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Audizione del ministro sul Federalismo Fiscale

18/04/2019

Audizione del ministro Tria alla Commissione parlamentare per l’attuazione del Federalismo Fiscale

Il tema del federalismo fiscale è un tema complesso e di grande rilevanza per il futuro dell’assetto istituzionale del Paese.
Vista la complessità della materia, suddividerò il mio intervento in blocchi omogenei, che corrispondono sostanzialmente alle puntuali domande che mi avete anticipato:

  1. la valutazione sullo stato di attuazione dei principi dell’autonomia degli enti territoriali e dei rapporti tra questi e lo Stato;
  2. la distribuzione delle risorse in base ai fabbisogni e alle capacità fiscali standard dei territori;
  3. l’equilibrio dei bilanci e l’armonizzazione dei bilanci pubblici degli enti territoriali;
  4. la finanza delle regioni e degli enti locali, le modalità di ripartizione tra i comuni del Fondo di solidarietà comunale e delle risorse perequative; gli interventi speciali;
  5. gli effetti finanziari della eventuale definizione di intese tra Stato e regione ai sensi dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione.

1. La legge delega per l’attuazione del federalismo fiscale

L’articolo 119 della Costituzione opera una chiara scelta in direzione dell’autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle regioni e degli enti locali. Questo nella convinzione che uno stretto legame tra decisioni di spesa e di prelievo contribuisca a migliorare l’utilizzo delle risorse e a rendere la spesa più rispondente alle preferenze dei cittadini.

I principi contenuti nell’articolo 119 trovano specificazione nella legge delega n. 42 del 2009 per l’attuazione del federalismo fiscale e nei conseguenti decreti legislativi delegati.

La legge n. 42/2009 interviene su tre ambiti fondamentali:

  • l’attribuzione di una maggiore autonomia agli enti decentrati;
  • il superamento della spesa storica per tutti i livelli di governo e
  • la definizione di meccanismi perequativi per regolare l’assegnazione di risorse agli enti locali dotati di minori capacità di autofinanziamento;
  • l’individuazione degli strumenti necessari ad assicurare il coordinamento tra i diversi livelli di governo in materia di finanza pubblica.

Nel ridefinire l’assetto della finanza decentrata, la legge delega intende perseguire tra l’altro i seguenti obiettivi:

  • assicurare che l’offerta pubblica di servizi riflettesse le preferenze dei cittadini‐elettori;
  • rafforzare la responsabilità degli amministratori locali nei confronti dei cittadini‐elettori, mettendo questi ultimi nella condizione di valutare la corrispondenza tra imposte pagate e quantità/qualità dei servizi ricevuti;
  • superare la “finanza derivata” sopprimendo i trasferimenti statali basati sulla “spesa storica” e, contestualmente riconoscendo agli enti decentrati strumenti articolati di autonomia impositiva in relazione alle funzioni da svolgere.

La legge delega disegna anche il sistema di relazioni finanziarie tra il governo centrale e i livelli inferiori di governo che avrebbe dovuto accompagnare la transizione graduale al federalismo fiscale.

Tale disegno si articola in particolare su:

  1. le fonti di finanziamento: Regioni ed enti locali stabiliscono ed entrate proprie in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;
  2. la definizione di meccanismi di perequazione che devono assicurare la riduzione degli squilibri territoriali legati sia alle diverse capacità fiscali (le basi imponibili dei tributi sono disomogenee sul territorio) sia a bisogni di spesa pubblica (che sono invece più omogenei su base territoriale).

La legge n. 42/2009 prevede la copertura integrale della differenza tra le entrate e le spese standardizzate per le funzioni riconosciute come fondamentali (sanità, assistenza e istruzione).

Allo Stato spetta definire i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.

Ai LEP sono associati i fabbisogni standard necessari ad assicurare tali prestazioni. I LEP non risultano definiti, se non limitatamente al settore sanitario, con la conseguenza che manca il punto di riferimento per la definizione del giusto livello di risorse per ciascun ente. Ciò rileva in particolare nell’ambito delle funzioni fondamentali, per le quali è previsto il finanziamento integrale, attraverso l’autonomia impositiva e, laddove questa non sia sufficiente, attraverso il fondo perequativo.

Per le altre funzioni o tipologie di spese decentrate è invece prevista la perequazione delle capacità fiscali, affinché il finanziamento tenga conto di livelli di risorse differenziati nei territori. Il modello di perequazione delle capacità fiscali delineato dalla legge delega è finalizzato ad assicurare il tendenziale avvicinamento delle risorse a disposizione dei diversi territori, senza tuttavia alterare l’ordine delle rispettive capacità fiscali.

