Benvenuto sul sito del Ministero dell’Economia e delle Finanze, conosciuto anche come Portale mef

Contenuto principale

Assemblea Ordinaria degli Associati dell'Associazione Bancaria Italiana

23/06/1999

Questa assemblea, lo scorso anno, celebrava l’entrata dell’Italia nell’Euro: con il primo di maggio le ultime esitazioni dei nostri partner erano cadute, il sollievo era evidente, le aspettative eccessive. Qui il Ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi ricordava come lo sforzo straordinario compiuto dagli italiani fosse il frutto dell’affermazione della cultura della stabilità su cui intraprendere le necessarie riforme strutturali. A lui, al Presidente della Repubblica che, come tenacemente ha voluto l’Italia nell’UME, così oggi ne vuole il successo nel nuovo ambiente competitivo, porgo il mio saluto deferente.

A pochi mesi dal suo avvio possiamo dire che l’Euro abbia deluso le aspettative , che l’entusiasmo sia divenuto delusione? Per una valutazione e una comprensione che trascenda il quotidiano, occorre definire che cosa si intenda con l’espressione "un euro forte". Una moneta il cui valore esterno rifletta lo stato delle nostre economie senza essere l’oggetto dell’avida volatilità degli speculatori, una moneta il cui potere di acquisto sia stabile negli anni, una moneta che si riveli quale attività finanziaria capace di generare reddito e di attrarre risorse , capace cioè di costituire la fondazione per lo sviluppo di un’industria dei servizi finanziari di grande dimensioni; questa è "una moneta forte". È questo l’Euro? Negli anni la sua forza sarà il prodotto congiunto di un’economia europea forte, di istituzioni solide, di un mercato integrato e conorrenziale. Occorre però guardare all’oggi con occhio disincantato: il successo dell’Euro è da costruire, anche se alcuni recenti sviluppi sono incoraggianti. Occorre capire ciò che l’Europa e l’Italia devono fare.

L’economia europea: considerazioni strutturali

L’avvio della nuova moneta non ha mutato il perverso intreccio di debolezze congiunturali e strutturali che caratterizza le maggiori economie del continente europeo. Negli anni novanta il tasso di disoccupazione è stato nell’area dell’Euro il doppio di quello negli USA, il tasso di crescita degli investimenti quasi quattro volte inferiore. Il divario tra i due continenti inizia ad ampliarsi all’inizio degli anni settanta.

È ad allora che occorre ritornare per capire l’origine delle difficoltà di oggi e in particolare alla diversa risposta che Europa e USA diedero allora agli shock che colpirono i paesi industrializzati: peggioramento delle ragioni di scambio, declino prolungato della produttività, aumento dei tassi di interesse reali. Negli USA l’assenza di rigidità nel mercato del lavoro e dei prodotti permise una profonda ristrutturazione del sistema industriale che, con salari reali sostanzialmente invariati, fu alla base della crescita dell’occupazione, degli investimenti e della produttività che ha caratterizzato la più duratura espansione ininterrotta della storia dell’economia americana: nove anni. Nelle grandi economie dell’Europa continentale, la realtà è specularmente opposta: la difesa di interessi corporativi nei mercati del lavoro e dei prodotti ha reso il cambiamento difficile e costoso: con salari reali in crescita negli ultimi venti anni il tasso di disoccupazione aumenta di circa sette punti, il declino nel rapporto tra investimenti e prodotto è di un punto in Germania, due in Francia, circa tre in Italia.

All’aumento della disoccupazione, i governi dei maggiori paesi dell’Europa continentale risposero con provvedimenti che rendevano ancor più rigidi i mercati del lavoro e dei prodotti: nell’illusione che bastasse agevolare l’uscita degli anziani dal mercato del lavoro per creare posti di lavoro per i giovani, l’età pensionabile veniva diminuita, il ricorso alle pensioni di invalidità veniva ampliato e più in generale, la sicurezza del posto di lavoro trovava nelle leggi una garanzia indipendente dal mercato, dalla congiuntura, dall’efficienza dei processi produttivi, fino al punto che in alcuni importanti settori dell’economia veniva rifiutata l’applicazione degli ammortizzatori sociali utilizzati nel resto del sistema industriale.

Questi e analoghi provvedimenti, costituirono una risposta perversa che aggravò la disoccupazione esistente: causando una ulteriore contrazione dell’offerta di lavoro, peggiorando i conti pubblici, contribuendo all’aumento dei tassi di interesse reali e alla diminuzione degli investimenti privati. Con il tempo la disoccupazione si trasformò in parte in diminuzione del tasso di partecipazione.

