fondi sul mercato.
L'esperienza recente ha però mostrato che una partecipazione delle Banche di Sviluppo ad operazioni di sostegno della liquidità può avere serie ripercussioni sulla loro posizione reddituale e finanziaria, e sulla esposizione ai rischi con la conseguenza aggiuntiva di rendere necessario un ridimensionamento delle forme di intervento più tradizionali.
E', tuttavia, innegabile che con gli interventi di sostegno alla liquidità, eseguiti nei mesi scorsi, le Banche di Sviluppo abbiano assolto un'importante funzione di stabilizzazione, contribuendo a evitare l'ulteriore propagarsi della crisi finanziaria e a limitare le conseguenze della crisi sui gruppi più vulnerabili della popolazione.
Ad esempio, la Banca Mondiale ha sottolineato la dimensione umana e sociale della crisi nel suo dialogo con i governi, con le altre istituzioni multilaterali e bilaterali e le ONG. La sua preoccupazione si è tradotta in azioni concrete volte a salvaguardare la spesa pubblica per i ceti più poveri, a migliorare la qualità dei servizi sociali, a rafforzare i sistemi di assistenza per i disoccupati e gli anziani. A titolo esemplificativo, un prestito di aggiustamento strutturale di due miliardi di dollari a favore della Corea prevede misure di protezione sociale e l'estensione dello schema di assicurazione contro la disoccupazione anche ai dipendenti delle piccole imprese.

  1. La Banca Mondiale e le iniziative connesse

La Banca Mondiale sta attraversando una fase di profondo rinnovamento dei suoi metodi operativi ed organizzativi, che si compendia nello "Strategic Compact", approvato dal Consiglio di Amministrazione nel marzo 1997.
Si tratta di un piano per una fondamentale riforma della Banca, volta ad accrescere l'efficacia dei suoi interventi soprattutto in relazione all'obbiettivo centrale - la riduzione della povertà. Si vuole rendere l'organizzazione più agile, flessibile e decentralizzata. Nell'arco di trenta mesi, si attuerà una serie di riforme destinate a trasformare il suo modo di operare, semplificando le procedure, abbassando i costi, accentuando la sensibilità e la capacità di risposta alle esigenze dei beneficiari, accrescendo l'impatto sul processo di sviluppo dei PVS.
Su quest'ultimo punto, si segnala che è stato costituito un Comitato del Consiglio di Amministrazione con il compito di analizzare i risultati effettivamente conseguiti con i progetti finanziati e di vigilare sulle misure adottate dalla direzione in risposta ai rilievi e alle raccomandazioni del dipartimento per la valutazione delle operazioni.
L'Italia ha attivamente partecipato alla discussione per la definizione delle aree di intervento e dato il proprio sostegno all'adozione dello "Strategic Compact"
Tra le diverse iniziative della Banca, due rivestono particolare importanza nel contesto attuale dell'economia mondiale: l'una a favore dei paesi poveri fortemente indebitati e l'altra per la tutela dell'ambiente. La prima iniziativa, la cosiddetta HIPC (Heavily Indebted Poor Countries), è stata lanciata congiuntamente con il FMI nel 1996 e ha per scopo la riduzione per i paesi a più basso reddito pro-capite del peso del debito in rapporto al PIL. In questo processo si tende inoltre a incentivare l'impiego delle risorse liberate dal servizio del debito in direzione di progetti a carattere sociale (in particolare, nei settori dell'istruzione e della sanità) e per la promozione del capitale umano.
Nei primi due anni di attuazione dell'Iniziativa HIPC (1996-98), i consigli d'amministrazione della Banca Mondiale e del FMI hanno discusso l'eleggibilità di 12 paesi. Sette di questi hanno già raggiunto il decision point e due il completion point. Un gran numero di paesi, alcuni dei quali in situazioni di conflitto, deve ancora essere preso in considerazione.
Il costo dell'iniziativa è valutato in 9,4 miliardi di dollari USA nel 1998 e risulta pressoché ugualmente suddiviso tra creditori bilaterali (49%) e multilaterali (51%). Per integrare le risorse messe a disposizione da Banca Mondiale, FMI e Banche multilaterali di sviluppo, diversi paesi hanno contribuito all'HIPC Trust Fund costituito presso la Banca Mondiale per un totale di 217 milioni di dollari. Altri paesi si sono impegnati a contribuire entro il 1999 per ulteriori 150 milioni di dollari.
Attualmente sono in corso consultazioni all'interno del G-7 per definire una proposta di miglioramento dell'iniziativa HIPC, che dovrebbe essere varata nel prossimo vertice di Colonia. Si sta esaminando, in particolare, la possibilità di allargare i criteri di eleggibilità dei paesi, rivedere i termini della condizione di sostenibilità del debito ed accorciare la durata dei periodi che devono precedere l'effettivo esborso dell'aiuto.
Un potenziamento dell'iniziativa comporterà maggiori contribuzioni bilaterali ed implicherà, in linea con il principio di equa ripartizione dell'onere tra tutti i creditori, un aumento del contributo dei creditori multilaterali.
L'Italia ha dato fin dall'inizio il suo sostegno all'iniziativa, comportandosi in maniera conseguente nei negoziati di ristrutturazione del debito al Club di Parigi e nelle opportune sedi multilaterali.
Si ricorda che in passato il nostro paese ha già operato la cancellazione di alcuni crediti bilaterali. Inoltre, nel novembre del 1998 il Ministero del Tesoro ha costituito presso la Banca Mondiale un Trust Fund di 30 mld. (residui della L. 173/1990) da utilizzare per l'iniziativa della Banca Mondiale sopra indicata. Il primo, cospicuo, trasferimento di fondi, di 12 ml. Di US$, è stato effettuato a favore del Central America Emergency Trust Fund (CAETF), istituito presso la Banca Mondiale, nel gennaio 1999.
Per quanto riguarda i programmi futuri si prevede l'impegno a fornire nuove risorse:

