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Intervento in sede referente presso la Commissione Bilancio della Camera dei Deputati in merito all’emendamento che recepisce i contenuti del DL 183 c.d. “salva-banche”

11/12/2015

Il nuovo contesto della gestione delle crisi bancarie

Per affrontare il tema delle procedure di risoluzione a cui sono state avviate il 22 novembre scorso la Banca popolare dell’Etruria e del Lazio, la Banca delle Marche, la Cassa di risparmio di Ferrara e la Cassa di risparmio della Provincia di Chieti, è opportuno qualche cenno al nuovo contesto della gestione delle crisi bancarie.

La crisi delle quattro banche si manifesta dopo un prolungato periodo di recessione. Alla crisi finanziaria, che - ricordo - è cominciata fuori dall’Italia e fuori dall’Europa nel 2008, è seguita una profonda crisi economica che ha contratto il prodotto nazionale di 10 punti percentuali. Ne è conseguito un progressivo deterioramento del credito, che soltanto adesso mostra un’inversione di tendenza.

Difficile dire, oggi, se si poteva fare qualcosa di diverso nel 2008, o negli anni successivi, per prepararsi diversamente alla gelata dell’economia. Certamente oggi, 7 anni dopo, il sistema bancario italiano è rimasto in piedi e si è rafforzato in molti suoi punti senza usare neanche un euro di quei 1.100 miliardi spesi da altri in Europa per salvare le banche.
La crisi finanziaria ha anche innescato un profondo mutamento delle regole. Ma il nuovo quadro deve essere ancora ben compreso.
Molti si riferiscono genericamente al nuovo quadro normativo europeo e in particolare alla direttiva sulla risoluzione delle banche, ma penso che sia necessaria qualche ulteriore specificazione, in modo tale da chiarire meglio in cosa consistono queste novità e il loro impatto sulle modalità di gestione delle crisi.

In primo luogo, gli aiuti di Stato: nel nuovo contesto la possibilità di concedere aiuti di Stato alle banche in crisi è fortemente ridotta. Infatti, un intervento finanziario pubblico è ormai contemplato soltanto nell’ambito di una risoluzione e in questo contesto ciò che lo Stato può fare, di norma, è soltanto dare un finanziamento al fondo di risoluzione, a condizioni che assicurino la restituzione del prestito. La limitazione della possibilità di dare aiuti pubblici alle banche attenua il legame tra il rischio delle banche e il rischio sovrano, e previene il circolo vizioso che si è spesso realizzato nel corso della crisi finanziaria. È peraltro condivisibile che il contribuente non sia chiamato a partecipare delle conseguenze di scelte e comportamenti cui non ha partecipato e di cui non è responsabile.

In secondo luogo, è divenuto più restrittivo l’orientamento della Commissione europea sugli interventi dei sistemi di garanzia dei depositi diversi dal mero rimborso dei depositanti. Questi interventi sono stati in Italia lo strumento ordinario di gestione delle crisi nelle banche più piccole, con ottimi risultati. Secondo la Commissione europea questi interventi vanno equiparati a misure di supporto pubblico distorsive della concorrenza e, come tali, devono essere accompagnate da misure di condivisione degli oneri da parte dei creditori subordinati (c.d. burden sharing).

Sintetizzando, nel nuovo quadro normativo sulla gestione della crisi, vi sono fondamentalmente due soli strumenti: la risoluzione e la cosiddetta liquidazione atomistica.

L’unica ulteriore flessibilità può derivare da meccanismi volontariamente istituiti dalle banche, che mettano in campo quegli interventi alternativi che ai sistemi di garanzia dei depositanti sono ormai preclusi.

La gestione della crisi delle banche oggetto dei provvedimenti di avvio della risoluzione

Con i provvedimenti del 22 novembre scorso, deliberati dalla Banca d’Italia e approvati con decreti del Ministro dell’economia e delle finanze, le banche in questione sono state avviate alla risoluzione e sono state create quattro nuove banche che ne proseguono l’attività, secondo le regole previste dalla normativa di recepimento della direttiva sulla risoluzione delle banche. Il decreto legge approvato dal Governo ha solo consentito alcune facilitazioni procedurali, l’operazione si muove tutta nel solco della normativa di recepimento della direttiva per la risoluzione recentemente entrata in vigore.

