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Gualtieri: "Con la manovra svolta netta, ora cantieri per le riforme di fisco e pensioni"

Il Sole 24 Ore - 17/10/2019

Intervista di Giorgio Santilli e Gianni Trovati

Ministro, ma nonostante queste condivisioni nella prima prova sul campo della maggioranza giallorossa non si è andati un po’ oltre con gli attacchi incrociati? Nel suo precedente ruolo europeo ha potuto sviluppare a fondo l’arte della mediazione. Quanto le è stata utile negli ultimi giorni?
Nel mio metodo c’è sempre la ricerca di soluzioni condivise fra punti di vista differenti, com’è fisiologico in Europa ed è indispensabile in un governo di coalizione.

Lei però, a differenza dei suoi predecessori, è un ministro politico.
E infatti l’importante è che la mediazione sia svolta attivamente, avendo chiaro l’indirizzo del governo, come abbiamo fatto arrivando a una sintesi unanime. Ci siamo confrontati non solo dentro la maggioranza di governo, ma anche con le forze sociali, economiche e produttive, e nonostante i tempi stretti siamo riusciti a definire un indirizzo comune nel dialogo con il Paese che adesso proseguirà in Parlamento.

Con quali risultati? Quanto ha pesato la scarsità di risorse disponibili?
Non bisogna dimenticare che si tratta di una manovra complessa, che deve fermare gli aumenti Iva ma non può limitarsi solo a questo. La manovra riesce non solo a gestire un’eredità pesante, ma aumenta dopo anni le risorse per gli investimenti pubblici, rimette in campo gli incentivi per quelli privati e avvia le misure di sostenibilità sociale e ambientale. Perché intervenire sulle rette degli asili nido, come stiamo facendo, non significa solo aiutare le famiglie con redditi medio-bassi, ma anche puntare a incrementare il tasso di partecipazione femminile al lavoro. Non è un caso che sia così basso, in un Paese che offre un asilo solo al 10% dei suoi bambini. Ma naturalmente tutto questo segna solo l’avvio dell’azione di governo.

In che senso?
Nel senso che ora vogliamo avviare una serie di cantieri, realizzare un’ambiziosa riforma fiscale, aprire un tavolo sulle pensioni per gestire il «dopo Quota 100», avviare una nuova commissione sulla spending review, e dare un forte impulso per sbloccare gli investimenti che già sono in bilancio. Si tratta di una serie di filoni strutturali, da portare avanti con il metodo del coinvolgimento dei diversi attori politici e sociali. L’obiettivo è di rimettere il Paese sulla strada della crescita, con meno debito, meno evasione e tasse più basse su lavoro e impresa. Ma per partire bisognava prima di tutto riportare l’Italia sulla carreggiata giusta come protagonista in Europa.

Che cosa significa gestire il dopo quota 100?
Bisogna costruire un assetto più equo, flessibile ed equilibrato del sistema previdenziale, e anche in questo caso abbiamo valutato che prendersi il tempo per una riforma complessiva fosse più efficace rispetto a un intervento estemporaneo sulle finestre. Anche perché la scarsa adesione dei potenziali interessati al pensionamento anticipato continua a proiettare una spesa molto minore rispetto al previsto, e quindi ci è sembrato più opportuno seguire questo andamento, utilizzarlo per la definizione dei saldi e avviare nel frattempo un dialogo con le parti sociali. Perché con loro condividiamo il fatto che ci sia necessità e urgenza di affrontare i nodi strutturali.

Per esempio lo scalone di oltre cinque anni che si creerebbe alla fine del 2021 con il termine di quota 100?
Quello ma non solo. Vogliamo affrontare in termini complessivi il tema dell’equità, a partire da lavori gravosi, donne e giovani, e dell’utilizzo efficiente delle risorse.

Ma aver respinto l’idea di una correzione immediata a quota 100 non ha diminuito il carattere di discontinuità rispetto alle politiche economiche seguite fin qui?
Ma noi abbiamo messo in campo una discontinuità significativa ma ragionevole, che si esercita su più piani. Ce n’è prima di tutto una di metodo, perché stiamo dimostrando che la flessibilità senza inutili tensioni sui mercati e con Bruxelles è possibile, mentre la linea dello scontro ha avuto un impatto pesantissimo sulla finanza pubblica, e alla fine ha ridotto paradossalmente anche la stessa possibilità di chiedere spazi aggiuntivi a Bruxelles. Poi, c’è la discontinuità di merito. Per esempio nel dire «no ai condoni» e mettere risorse su investimenti e cuneo fiscale invece che sulla Flat Tax.

