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Padoan: «Questa Ue non va. Atene recuperi credibilità»

La Stampa - 19/07/2015

di Alessandro Barbera

Ministro Padoan, l'accordo con la Grecia ci permetterà di ottenere più flessibilità dall'Europa?
«La situazione dell'Italia non è nemmeno lontanamente comparabile alla Grecia. L'Italia si è guadagnata credibilità e rispetto grazie alle riforme, non abbiamo bisogno della benevolenza di nessuno».

Abbiamo compreso dalle parole del premier che chiederemo più flessibilità. Le indiscrezioni dicono che chiederete l'applicazione della cosiddetta clausola per gli investimenti. Può confermare che varrebbe 6 miliardi di spese fuori dal deficit?
«È del tutto prematuro parlare di cifre. Stiamo lavorando alla legge di stabilità, faremo in modo di utilizzare al meglio gli spazi di manovra e gli strumenti previsti dai Trattati».

Ministro, eppure ieri il premier ha annunciato un piano triennale di riduzione delle tasse, un taglio «senza precedenti alla pressione fiscale». La flessibilità sugli investimenti non basterà mai. Andremo oltre il 3% nel rapporto deficit-Pil?
«Il premier ha indicato un mix di politiche: taglio di tasse e investimenti, in un quadro in cui il debito scende e si rispettano le regole comuni».

Renzi ha parlato anche di «abolizione dell'Imu sulla prima casa». Sono 4 miliardi di gettito, l'unica importante fonte di entrata autonoma dei Comuni, e inoltre è una tassa che esiste in tutto il mondo. Forse il premier si riferiva alla possibilità di reintrodurre detrazioni per i redditi più bassi?
«La tassazione sugli immobili verrà rivista con l'introduzione della local tax, che semplificherà la tassazione locale in una strategia di medio periodo».

Possiamo dire che la Grecia è fuori pericolo?
«Il peggio è alle spalle. Ma per ora riceverà solo un prestito-ponte. II negoziato sul terzo programma di aiuti comincia ora, la strada è lunga».

La Grexit è stata sul tavolo?
«Purtroppo sì. Negli ultimi sei mesi il fronte di coloro i quali la sostenevano è cresciuto, e questo la dice lunga su come stesse andando il negoziato».

Poi ha prevalso la paura delle conseguenze della Grexit?
«No, ha prevalso il senso di responsabilità e la fiducia nel futuro dell'Europa».

La svolta sulla trattativa è arrivata con la decisione di Tsipras di rimuovere Varoufakis?
«Non mi piace metterla sul personale. Ma fino alla sua sostituzione non c'è stato alcun progresso, al Parlamento greco ha votato contro l'accordo e il programma precedente si poteva chiudere a condizioni per loro migliori».

II nuovo ministro delle Finanze Tsakalotos ha detto che il nuovo programma «avrà effetti recessivi». Non un bel viatico.
«Sei mesi fa la Grecia stava meglio, era un Paese che cresceva e aveva accesso ai mercati. Ora deve ricostruire la sua credibilità. In ogni caso nell'accordo non si parla solo di aumento dell'Iva o delle tasse ai più ricchi: c'è l'impegno a sostenere nuovi investimenti per almeno 35 miliardi. Il mix di misure che serve per Atene è quello che si chiede a tutti: riforme strutturali e investimenti. La Grecia ha vissuto a lungo al di sopra delle sue possibilità, ha un sistema pensionistico molto costoso, la macchina pubblica non funziona, l'evasione e la corruzione sono alte. Se farà le riforme e farà buon uso delle risorse a disposizione, tornerà a crescere».

Come si fa con un debito pubblico che viaggia verso il 200%?
«Con l'aiuto dell'Europa oggi il debito greco costa già meno di quello italiano. In ogni caso una ristrutturazione di quel debito può essere fatta in molti modi, ad esempio allungando ulteriormente le scadenze. Occorre verificare le condizioni giuridiche, ma si potrà discuterà anche di questo».

Le giro una obiezione molto in voga: Merkel e Schäuble hanno deciso di «punire la Grecia», ormai Atene è un protettorato di Berlino. Come risponde?
«La sovranità in Europa deve essere condivisa. Tutti i partner, Germania compresa, ne hanno ceduta una parte alle istituzioni, per esempio alla Banca centrale europea. E se la Bce non ci fosse oggi staremmo tutti molto peggio».

C'è chi sostiene il contrario, ovvero che senza l'euro staremmo tutti meglio.
«Se c'è questa idea in giro è colpa di politiche sbagliate o insufficienti. Giustamente le persone chiedono uno Stato sociale capace di proteggerle, più lavoro e benessere. Hanno ragione. La crisi greca è anche una lezione per il futuro, perché una cosa è certa: così l'Europa non può andare avanti, bisogna cambiare passo».

Cosa occorre cambiare?
«Il cosiddetto "rapporto dei cinque presidenti" è una buona base di partenza. Ma ci vuole molto di più. Bisogna completare l'Unione bancaria, aumentare l'integrazione dei mercati, aprirsi agli scambi globali firmando l'accordo transatlantico con gli Usa. E condividere di più i rischi».

Che intende dire?
«Penso a un sistema bancario unico completato con il fondo di assicurazione dei depositi, ma non solo. Faccio un esempio: negli Stati Uniti ci sono meccanismi condivisi di sostegno alla disoccupazione. In questo modo il mercato del lavoro è in grado di assorbire meglio gli choc delle crisi».

Il punto è che le aree periferiche dell'Europa restano indietro. In fondo i problemi della Grecia non sono molto diversi da quelli della Sicilia. Dunque?
«Ogni zona in Europa sa fare qualcosa meglio di altre. È vero per la Grecia e per il Sud d'Italia. Dobbiamo investire in questi vantaggi comparati. E poi nel capitale umano: educazione, ricerca, innovazione. Non vedo altre strade per economie che invecchiano come quelle europee».

Un'ultima questione: la scorsa settimana ha avuto nuovi incontri a Bruxelles per ottenere il via libera a una «bad bank» pubblica per i crediti deteriorati delle banche, ma le nuove regole europee sembrano impedirlo. Ci credete ancora?
«Negli incontri ho discusso di molte cose, fra cui un modello di bad bank efficiente, ma rispettoso della disciplina sugli aiuti di Stato. Contiamo di trovare una soluzione a breve».

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