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Padoan: avanti con le riforme sgravi per assumere giovani

La Repubblica - 19/06/2017

Intervista al ministro Padoan di Fabio Bogo e Francesco Manacorda. Testo raccolto da Paolo Gallori

 

«Continuare sulla strada delle riforme, senza fermarsi assolutamente anche se saremo in periodo elettorale». A Bologna per un’intervista pubblica nella giornata conclusiva della Repubblica delle Idee, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan avverte più di una volta che i frutti della ripresa sono a portata di mano ma non vanno sprecati proprio adesso abbandonando un percorso segnato; anticipa che è orientato a sgravi per gli investimenti delle imprese e l’occupazione; spiega che se per magia potesse cambiare solo una cosa sceglierebbe "la riforma della pubblica amministrazione, quella da cui derivano tutte le altre riforme", considerando evidentemente poco incisivo il lavoro fatto finora dalla sua collega di governo Marianna Madia; infine si dice confortato dall’arrivo di Emmanuel Macron alla guida della Francia e annuncia una notizia. L’asse Berlino-Parigi non sarà a due, ma a tre e comprenderà anche Roma: «In luglio ospiteremo in Italia un incontro fra i tre ministri delle Finanze per stabilire assieme le priorità sull’Unione monetaria».

Ministro, come mai l’Italia cresce a un ritmo inferiore rispetto ai partner europei? E di chi è la colpa? Nostra o esterna?
«Visto che sono noto come ministro tecnico, vorrei precisare una cosa: non siamo più in recessione. L’Italia cresce dalla fine del 2014, dopo anni di recessione importante che ha portato via 10 punti di Pil. Un danno profondo per qualunque economia che ha lasciato ferite anche strutturali nel tessuto economico del Paese. Le previsioni di crescita sono incoraggianti, anche migliori - a sentire il Fondo monetario internazionale - di quelle previste dal governo. E dimostrano che l’approccio di politica economica seguito in questi anni dal governo - attuale e precedente - è un modo di gestire la sfida. Camminiamo per un sentiero stretto in cui bisogna evitare di cadere da una parte, cioè far aumentare il debito oltremisura anziché ridurlo, oppure dall’altra, dove rischiamo di soffocare la crescita» .

Non siamo più in recessione, ma cresciamo meno della maggior parte dei partner dell’euro. No?
«È vero che l’Italia cresce poco. O almeno è vero che è cresciuta poco in passato, meno dei suoi partner europei, essenzialmente per l’accumularsi di ritardi strutturali anche senza l’impatto di crisi finanziarie, nella Pubblica amministrazione, nel mercato del lavoro, nella giustizia civile, nell’amministrazione tributaria. In questi ultimi 3-4 anni sono stati fatti grandi progressi nel rimuovere questi ostacoli. Tutte queste cose stanno cambiando piano piano il modo in cui l’economia funziona. E sono convinto che questa crescita - che è incoraggiante ma sicuramente non soddisfacente - si consoliderà negli anni a venire. Perché, oltre alla politica di bilancio prudente e attenta alla crescita, c’è l’impatto delle riforme strutturali che via via si farà sentire. Le riforme strutturali sono procedimenti complessi che richiedono di essere approvati dalla politica, dal governo, dai parlamenti. Ma che poi richiedono di essere tradotte in comportamenti diversi dei soggetti pubblici, delle imprese, delle famiglie».

Le facciamo un elenco: venerdì nero dei trasporti, testo sulla concorrenza fermo da tempo inenarrabile, direttori dei musei stranieri bloccati dal Tar del Lazio e sbloccati dal Consiglio di Stato... La scarsa crescita dipende anche dal fatto che siamo un paese litigioso e confuso?
«È un problema più ampio. Nel 2014-15 l’impatto internazionale del governo Renzi in tema di riforme ha avuto un effetto incredibilmente positivo: l’Italia era vista come un Paese nel quale, dopo anni di recessione e immobilismo delle istituzioni e sociale, si dava slancio a un programma di risorse necessario. Sono state avviate riforme importanti: dal Jobs Act alla Pubblica amministrazione, alla scuola, alla stessa riforma istituzionale. Poi c’è stato il risultato del referendum istituzionale che ha prodotto il segnale opposto a livello internazionale. Nei miei contatti all’estero ho sentito spesso dire negli ultimi mesi che la percezione è che il processo di riforme si sia fermato. È un’affermazione che non mi piace. Invece è fondamentale che l’Italia continui nel processo. Altrimenti rischiamo di dare il segnale che da noi si continuerà a crescere poco. Al di là di singoli episodi, occorre ritrovare nel Paese lo stimolo per le riforme e qualche effetto lo potremo già vedere in due anni».

La nostra crisi dipende anche dall’austerity imposta dall’Europa, ma c’è qualcosa di nuovo all’orizzonte. Macron e Merkel possono imprimere un sostanziale cambio di rotta?
«Un cambio di rotta già c’è stato nel 2014, quando l’Italia ha preso la presidenza del semestre europeo e ha portato l’Ue a dire che la priorità delle politiche economiche in Europa non deve essere tanto e solo l’austerity, ma la crescita e il lavoro. Adesso questo cambiamento dovrà investire anche le istituzioni dell’Unione monetaria. L’Italia fa parte di questo progetto. C’è un dialogo a livello di capi di governo con Francia e Germania per portare avanti idee comuni. E c’è già un impegno definito tra i ministri delle finanze di Francia, Germania e Italia che si riuniranno a luglio per stabilire quali possano essere i punti da portare avanti in un’agenda europea in cui l’Unione monetaria si consolida, è più attenta alla crescita, alla stabilità. Sono molto d’accordo con la frase secondo cui l’Unione monetaria non può essere solo banche e finanza pubblica. Deve essere anche crescita e lavoro. Altrimenti non ha senso».