A proposito di Flat Tax, che cosa accade a quella introdotta lo scorso anno per i lavoratori autonomi?
Sulla cosiddetta Flat Tax delle partite Iva abbiamo cancellato l’ipotesi iniqua dell’innalzamento a 100mila euro con aliquota al 20%, mentre su quella già in vigore fino a 65mila euro ci siamo limitati a interventi di correzione degli aspetti più discutibili. Invece non inseriremo l’obbligo di conto dedicato per evitare in questa fase oneri ulteriori. Sul reddito di cittadinanza c’è condivisione sul fatto che bisogna migliorarne il collegamento con le politiche attive del lavoro, e lo faremo.

E sulle clausole di salvaguardia?
La manovra cancella gli aumenti Iva del 2020 e riduce in modo significativo quelli previsti nel 2021 e 2022. Ma soprattutto non mette nuove clausole sugli anni successivi. Perché è uno strumento negativo che va superato. Per uscirne occorre tempo, ma superare le clausole significa cambiare l’impostazione della politica di bilancio, programmare le misure già ad aprile con il Def e inserirle in un orizzonte pluriennale. Perché la politica economica non si fa con una singola manovra.

Soprattutto quando le risorse sono scarse. C’è chi ha accusato il governo di una certa timidezza nelle misure pro crescita, in una manovra assorbita per il 75% dallo stop agli aumenti Iva. Perché non avete scelto una strada diversa, con un ritocco parziale dell’Iva per avere più spazi fiscali per gli altri interventi?
È noto che abbiamo discusso di ipotesi diverse. E ridefinire un equilibrio fra le varie imposte anche attraverso una rimodulazione delle aliquote Iva è un’opzione che ha molti elementi di forza. Ma sappiamo anche che può essere rischioso avventurarsi in modo affrettato in riforme del regime fiscale. Il governo è nato ai primi di settembre, abbiamo esplorato possibili rimodulazioni collegate agli incentivi ai pagamenti tracciabili, ma abbiamo concluso che è meglio mettere in campo una riforma fiscale più organica, anche per evitare interventi frettolosi che poi rischiano di dover essere corretti creando incertezza fra gli operatori. Il tema quindi resta in campo, nel novero delle azioni di policy che sarà affrontato nel quadro di una riforma fiscale più generale.

Con il rischio di aumenti di tasse?
L’obiettivo è quello di proseguire con la riduzione della pressione fiscale che già avviamo quest’anno e che vogliamo realizzare, a differenza della Lega, tenendo fermo il principio della progressività delle imposte. Lo porteremo avanti con tre motori. Il rilancio della crescita, la riduzione del costo degli interessi che è il capitolo più inefficiente della spesa pubblica, e affrontando il grande tema dell’evasione fiscale che ha cifre insostenibili per un Paese moderno. Sugli interessi abbiamo già raggiunto risultati importanti, ieri lo spread ha chiuso a 131 punti, dai 135 di ieri, e nelle scorse ore era sceso sotto i 130 come non accadeva dal maggio 2018. Ma puntiamo a fare molto di più. E sull’evasione stiamo mettendo in campo un importante pacchetto che con il piano per i pagamenti digitali punta a promuovere la modernizzazione del Paese.

I 7 miliardi di gettito ipotizzati da queste misure, però, sono sfumati subito.
Bisogna fare attenzione. La Nadef non ha parlato di 7 miliardi dalla lotta all’evasione, perché quello 0,4% del Pil è stato da subito collegato anche ad altre misure sulle entrate tributarie. Ci hanno accusato di mettere obiettivi irrealizzabili, mentre in realtà siamo stati più che prudenti. Tecnicamente, le misure antievasione valgono tre miliardi di gettito, e nel Dpb abbiamo inviato a Bruxelles un’analisi puntuale e dettagliata di ogni intervento. Le stime di gettito sono state elaborate una per una con le agenzie fiscali, e in tutti i casi abbiamo scelto di mettere il dato più prudente della forchetta.