La protezione degli occupati a scapito dei non occupati trovava il naturale complemento nella protezione degli interessi corporativi che nel mercato dei prodotti garantivano agli assetti esistenti il mantenimento di posizioni di rendita che sacrificavano l’innovazione, l’iniziativa, la mobilità sociale.

Negli anni queste economie ormai ossificate vedevano accrescere la loro fragilità rispetto agli shock di provenienza esterna: le depressioni cicliche venivano affrontate in alcuni casi con espansioni della spesa pubblica, in altri anche con periodiche svalutazioni del cambio, che davano respiro temporaneo, ma nulla facevano per rialzare il trend di una crescita di anno in anno più fioca.

Due sviluppi recenti hanno definitivamente modificato questo quadro: la globalizzazione delle relazioni e degli scambi ha grandemente accresciuto la concorrenza rendendo visibili le inefficienze e penalizzando severamente e rapidamente la mancanza di azioni correttive; questo processo ha trovato ulteriore spinta nell’avvio dell’UME che, con la disciplina di bilancio prevista dal Patto di Stabilità e con l’adozione della moneta unica, ha privato i governi dell’Euro della possibilità di attuare unilateralmente politiche anticicliche, che in molti casi servivano a rinviare la correzione di carenze strutturali.

L’economia italiana

In particolare, l’Italia negli ultimi dieci anni è cresciuta al tasso dell’1,1% che è circa la metà di quello europeo e di quello italiano degli anni ottanta, che a sua volta è circa il 60% di quello degli anni settanta. Tra i Paesi dell’Euro, l’Italia ha il tasso di occupazione più basso, il massimo numero di piccole imprese, il minore tasso di crescita degli investimenti, il massimo ritardo nella crescita del settore dei servizi che solitamente genera il maggior numero dei posti di lavoro; l’Italia registra anche la maggiore propensione a produrre inflazione.

Si tratta di carenze strutturali che hanno radici in tempi lontani e che richiedono una profonda e prolungata azione correttiva. Il DPEF, presentato questa settimana, inizia a delineare le azioni di politica economica miranti a sostenere lo sviluppo dell’efficienza nel settore dei servizi privati e pubblici e a creare una maggiore concorrenza nei mercati dei beni e dei servizi e nel mercato del lavoro. Gli interventi porteranno a una modifica delle regole di funzionamento di questi mercati e della PA, nonché a una correzione degli effetti di disincentivo che il prelievo fiscale e contributivo esercitano sulla formazione dell’offerta aggregata.

Sul mercato del lavoro, grazie ad elementi di flessibilità già introdotti, stiamo assistendo a una reattività dell’occupazione alla crescita maggiore di quanto avvenuto nel passato; questo fenomeno risulterebbe ancor più sostenuto se i fondi per la riduzione degli oneri sul salario dei lavoratori a tempo parziale fossero incrementati, se maggiore impulso fosse dato all’uso dei contratti a tempo determinato e fossero ridotte le limitazioni all’utilizzazione del lavoro interinale.

Non va comunque trascurato il fatto che le deleghe per la riforma degli incentivi all’occupazione giovanile e dei disoccupati, degli ammortizzatori sociali e del TFR, se considerate nel loro insieme, consentono di ridisegnare la normativa relativa al rischio perdita di lavoro, che potrebbe coinvolgere anche incentivi all’aumento dell’offerta di lavoro anche nelle fasi finali della carriera lavorativa, con ricadute naturali sul pensionamento d’anzianità.

Il mercato dei capitali deve continuare il suo sviluppo, sostenuto dal processo di liberalizzazione legato anche ai programmi di privatizzazione. L’allargamento delle possibilità di finanziamento con capitale di rischio può trovare sostegno nello sviluppo dei fondi pensione, che si combinerebbe con l’esigenza di diversificazione del portafoglio pensionistico da parte dei lavoratori. L’ostacolo principale è costituito dall’elevato livello dell’aliquota contributiva. Si possono studiare modalità per concordare uno spostamento graduale di una parte limitata della attuale contribuzione.

La pubblica amministrazione deve trasformarsi in elemento di sostegno, e non ostacolo, all’attività produttiva. Le profonde riforme introdotte dai d.l. "Bassanini", devono trovare immediato riflesso operativo nell’azione sul territorio della pubblica amministrazione attraverso la velocizzazione e semplificazione più accentuata dei

procedimenti amministrativi, anche attraverso la sostituzione delle pratiche di rilascio di permessi ed autorizzazioni con l’utilizzo diffuso delle autocertificazioni.

L’integrazione finanziaria europea

I mercati dei capitali

Sotto il profilo dell’integrazione finanziaria e delle azioni sia ordinamentali, sia di mercato necessarie per la sua attuazione, il quadro si presenta decisamente diverso. L’avvio dell’Euro ha dato un forte impulso a uno sviluppo già in atto: in tutta Europa profondi cambiamenti nelle norme e nelle strategie di mercato stanno formando la base per un’industria dei servizi finanziari europea.