  1. sul piano multilaterale, per permettere al nostro paese di partecipare all'esercizio di copertura di parte del debito verso enti multilaterali. Si renderà necessario uno stanziamento ad hoc, da approvarsi con la prossima legge finanziaria, che permetta una partecipazione italiana all'HIPC Trust Fund costituito presso la Banca Mondiale.
  2. Sul piano bilaterale, è in fase di studio una proposta di iniziativa per una moratoria decennale sul servizio del debito di origine commerciale, da realizzarsi di concerto con il Ministero degli Affari Esteri. L'elaborazione di tale proposta dovrà tenere conto delle iniziative di altri paesi del G-7, per poter raggiungere possibilmente una proposta unitaria da presentare al vertice di Colonia.

Le iniziative della Banca Mondiale a favore dell'ambiente hanno acquisito nel corso degli ultimi cinque anni una maggiore consistenza, passando da 4,4 a 11,6 miliardi di dollari. Attualmente gli sforzi sono concentrati nella costruzione di un approccio più strategico e integrato per assicurare che i requisiti di sostenibilità ambientale diventino parte integrale dei programmi di sviluppo economico. Oltre a finanziare interventi espressamente destinati alla protezione e al miglioramento dell'ambiente, la Banca richiede infatti che tutti i programmi rispondano a tali criteri. Lo strumento principale utilizzato a tale scopo è la "valutazione di impatto ambientale". Benché ci sia ancora da lavorare per migliorare l'efficacia del processo, i dati mostrano progressi significativi e un chiaro impegno della Banca per il futuro.
Per quel che concerne la protezione dell'ambiente globale, elementi importanti dell'attività della Banca sono il suo coinvolgimento nell'attuazione del Protocollo di Montreal per l'eliminazione delle sostanze che danneggiano la fascia di ozono, e la sua partecipazione nel GEF, il fondo che la Banca amministra per finanziare i progetti in materia di ambiente globale nei PVS e nei paesi dell'Est europeo. Il Fondo funge anche da meccanismo finanziario per sostenere le condizioni sul clima e sulle biodiversità. Da parte italiana si appoggiano le iniziative della Banca per promuovere lo sviluppo sostenibile, integrare gli aspetti ambientali, anche relativi all'ambiente globale, nelle sue politiche ed operazioni, assicurare che vi sia coerenza con le convenzioni in tema di cambiamento climatico, di biodiversità, di desertificazione e quindi con le attività della GEF. Di particolare rilievo è la conclusione del secondo rifinanziamento del fondo GEF, in occasione del quale l'Italia ha sostenuto che in tutte le attività della Banca e delle altre agenzie coinvolte nel GEF si tenga conto delle considerazioni riguardanti l'ambiente globale.