Quindi non temete obiezioni da Bruxelles?
L’Europa ci chiedeva il dettaglio, e noi lo abbiamo fornito con il massimo di precisione. Certo, la commissione valuterà la manovra come fa sempre, ma mi aspetto questa volta un dialogo ordinario, come accade normalmente con tutti i Paesi.

Anche sui tre miliardi di entrate spostate all’anno prossimo?
Anche qui bisogna fare chiarezza, perché non si tratta di spostare entrate. Al momento della Nadef non disponevamo di alcuni dati per la ragione semplice che i versamenti dei soggetti Isa erano stati spostati al 30 settembre. Per questo abbiamo fatto stime iperprudenti, superate dall’arrivo degli incassi effettivi. Ora quindi ridurremo del 10% gli acconti che si pagano nel 2019, rimodulando il saldo dell’anno prossimo. Questa misura riguarda entrate per 1,5 miliardi, mentre gli altri 1,5 miliardi sono strutturali e dipendono appunto dagli effetti di compliance che hanno fatto crescere anche gli incassi di quest’anno.

Ma nemmeno questo è sufficiente, visto che sulle coperture si sta accendendo la polemica sull’«elenco di nuove tasse» in arrivo con la manovra.
Capisco benissimo il ruolo dell’opposizione. Ma va detto che in realtà gli interventi di questo tipo sono decisamente limitati sia nel numero sia nell’importo, e quasi sempre l’aumento fiscale è accompagnato da forme di incentivi in una logica di transizione verso la sostenibilità. Sui buoni pasto, per esempio, si riducono le agevolazioni per quelli cartacei, ma si aumentano per quelli elettronici. Ci sono due misure nuove sulla plastica, ma limitata agli imballaggi, e sulla cosiddetta Sugar Tax, che sarà limitata alle bevande e non si occuperà di merendine, per intenderci. Non ci sono interventi sui carburanti, e non ci sarà l’intervento retroattivo sulle detrazioni di cui si è parlato.

Anche sulla cedolare secca per gli affitti a canone calmierato, portata dal 10% al 12,5%, sono già partite le polemiche.
Anche questa misura va vista con più attenzione. In realtà, l’aliquota del 10% era temporanea ed era destinata a risalire al 15%. Con il nostro intervento invece la rendiamo strutturale al 12,5%. A ben vedere quindi si tratta di una riduzione e non di un aumento di tasse.

Ma anche se non in chiave retroattiva, su detrazioni e deduzioni pensate comunque di intervenire?
Ci sarà una riduzione delle agevolazioni su alcune spese, ma in misura molto graduale e limitata ai redditi molto alti. In tutto, il capitolo dedicato alla rimodulazione delle tax expenditures e alle tasse ambientali vale nel Dpb 943 milioni di euro, quindi è stato ulteriormente alleggerito rispetto alle previsioni della Nadef. È ovvio che una manovra ha bisogno di coperture, e che il lavoro non è stato semplice, ma obiettivamente questa componente fiscale è modesta ed è inferiore ai timori di molti.

Nell’ambito della lotta all’evasione, un ruolo chiave è affidato alla stretta sulle compensazioni. Ma in questo modo non si rischia di colpire anche i contribuenti onesti, che vedono un allungamento dei tempi prima di poter utilizzare una compensazione a cui hanno diritto, con effetti negativi sulla loro liquidità?
Proprio per evitare questo effetto abbiamo deciso di accantonare l’ipotesi più invasiva, che interveniva direttamente sui 730. L’altra misura, che vale un miliardo e chiede di utilizzare il credito d’imposta solo dopo averlo indicato in dichiarazione, affronta oggettivamente un problema reale, quello di un livello di abusi insostenibile che emerge chiaramente dai dati. Ci potrà essere qualche difficoltà iniziale, ma a regime questa misura sarà metabolizzata dal sistema, come accaduto ad altri interventi del passato.

