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Tria: “Assieme a Francia e Spagna cambieremo la politica fiscale dell’Europa”

La Stampa - 12/07/2019

Intervista di Marco Bresolin

Ministro, cosa la spinge a essere così ottimista?
«Le priorità in Europa sono cambiate: in ottobre c'era chi sosteneva che si era in piena crescita e quindi serviva una politica fiscale restrittiva per prepararsi al futuro. Adesso il focus del dibattito è la crescita, il tono della discussione è diverso. C'è una convergenza sul fatto che bisogna rilanciare i grandi programmi europei di investimento. Fino all'anno scorso questo dibattito era molto difficile. Certo, anche oggi una parte dell'Europa non è d'accordo, ma l'Italia non è isolata. In questo contesto sarà possibile rilanciare il dibattito sul Fiscal Compact. Dobbiamo discutere su come cambiare queste regole».

Con quali alleanze?
«Le alleanze si fanno sui grandi temi. L'Italia sta accanto certamente a Francia, Spagna e in parte anche alla Germania. Ci sono i presupposti per cambiare le politiche economiche Ue. Come strutturare il bilancio dell'Eurozona, come mettere un accento sugli investimenti, sulle politiche industriali per accelerare la convergenza».

Il blocco dei Paesi del Nord, però, frena.
«Loro hanno posizioni che tendono a ostacolare l'integrazione europea. Ma ci sono grandi temi che non possono essere ignorati. La crisi della Germania è temporanea o strutturale? Gli allarmi arrivano da tutte le parti. Dobbiamo avere la capacità di salire a bordo di questo dibattito».

La revisione del Fiscal Compact sarà il punto di partenza?
«Può essere una conseguenza dell'adozione delle nuove politiche economiche europee. Fu adottato in un momento particolare di crisi, in parte fu presentato come condizione per far passare le politiche monetarie di Draghi. Ma ora siamo in una fase molto diversa. Oggi ci troviamo di fronte a tassi di interesse estremamente bassi a livello europeo. Il problema oggi è la mancanza di investimenti, non l'indebitamento. Non vedo una crisi dei debiti sovrani, ma problemi di crescita. Serve una gestione più discrezionale della politica economica, e non commissari vincolati da regole rigide».

In che direzione vanno cambiate?
«In Europa non c'è coordinamento tra politiche fiscali e monetarie. La Commissione raccomanda ai Paesi che hanno spazio fiscale di spendere di più, di ridurre gli squilibri macroeconomici, compresi i surplus. Ma non ci sono strumenti per attuare queste indicazioni, mentre ci sono maggiori vincoli dal lato dei saldi di bilancio. Non dobbiamo fare guerre, ma ragionare insieme sulle regole. Che sono strumenti per raggiungere gli obiettivi».

Christine Lagarde guiderà la Bce in continuità con Mario Draghi?
«Da quel che si può prevedere penso di sì. Ma poi le politiche dipendono anche dalle situazioni che si devono affrontare».

Nella prossima Commissione l'Italia fa bene a puntare sulla Concorrenza?
«Penso sia un buon portafoglio, non potendo ambire a quello degli Affari economici per motivi ben noti. Ci sono anche altri portafogli importanti, soprattutto in prospettiva strategica: penso al Commercio, ma non solo».

È interessato a un ruolo a Bruxelles?
«Sto facendo il ministro dell'Economia. Il tema non è mai stato in discussione».

Lei ha affrontato situazioni molto difficili, due procedure sventate nel giro di sei mesi: lo considera un suo successo personale?
«È un successo del governo. Abbiamo approvato misure utili non solo a evitare la procedura, ma anche a ricostruire fiducia nella nostra politica fiscale. Ci si aspettavano politiche diverse da un governo così effervescente, ma di fatto la nostra è stata una politica molto prudente».

A ottobre, però, non sarà facile mantenere le promesse e rispettare i vincoli europei.
«Il Parlamento ha invitato il governo a rispettare gli obiettivi di finanza pubblica. Non attraverso un aumento delle tasse, ma con misure alternative. Il che significa tagli alla spesa. Siamo impegnati su questa linea. Vogliamo ridurre la pressione fiscale soprattutto a quelli che io chiamo ceti medi, che sono sottoposti ad aliquote disegnate per i ricchi con l'inflazione di 30 anni fa».

La rimodulazione delle aliquote non sarà finanziata da un aumento dell'Iva?
«Nei giorni scorsi le mie parole sono state male interpretate. Da un punto di vista teorico io ho sempre sostenuto la necessità di spostare l'imposizione fiscale da diretta a indiretta. Ma questo non vuol dire che lo applicheremo alla prossima manovra».

Quindi non aumenterà l'Iva? E dove troverete le risorse?
«Sull'Iva il Parlamento ha invitato il governo a non aumentarla. E c'è un impegno in quella direzione. Avremo dei risparmi sulle spese relative a reddito di cittadinanza e Quota 100. Poi c'è un aumento del gettito Iva, che stiamo analizzando: credo che l'effetto della fatturazione elettronica sia stato molto più forte di quanto ci potessimo aspettare».

Basterà?
«Poi ci sono le tax expenditures su cui operare, un perimetro complessivo attorno ai 50 miliardi. È un lavoro complesso perché dietro ognuna ci sono interessi. Infine abbiamo 300 miliardi di spesa pubblica su cui si può intervenire. Si tratta di prendere delle decisioni politiche».

Il Movimento 5 Stelle preme per il salario minimo: lo introdurrete?
«Il vero problema è che noi purtroppo abbiamo ancora un'economia duale. Rischiamo di avere un impatto scarso o nullo nella parte più avanzata del Paese e un impatto più forte nel resto del Paese. D'altra parte l'esigenza esiste e dovrà essere soddisfatta in modo equilibrato».

Un problema che ostacola anche la riforma delle autonomie: siamo a un punto morto?
«Non credo, c'è un dibattito molto politico. Ma l'accordo è possibile. Sul piano tecnico basta attenersi ad alcuni principi di fondo: la ripartizione delle risorse tra le varie Regioni deve avvenire attraverso la definizione dei fabbisogni standard che tengano conto di tutte le particolarità locali. Se ci si basa su questo principio credo che l'autonomia si possa attuare senza problemi di discriminazione».

Atlantia è pronta a entrare in Alitalia, ma nel M5S c'è scetticismo per gli strascichi della vicenda del Ponte Morandi.
«Penso che Atlantia sia un partner forte. E una sua partecipazione sarebbe auspicabile. D'altra parte la questione del ponte di Genova e delle concessioni va affrontata su un piano strettamente giuridico, da tenere separato. Anche perché Atlantia è in parte dei Benetton, ma in gran parte ha come azionisti grandi fondi internazionali. E quindi il rispetto delle norme è necessario per tutelare tutti gli azionisti».

Banca Carige potrà essere salvata o rischia di finire come le banche venete?
«Io sono ottimista su un possibile esito positivo. Si sta lavorando a un progetto che credo abbia possibilità di successo con una soluzione essenzialmente di mercato».

La Tav va avanti?
«Da quel che ne so io, sta andando avanti perché non c'è alcun blocco. Ci vorrebbe una legge del parlamento per poterla interrompere e non mi pare ci siano le condizioni politiche».