  1. La partecipazione italiana alle Banche di Sviluppo

L'Italia è membro di tutte queste istituzioni. Le sostiene attivamente, assicurando i necessari finanziamenti e partecipando alla definizione delle loro politiche e strategie. E' stata tra i membri fondatori, nella maggior parte dei casi.
Il Ministero del Tesoro è l'azionista delle Banche di Sviluppo, donatore verso i Fondi e canale di comunicazione con queste istituzioni, come sancito dalle varie leggi di adesione. Da ciò deriva il compito istituzionale, ribadito dalla legge n.49/1987, di seguire l'attività di tali organismi, di curarne i problemi di gestione.
Il Tesoro partecipa ai negoziati internazionali per il finanziamento della Banche e dei Fondi di Sviluppo e provvede ad operare i necessari trasferimenti di risorse. Assicura e coordina la presenza italiana negli organi statutari di tali organizzazioni e segue l'attività del Consiglio di Amministrazione, basata essenzialmente sull'esame e approvazione di progetti e politiche.
Lo status di membro delle Banche e dei Fondi di Sviluppo comporta per l'Italia la partecipazione a tutti gli aumenti di capitale e alle ricostituzioni di risorse che si rendono necessari. L'adesione iniziale a tali organismi implica, infatti, per ogni Paese membro, un impegno a sostenerli finanziariamente nel tempo per permettere di operare con continuità a favore dei paesi prenditori.
Il sostegno finanziario assicurato nel tempo dall'Italia alle varie Banche e Fondi di Sviluppo deve essere inquadrato nell'ambito suddetto e considerato anche alla luce di altri importanti fattori, quali l'essere:

  • la quinta potenza industriale nel mondo
  • membro del G 7
  • uno dei Paesi più importanti dell'Unione Europea
  • membro fondatore della maggior parte delle Banche di Sviluppo.

Tutto ciò significa che l'Italia ha un ruolo internazionale da svolgere e una responsabilità, quale azionista e donatore, alla quale non può sottrarsi.
La partecipazione finanziaria italiana a questi organismi è particolarmente rilevante nei Fondi di sviluppo (la cui ricostituzione avviene, come detto, ogni tre anni), dove la nostra quota è più alta di quella posseduta nelle Banche. In queste ultime, gli aumenti di capitale sono più sporadici. Alcune (come la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo e la Banca Inter-americana) si stanno peraltro muovendo verso l'autosufficienza finanziaria e, con tutta probabilità, gli azionisti non verranno più chiamati a sostenere aumenti di capitale. Per i Fondi di Sviluppo, invece, rimane la necessità delle ricostituzioni periodiche, in quanto essi sono alimentati esclusivamente dai contributi dei donatori.
La nostra quota di partecipazione nei Fondi viene decisa sulla base dei seguenti elementi:

  • il peso economico del Paese nell'economia internazionale (è il principio che ormai si è affermato in tutte le sedi);
  • il grado di soddisfazione verso la performance operativa dell'organismo;
  • l'appartenenza al G 7 e quindi l'opportunità (non obbligo) di mantenere il ranking raggiunto (in genere quinto o sesto posto) nell'ambito dell'organismo;
  • la situazione di bilancio interno;
  • le priorità di cooperazione.