Su sanzioni e soglie di punibilità dei reati fiscali, invece, la tensione è stata alta? È stata trovato un accordo?
Il tema è di competenza del ministro della Giustizia Bonafede. L’inasprimento delle sanzioni per i grandi evasori è un obiettivo del programma di governo, e lo condivido. Naturalmente va conseguito con equilibrio sia nel metodo sia nel merito, perché gli interventi sul Codice penale hanno un’oggettiva delicatezza, e su questo approccio c’è consenso nel governo. Nel decreto c’è una prima norma sull’aumento delle sanzioni per le dichiarazioni fraudolente, e abbiamo il tempo per approfondire gli altri aspetti.

Accanto alle sanzioni ci sono gli incentivi, e anche su questo si è discusso molto. A quali soluzioni siete arrivati?
Gli incentivi sono il cuore della filosofia che stiamo mettendo in campo, e abbiamo condiviso con il presidente Conte la scelta di investire a fondo su un grande piano per i pagamenti digitali. Il piano sarà composto da una serie organica di misure, tra cui anche un rafforzamento della lotteria degli scontrini con un aumento significativo dei premi dal primo gennaio. Da metà anno è poi prevista la partenza del superbonus, cioè del rimborso di una parte delle spese effettuate con pagamenti tracciabili nei settori dove oggi è più diffuso l’utilizzo del contante. Il meccanismo è pensato per premiare progressivamente l’incremento e la diffusione degli strumenti digitali di pagamento. Poi vogliamo introdurre incentivi per spingere l’acquisizione del Pos da parte degli esercenti e ragionare con gli operatori sulla riduzione delle commissioni.

Questo insieme di misure si lega all’esigenza di coprire gli interventi della manovra, che oltre all’Iva si concentrano sul taglio del cuneo fiscale. Anche qui si è sviluppata una discussione fra chi ha spinto per un taglio concentrato sui lavoratori e chi ha chiesto di guardare alle imprese. Come finirà?
I tre miliardi a disposizione per quest’anno, e i sei a regime, saranno concentrati sui lavoratori, come del resto ci è stato chiesto sia dai sindacati sia da Confindustria. In questi giorni siamo riusciti a trovare le risorse per raccogliere l’invito ad incrementare il peso del taglio e dare più sostanza macroeconomica alla misura. Sulle sue modalità attuative stiamo lavorando d’intesa con il ministero del Lavoro, e confrontandoci con le parti sociali, per valutare nel modo migliore la platea e le modalità di applicazione.

La manovra promette nuovi stanziamenti per gli investimenti pubblici, ma resta il problema dell’utilizzo dei fondi, e degli spazi fiscali ristretti dal debito pubblico ma anche dalle regole comunitarie. Come se ne esce?
Prima di tutto è importante la scelta di tornare ad aumentare le risorse, perché per rilanciare la crescita bisogna rilanciare gli investimenti. Nella loro gestione, lavoreremo a stretto contatto con la struttura di coordinamento dedicata che è stata costituita a Palazzo Chigi. Ma bisogna allargare l’ottica. Perché oltre a incrementare gli investimenti pubblici bisogna rafforzare il loro collegamento con quelli privati. E gli strumenti ci sono.

Quali?
La manovra rifinanzia gli incentivi di Impresa 4.0, torna a estenderli alla formazione e ne allarga l’impatto agli interventi per la riconversione produttiva in chiave green per incentivare lo sviluppo dell’economia circolare. Poi c’è il rifinanziamento della Nuova Sabatini, il fondo di garanzia per le Pmi, l’anticipo al 2022 della totale deducibilità dell’Imu sugli immobili strumentali delle imprese, e reintroduciamo l’Ace per promuovere la crescita dimensionale delle imprese. Bisogna valorizzare strumenti che già si erano affacciati nel Piano Juncker e poi nel programma InvestEu, nell’ottica di un grande piano dell’European Green Deal che punta a mobilitare a livello complessivo mille miliardi di euro. L’Italia è un’attiva promotrice di questo piano, e come commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni avrà anche questa competenza.

Resta però il fatto che di golden rule si discute da anni senza molto costrutto.
Sulla golden però ora si è riaperto il dibattito, e sul possibile trattamento preferenziale degli investimenti diretti alla sostenibilità ambientale e sociale, che ho proposto all’Eurogruppo di Helsinki, ho registrato prime significative aperture. L’Italia sarà protagonista in questo dibattito.