Al momento però l’Europa è fatta soprattutto di banche e politiche fiscali. Come siamo messi su questi due capitoli, a cominciare proprio dalle banche? Siete riusciti a trovare un’intesa con Bruxelles per le banche venete?
«Anche nel caso delle banche si verifica la percezione sbagliata che si ha sulle riforme. Non è assolutamente vero che non abbiamo fatto niente sulle banche. Abbiamo accelerato, introdotte garanzie di Stato, abbiamo fatto due riforme sulle banche popolari e su quelle cooperative e le sofferenze si stanno riducendo. Sulle banche venete si sta lavorando alacremente. Le regole europee sono purtroppo molto complicate e in alcuni casi mai veramente applicate. La direttiva per la risoluzione delle banche, deve essere applicata in modo attento e concordato. Continueremo a farlo. Fra qualche mese avremo uno scenario molto più favorevole per il sistema bancario. E i casi critici saranno alle nostre spalle, sono molto fiducioso. L’Italia avrà dimostrato di aver superato la prova di un’economia bancocentrica in crisi. Ne stiamo uscendo con fatica e determinazione e collaborazione con la Ue».

E sulla finanza pubblica? Abbiamo ottenuto un’interpretazione favorevole delle regole di bilancio dall’Ue e, come dice il premier Paolo Gentiloni, anche se non è tempo di vacche grasse c’è un po’ di fieno in cascina. Continuando nella metafora, quel fieno servirà per sgravi alle imprese, magari riducendo il cuneo fiscale per i giovani che vengono assunti, o per spingere i consumi?
«Il tema degli sgravi va valutato tecnicamente e politicamente. Confermo che non siamo in tempi di vacche grasse anche se abbiamo messo fieno in cascina con una manovrina che ci crea spazi anche per il futuro, sia con la richiesta di fare un aggiustamento strutturale meno stringente che in passato, che mi aspetto sia approvato dalla Commissione. Naturalmente l’Italia deve crescere di più, non solo nell’immediato ma anche nel medio termine. E il motore principale della crescita sono gli investimenti, pubblici e privati. Bisogna capire come sostenerli. Al tempo stesso, e le due cose sono collegate, abbiamo un problema di disoccupazione giovanile sul quale grava il cosiddetto cuneo fiscale. Si tratterà di trovare delle combinazioni ottimali per perseguire assieme questi obiettivi».

Cioè spingere investimenti e occupazione?
«Le due cose sono collegate. Se le imprese investono hanno bisogno di macchine, ma anche di lavoratori».

Spingere i consumi, come si è fatto nella prima fase del governo Renzi, ha dunque meno senso?
«Non ha meno senso, ma bisogna fare in modo che le risorse siano usate in modo efficiente. Anziché interventi a pioggia, che di questi tempi sarebbe purtroppo una pioggerellina leggera, usare tutte le risorse verso un obiettivo unico».

Ministro, sulle cronache campeggia il caso Consip, che nasce da un’inchiesta giudiziaria. In questi giorni lei ha chiesto le dimissioni di un paio di consiglieri che siedono là in rappresentanza del suo ministero per accelerare la caduta del cda. Mesi fa lei non ritenne di trovare le condizioni per rimuovere l’attuale management. Cosa è cambiato?
«I due membri, dirigenti del Mef, sí sono dimessi, portando alla decadenza automatica del cda, per evitare che fatti esogeni alla vicenda potessero indebolire il grande lavoro svolto da Consip sugli acquisti della pubblica amministrazione. Quello che ha accelerato questa situazione è la decisione del Parlamento di presentare una mozione che andava in questo senso, azzerare il management. Il Mef ha allora deciso l’accelerazione».

Ma l’amministratore delegato Marroni - secondo alcune indiscrezioni - non ha intenzione di dimettersi, convocherà l’assemblea degli azionisti.
«Non commento queste indiscrezioni».

Torniamo alle riforme: se avesse la lampada di Aladino e potesse far uscire un genio che realizza una e una sola riforma, quale sceglierebbe e perché?
«Vorrei la pubblica amministrazione 4.0. Adeguata a un’industria avanzata tecnologicamente, con semplificazione ed efficienza al servizio del cittadino. Qualcosa si sta facendo, è più complessa di altre riforme. Se potesse avvenire qui e ora, da dopodomani ne vedremmo gli effetti. Ma non è solo un sogno. Ci sono eccellenze in Italia in cui ciò già avviene».

Cosa frena il cambiamento della Pubblica amministrazione: impreparazione o resistenze?
«Un insieme di fattori, che insieme si definiscono inerzia. La pubblica amministrazione non è abituata a rispondere a incentivi di comportamento e purtroppo deve fronteggiare fenomeni di corruzione che alimentano anche l’inefficienza. Le riforme hanno a che fare con comportamenti nuovi e risultati nuovi. Un processo lento ma non impossibile».