In occasione delle ultime ricostituzioni dei Fondi (IDA, Fondo Asiatico VI, Fondo Africano VII), l'Italia ha deciso di ridurre la propria quota di partecipazione portandola su livelli più adeguati al suo peso economico. Storicamente, infatti, la nostra partecipazione si è attestata su valori superiori a quelli attribuibili in rapporto al PIL. Citerò, a titolo esemplificativo, il caso dell'IDA: dal 5,30 per cento detenuto nell'IDA VIII, IX e X si è passati ad una quota del 4,35 nell'IDA XI (1996) e del 3,80 nell'IDA XII (1998).
Nelle Banche di sviluppo, invece, la nostra quota azionaria non ha subito nel tempo importanti mutamenti. In quelle regionali, essa è bassa. Infatti, nelle istituzioni a carattere regionale il 60 per cento del capitale è in genere nelle mani dei paesi della stessa regione di riferimento. Il 40 per cento è dei membri non regionali. Ad esempio, la nostra quota nella Banca Asiatica è dell'1,85 per cento, in quella Interamericana dell'1,9 e del 2,4 per cento nella Banca Africana.
Il sostegno finanziario che l'Italia fornisce alle Banche di sviluppo non si esaurisce con la partecipazione al loro capitale o alle risorse, ma viene offerto anche sotto forma di contributi speciali per iniziative specifiche. Ad esempio di recente è stato costituito presso la Banca Mondiale un Trust Fund italiano del valore di 30 miliardi di lire per sostenere le iniziative della Banca nell'alleviare il debito dei paesi più poveri. Nel gennaio di quest'anno è stato effettuato un trasferimento di risorse, pari a 12 milioni di dollari, a favore del Central America Emergency Trust Fund, istituito dalla Banca Mondiale per aiutare i paesi colpiti dall'uragano Mitch a ripianare gli arretrati sui prestiti. L'Italia è stata tra i primi paesi che hanno aderito a questa iniziativa.
D. L'Italia negli organi decisionali delle Banche di Sviluppo
Ogni Paese membro è rappresentato nel Consiglio dei Governatori dei vari organismi, che è il massimo organo decisionale dell'istituzione. Ad esso spetta l'assunzione di tutte le decisioni più importanti, tra le quali l'ammissione di nuovi membri e l'approvazione dei rendiconti finanziari.
Il Consiglio dei Governatori si riunisce una volta all'anno, in occasione delle Riunioni Annuali delle Banche, nelle quali vengono presentati i risultati operativi e finanziari relativi all'anno precedente.
Per l'Italia la carica di Governatore è di norma rivestita dal Ministro del Tesoro. Solo per la Banca Mondiale e la Banca Asiatica, la Banca d'Italia ricopre il ruolo di Governatore. La Banca d'Italia ricopre anche il ruolo di Vice Governatore nella Banca Interamericana.
Il Consiglio d'Amministrazione (Board of Directors) è l'organo che vigila sull'attività quotidiana di ogni Banca. Tutti i paesi membri sono rappresentati nel Consiglio di Amministrazione. In alcune istituzioni, l'Italia fa parte di una constituency (gruppo di paesi i cui rappresentanti nazionali si alternano nel ricoprire la carica di Direttore Esecutivo). In altre ha diritto ad avere sempre un proprio rappresentante .
La nomina dei membri del Consiglio di Amministrazione, ossia i Direttori Esecutivi, viene effettuata dal Tesoro in virtù del suo status di azionista/donatore dei suddetti organismi.
Il Direttore Esecutivo nominato dall'Italia rappresenta il governo italiano in seno al Consiglio d'Amministrazione. Ove egli sia alla guida di una constituency, rappresenta anche i Governi degli altri Stati. Ricoprire tale posizione significa quindi essere legittimato a parlare in nome e per conto del nostro Paese.
Il rapporto tra Tesoro e Direttore Esecutivo è impostato secondo uno schema che vede l'Amministrazione impartire al medesimo direttive ed istruzioni sulle questioni di - natura tecnico-economico - finanziaria a carattere generale più rilevanti (bilancio amministrativo, programma operativo, politiche finanziarie, personale, ecc.). Viene invece lasciato al Direttore Esecutivo un certo margine di manovra e di discrezionalità nella trattazione delle questioni di routine. Per quanto riguarda, invece, decisioni con implicazioni politiche, il Tesoro, nel formulare la sua posizione, si coordina con la Presidenza del Consiglio e il MAE.

E. Rapporti Banche di Sviluppo-Sistema Italia

I ritorni derivanti all'Italia dalla partecipazione finanziaria alle Banche Multilaterali di Sviluppo si misurano:

- in termini di presenza italiana nello staff di queste istituzioni e

- in termini di aggiudicazione dei contratti da parte delle imprese italiane per la realizzazione dei progetti preparati dalle Banche stesse.

- Il Personale italiano

La presenza italiana nel professional staff delle Banche non è del tutto in linea con le quote azionarie detenute dall'Italia. Essa è caratterizzata da una concentrazione di personale nei livelli junior e da una scarsa presenza ai livelli manageriali. Va comunque chiarito che l'equiparazione tra quota percentuale di nationals e quota azionaria non è tra i criteri che guidano il processo di reclutamento in queste Istituzioni.
La questione del personale italiano nelle IFI è problema a cui il Tesoro sta dedicando da tempo impegno e attenzione. Numerosi sono stati i contatti con il Management delle varie Banche per mettere a punto iniziative ad hoc per identificare candidati nel vasto pool di validissime risorse che l'Italia è in grado di offrire. A livello politico, in tutte le sedi abbiamo messo l'accento sul concetto di diversity culturale, che deve trovare più che mai riscontro nelle istituzioni a carattere multilaterale.
Voglio sottolineare il ruolo molto attivo svolto dagli Uffici del Direttore Esecutivo in questo campo attraverso interventi di carattere sistematico ed organizzativo. Sono continui i contatti con i responsabili del reclutamento per approfondire le problematiche relative alla selezione dei candidati ed offrire raccomandazioni operative alla direzione del Personale allo scopo di rimuovere eventuali ostacoli alle assunzioni italiane.
L'azione congiunta di Tesoro e Ufficio del Direttore Esecutivo ha portato ad importanti risultati soprattutto in Banca Mondiale e BERS, dove negli ultimi due anni la nostra presenza è aumentata sensibilmente.
Anche nelle Banche regionali, dove di fatto lo staff proveniente dalla regione di operazione rappresenta la maggioranza, si stanno cercando spazi e opportunità, anche nei livelli manageriali.
Siamo quindi fortemente impegnati a raggiungere presenze in linea con la nostra partecipazione finanziaria.