Nei mesi precedenti era stato istruito un progetto che coinvolgeva il fondo di garanzia dei depositanti. Questo progetto non è risultato praticabile nel nuovo quadro europeo, quindi la Banca d’Italia ha avviato la procedura di risoluzione, ritenuta preferibile alla liquidazione coatta amministrativa. Le conseguenze della liquidazione sarebbero infatti state disastrose: per i clienti, per i risparmiatori, per il tessuto economico dei territori interessati, per i dipendenti. E benché le quattro banche interessate costituiscano una quota molto ridotta del mercato, appena l'1 per cento, una liquidazione avrebbe potuto avere effetti sulla fiducia dei cittadini, con rischi di natura sistemica.

Il programma di risoluzione si basa sulla costituzione di una banca-ponte (bridge bank) per ognuna delle banche considerate e di una bad bank. Alle bridge bank sono stati trasferiti gli asset delle banche in crisi. Le quattro nuove banche garantiscono continuità operativa e finanziaria ai sistemi locali.
Gli effetti dell’intervento hanno quindi salvaguardato circa 1.000.000 tra depositanti e obbligazionisti senior; 200.000 PMI, che avrebbero perso in modo pressoché istantaneo il loro fornitore di credito e servizi finanziari; 6.000 posti di lavoro diretti nelle banche (oltre ad almeno un altro migliaio indotti). Per non parlare degli effetti sistemici e indotti su una decina di province tra le più dinamiche del paese, molto attive nella manifattura, nel commercio, nel turismo.

Le Nuove Banche svolgono il ruolo tradizionale di principale punto di riferimento nei propri territori per i finanziamenti alle PMI per i mutui. I circa 24 miliardi di raccolta di depositi sono pressoché interamente destinati a finanziamenti sul territorio: crediti a breve e a medio termine o leasing alle PMI, credito al consumo e mutui casa per le famiglie.

Le Nuove Banche sono totalmente prive di sofferenze, sono state ricapitalizzate ad un livello medio del CET1 del 10%, facendone istituti molto robusti e liquidi, pienamente degni della fiducia dei propri depositanti. Dal 23 novembre, cioè fin dal primo giorno successivo all’intervento delle autorità, le Nuove Banche hanno potuto ricominciare ad erogare o rinnovare credito per oltre 300 milioni di euro ad oltre 1.500 PMI, a stringere nuove intese e accordare nuovi plafond con le locali associazioni di artigiani, commercianti, agricoltori ed imprese manifatturiere e dei servizi.

Le persone fisiche che hanno investito in obbligazioni subordinate sono circa 10.500 clienti, ovvero poco più dell’1% dei clienti delle 4 banche, per un controvalore di acquisto di circa 340 milioni di euro. Poiché sono state emesse obbligazioni per circa 768 milioni di euro, non è escluso che altri investitori abbiano acquistato questi titoli sul mercato secondario oltre ai clienti qui citati.

Le sofferenze delle quattro banche in crisi sono state integralmente trasferite alla bad bank, dopo una svalutazione. La bad bank potrà quindi gestire questi asset con la realistica prospettiva di realizzare plusvalenze da trasferire al fondo di risoluzione che ha finanziato l'intera operazione.

Il fondo di risoluzione è alimentato esclusivamente da contributi privati delle banche sane, pertanto il salvataggio non ha richiesto nemmeno un euro di risorse pubbliche. I contribuenti italiani non hanno dovuto apportare all'operazione risorse proprie tramite la fiscalità generale.

La procedura di risoluzione non è comunque una scelta indolore.

Il contribuente italiano non è stato chiamato a contribuire al salvataggio di queste banche. L’operazione è stata finanziata – attraverso il Fondo di risoluzione – dal sistema bancario nel suo complesso.

Come sarebbe accaduto anche in passato nel caso di una liquidazione coatta amministrativa, a pagare sono anche gli azionisti della banca e i detentori di obbligazioni subordinate o junior, ovvero titoli di investimento rischiosi quasi quanto le azioni.

Non si può escludere che le quattro banche abbiano venduto obbligazioni subordinate a persone che presentavano un profilo di rischio incompatibile con la natura di questi titoli di investimento ma questo è quanto andrebbe accertato con un’analisi di ogni singola posizione.

La conseguenza è che alcune persone che facevano affidamento su questi titoli come forma di riserva potrebbero trovarsi ora in condizioni di vulnerabilità economica. Il Governo intende dare una risposta e ritiene che sia possibile definire un intervento compatibile con la disciplina europea degli aiuti di Stato.

Stiamo quindi preparando una norma, da introdurre per mezzo di un emendamento governativo al disegno di legge di stabilità, che dispone la creazione di un fondo per affrontare questi casi. Le modalità e i criteri di intervento del fondo con il contributo delle banche saranno definiti con un regolamento che sarà emanato successivamente, anche alla luce delle verifiche in corso con la Commissione europea.