L’eliminazione del rischio di cambio per i paesi dell’Euro, congiuntamente alla maggiore stabilità politica ed economica ha già sensibilmente ridotto il rischio paese, favorendo l’avvicinamento di investitori privati ed istituzionali ad un numero più elevato di titoli e riducendo la volatilità nei mercati azionari europei.

Nella decisione di investimento sarà prevalente l’analisi del settore produttivo e dell’impresa. Ciò sta già portando a una profonda e generalizzata ristrutturazione dei portafogli, che secondo una recente indagine, vede la maggioranza degli operatori decidere indipendentemente dal paese dove sono quotate le società in cui essi investono. Ciò, in una situazione di prevalente allocazione nazionale dei portafogli (circa il 95% per Italia, Germania, Portogallo e Spagna, di circa il 90% per la Francia, del 73% per la Gran Bretagna),potrà portare a flussi di investimento e disinvestimento di proporzioni considerevoli.

Con l’Euro, l’accesso al mercato del capitale di rischio dovrebbe risultare più facile, in particolare per le imprese di dimensioni minori, che potranno fare affidamento su una più ampia base di investitori che, a loro volta potranno usufruire di un ventaglio di opportunità di investimento più ampio.

È prevedibile anche una crescita del risparmio individuale e di quello legato a programmi previdenziali. In particolare la regolamentazione in termini di "currency matching" per gli investimenti dei fondi pensione e delle società di assicurazione, potrà fare riferimento a tutti i paesi appartenenti all’EMU, favorendo la mobilità del capitale gestito da tali investitori istituzionali all’interno dell’Unione Europea grazie, appunto, all’abbattimento del rischio di cambio.

L’azione del Governo italiano

Nel corso dell’ultimo anno, il Governo è stato impegnato a proseguire la complessa opera riformatrice dell’ordinamento finanziario.

La sua azione ha avuto come obiettivo quello di dare un più significativo impulso al ruolo del mercato e alle sue regole, in un contesto di continuità con l’opera di liberalizzazione dei servizi bancari e finanziari iniziata a partire dai primi anni ’90.

Il riordino legislativo ha prodotto una disciplina organica di base incentrata sul T.U. bancario del 1993 e sul T.U. della finanza del 1998, che alla tutela pubblicistica del risparmio centrata sulla L.B. del 1936, sulla proprietà pubblica di gran parte del sistema bancario, nonché sulla sua funzione centrale nell’intermediazione creditizia, hanno sostituito una tutela fondata sulla proprietà privata, sulla funzione "pivotale" dei mercati nella canalizzazione del risparmio, sul loro funzionamento ordinato e trasparente.

I risultati raggiunti possono sintetizzarsi nella quasi totale privatizzazione della proprietà delle banche e delle principali imprese pubbliche, nella creazione di nuovi intermediari e di nuovi prodotti, nel riposizionamento sul mercato di alcuni grandi gruppi bancari.

Concorrenzialità dell’ordinamento, organicità e flessibilità della normativa, complementarità tra regole di mercato e di governo societario, bilanciamento tra tutela delle minoranze e stabilità delle imprese sono le linee guida tenute presenti dal legislatore delegato.

La gestione collettiva del risparmio, che ha trovato in questi ultimi anni un forte sviluppo anche nel nostro Paese, è stata interessata da un’ampia delegificazione: alla normativa secondaria competono ora la definizione delle caratteristiche e dei limiti operativi dei fondi d’investimento collettivo. È stata introdotta la figura di un nuovo intermediario, il gestore unico, il quale potrà operare su qualsiasi prodotto connesso con la gestione del risparmio di terzi.

Il quadro normativo è stato concepito per esaltare la funzione d’incentivo che l’ordinamento deve svolgere nell’assicurare un efficiente afflusso di risorse al sistema produttivo.

Il nuovo diritto societario, per le imprese quotate, contempera le esigenze di chi gestisce l’impresa con quelle degli azionisti di minoranza. Viene completamente rivista la materia delle offerte pubbliche di acquisto e di scambio sulle azioni secondo princìpi che conferiscono alla trasparenza degli interventi la massima attenzione per consentire a tutti i soggetti che operano nell’impresa o che hanno interessi in essa di avere la possibilità di tutelare le proprie ragioni.

In materia di società quotate le linee di intervento hanno mirato a migliorare: la trasparenza societaria che ha beneficiato di una semplificazione del regime dell’informazione al mercato anche in sede di sollecitazione del risparmio nonchè della pubblicità degli assetti proprietari e dei patti di sindacato.