- Aggiudicazione dei contratti
I rapporti tra l'Italia e le Banche multilaterali di Sviluppo vanno considerati anche alla luce della presenza delle imprese italiane nelle attività svolte per la realizzazione di progetti e programmi di sviluppo.
La partecipazione delle nostre imprese alle gare internazionali bandite dalle Banche multilaterali di Sviluppo contribuisce ad ampliare il campo operativo del mondo imprenditoriale italiano. Da un punto di vista quantitativo, il principale aspetto da considerare è quello dei contratti assegnati alle imprese italiane a fronte di forniture di beni e servizi occorrenti per la realizzazione di progetti o programmi nei Paesi in via di Sviluppo. I risultati sono soddisfacenti, soprattutto se comparati alla nostra quota azionaria.
- Pagamento dei contributi italiani
Negli ultimi anni, in particolare dal 1991, si sono registrati ritardi nel pagamento dei contributi italiani alle Istituzioni Finanziarie Internazionali. Le ragioni sono da ricercare nel lungo e complesso iter di approvazione, reso ancora più difficile dagli scioglimenti anticipati delle Camere.
Il mancato rispetto nei termini previsti degli impegni presi è fonte di imbarazzo in tutte le sedi internazionali interessate. Comporta anche conseguenze concrete, quali:

  • la riduzione del potere di voto negli organismi in cui si è in arretrato; e
  • la possibile esclusione delle nostre imprese dalle gare internazionali indette da tali istituzioni.

A seguito della decisione presa recentemente in sede IDA e Fondo Africano, i paesi in arretrato verranno indicati nei documenti ufficiali delle due istituzioni.
Sarebbe auspicabile un accorciamento dei tempi dell'iter parlamentare, in modo da permettere all'Italia di ottemperare ai propri impegni internazionali nei termini previsti. Poiché generalmente, in occasione delle ricostituzioni di risorse di detti organismi internazionali, ai paesi membri viene concesso un anno di tempo per poter espletare le procedure interne di approvazione e depositare lo strumento di ratifica, sarebbe sufficiente che l'iter parlamentare si concludesse entro un arco di tempo di 9-10 mesi.

- Atti di indirizzo formulati dal Parlamento
Gli atti di indirizzo formulati dal Parlamento attraverso gli Ordini del Giorno, presentati ed approvati negli scorsi mesi in sede sia di Commissione sia di Assemblea, vengono presi nella debita considerazione dal Governo all'atto della formulazione della propria posizione in relazione alle tematiche sulle quali il Parlamento si è espresso. Si auspica un'intensificazione dell'azione di indirizzo del Parlamento in materia di Banche e Fondi Multilaterali di Sviluppo, da esercitarsi anche in occasione dell'esame da parte del Parlamento della Relazione che il Governo trasmette ogni anno sull'attività di tali istituzioni, ai sensi dell'art. 4 della legge 49/87.
Questa relazione riguarda l'attività delle Istituzioni nell'anno precedente (programma di prestiti, politiche, indirizzi strategici, ecc.), l'entità della partecipazione italiana, l'informativa sui negoziati in corso o appena conclusi, i rapporti tra di esse e il Sistema Italia nel suo complesso (i ritorni, il personale italiano). La relazione viene licenziata ogni anno alla fine di luglio e inviata al Ministero degli Affari Esteri, che provvede a inviarla al Parlamento in allegato alla propria (relazione sull'attività di cooperazione bilaterale). L'invio alle Camere avviene di norma entro il mese di settembre dell'anno successivo a quello cui si riferiscono le due relazioni. L'ultima relazione preparata dal Ministero del Tesoro è quella relativa all'anno 1997, sottoposta all'attenzione del Parlamento nello scorso settembre, nei termini prescritti dalla legge 49 del 1987.