Le tre lezioni della crisi

Ritengo utile condividere una riflessione sulle lezioni che possiamo apprendere dalla crisi.

La prima lezione è che è cambiato il mondo. Nel mondo di prima le banche non fallivano. Si adeguavano a questo assunto i comportamenti di tutti: manager, funzionari, risparmiatori con una buona dose di alea morale. Nel mondo nuovo il destino di un’impresa bancaria è assimilabile a quello di qualsiasi altra impresa ma le conseguenze di un fallimento per un’impresa bancaria sono più gravi e per questo la normativa sulla vigilanza e sui requisiti patrimoniali è sempre più stringente.

Questo Governo ha subito affrontato le conseguenze di questi cambiamenti, che richiedono innanzitutto un consolidamento del settore. In altre parole: meno banche, banche più solide. Per questo siamo intervenuti all’inizio di quest’anno con un decreto legge per promuovere la trasformazione delle banche popolari in società per azioni. Siamo intervenuti insieme alle Fondazioni bancarie per una riforma che separa con nettezza le banche da questi loro azionisti e al tempo stesso rende le Fondazioni più sicure. Stiamo promuovendo l’autoriforma delle banche di credito cooperativo, affinché gli istituti più piccoli possano aggregarsi in una casa comune capace di fare efficienza e creare economie di scala.

Abbiamo poi introdotto misure per rendere più facile e veloce il recupero dei crediti nei casi di contenzioso, abbiamo modificato il regime fiscale delle svalutazioni dei crediti per rendere più agevole l’alleggerimento dei bilanci, abbiamo reso più chiare e spedite le procedure concorsuali orientando la gestione delle crisi aziendali al recupero e al rilancio anziché alla liquidazione. Abbiamo ampliato i canali di finanziamento delle imprese con gli interventi presi nel solco delle iniziative che abbiamo chiamato di “Finanza per la crescita”, a cominciare dai mini-bond.

In sintesi, il Governo è intervenuto in modo ripetuto sul settore facendo interventi attesi da molti anni.

La seconda lezione riguarda il rapporto tra regole e comportamenti: le regole entrano in vigore da un giorno all’altro, mentre il cambiamento nei comportamenti richiede tempo e interventi di tipo anche culturale. Il salvataggio di queste quattro banche ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica il problema della scarsa educazione finanziaria della popolazione italiana. Un risparmiatore poco o male informato è potenziale vittima di abusi. Occorre aumentare l’informazione e la capacità di valutazione dei risparmiatori per ridurre le asimmetrie informative e il rischio di abuso.

Poiché reddito ed educazione sono associati, per migliorare le opportunità sociali anche delle fasce di popolazione meno abbienti è necessario lanciare un intervento di educazione finanziaria su larga scala. Già a giugno di quest’anno il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha promosso insieme al Ministero dell’Economia e delle Finanze e altri soggetti istituzionali e privati una “carta d’intenti per l’educazione economica come elemento di sviluppo e crescita sociale”. Questa iniziativa sarà potenziata ed estesa all’educazione finanziaria.

La terza lezione è che lamentarsi delle regole una volta che sono entrate in vigore è inutile. È anche alquanto singolare, se a lamentarsene sono gli stessi legislatori che le hanno approvate ma anche in questo caso posso solo limitarmi a segnalare un'ingenuità politica da parte mia. Sulle regole ci si impegna a fondo quando si scrivono. Perché siano scritte bene e nell’interesse generale.

In questo momento si sta giocando una partita molto importante per il completamento dell’Unione bancaria. Riguarda lo schema di garanzia dei depositi, che va assicurato da un fondo che sarà europeo a regime. E questo consentirà di condividere i rischi tra tutti i paesi dell’euro, in modo che una crisi che colpisse soltanto alcuni paesi possa essere affrontata con risorse comuni molto più rapidamente di quanto accaduto in passato. C’è chi ritiene che si debba arrivare a questo livello di condivisione del rischio soltanto dopo avere conseguito una riduzione totale del rischio, allo stato attuale presente a livelli diversificati tra gli stati membri.

L’Italia deve mettere in campo uno sforzo per sostenere una soluzione in cui la progressiva riduzione del rischio si accompagni a una progressiva condivisione del rischio. Si tratta di una battaglia legislativa importante alla quale un paese si dispone con coesione e senso di responsabilità verso il futuro.

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