Occorre tuttavia riconoscere che l’attuazione della delega è stata pesantemente condizionata dalla crisi economica che ha colpito l’Italia dal 2008 e dai conseguenti vincoli di bilancio, che hanno richiesto l’imposizione di significative manovre finanziarie a carico degli enti territoriali. Gli interventi succedutesi a partire dal 2011 hanno privilegiato l’equilibrio dei conti pubblici e ridotto i trasferimenti statali che la legge n. 42/2009 aveva previsto di trasformare in risorse autonome. Conseguentemente il disegno riformatore ha registrato un sostanziale rallentamento.

Ritengo che il disegno della legge delega del 2009 sia ancora ampiamente condivisibile. Il percorso che condurrà alla sua piena attuazione deve quindi continuare, potenziando l’autonomia finanziaria oggi riconosciuta solo in parte agli enti decentrati e mettendo a punto i meccanismi di perequazione.

2. La distribuzione delle risorse in base ai fabbisogni standard e alla capacità fiscale dei territori

I principi della legge n. 42/2009 hanno trovato parziale attuazione con riferimento alla distribuzione delle risorse tra i comuni delle regioni a statuto ordinario.

In relazione al fondo di solidarietà comunale il percorso avviato nel 2015 porterà nel 2021 al passaggio dal criterio della spesa storica, fonte di squilibri e distorsioni nell’assegnazione delle risorse, a una distribuzione basata integralmente su meccanismi perequativi, che prendono in considerazione i fabbisogni standard e le capacità fiscali standard.

Come già evidenziato dalla Sose nella sua audizione l’applicazione dei fabbisogni standard determina il riconoscimento di una spesa standard superiore alla spesa storica nei comuni di dieci regioni (Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Marche, Umbria, Molise, Puglia, Campania, Basilicata e Calabria) e il riconoscimento di una spesa standard inferiore alla spesa storica nei comuni di cinque regioni (Lombardia, Liguria, Toscana, Lazio, Abruzzo). [cfr. tabella seguente]

  SPESA STORICA euro per ab. SPESA STANDARD euro per ab.
Piemonte 476,88351 500,16353
Lombardia 520,55034 499,11238
Veneto 427,12063 460,20824
Liguria 623,65550 566,48724
Emilia‐Romagna 547,68873 547,92400
Toscana 534,55593 520,24586
Umbria 431,13863 487,20835
Marche 474,89134 503,04142
Lazio 649,76105 591,50419
Abruzzo 465,37240 453,81841
Molise 357,25412 461,70768
Campania 378,71340 399,87087
Puglia 378,43628 410,99380
Basilicata 442,87181 468,23789
Calabria 383,02516 411,10579
Italia 490,49046 490,49027
 

È però da considerare che un fabbisogno standard diverso dalla spesa storica può essere il risultato sia della differente efficienza con cui i servizi locali vengono erogati, sia della differente qualità e quantità dei servizi offerti.

L’assenza dei LEP, unitamente alla carenza di risorse finanziarie e alla mancata riforma del catasto, rende poco agevoli le scelte per il progressivo abbandono del criterio della spesa storica, in favore del criterio dei fabbisogni e delle capacità fiscali standard.

La Commissione fabbisogni standard, la Conferenza Stato‐città e le Commissioni parlamentari competenti hanno fatto prevalere in questi anni l’esigenza di limitare gli effetti redistributivi del nuovo sistema, attraverso complesse soluzioni tecniche, quali il livello dei servizi per le funzioni di costo, il target perequativo al 50% e le clausole di salvaguardia per limitare gli eccessi.

La capacità fiscale dei comuni delle regioni a statuto ordinario è il gettito tributario di spettanza di ciascun ente locale applicando l’aliquota ordinaria in assenza di maggiorazioni o riduzioni di imposta decise dall’ente.

La stima viene effettuata considerando le basi imponibili puntuali dei principali tributi comunali (IMU, TASI e addizionale comunale all’IRPEF) e utilizza regressioni econometriche per stimare in modo residuale la capacità fiscale relativa ai tributi minori per i quali non sono disponibili informazioni puntuali.

Ad oggi, la capacità fiscale è stimata in circa 25,5 miliardi di euro di cui quasi il 50% si riferisce al gettito standard di IMU e TASI. La capacità fiscale pro capite per il totale dei comuni delle Regioni a statuto ordinario risulta pari a 475 euro. I comuni delle Regioni del centro‐sud hanno una capacità fiscale pro capite ben al di sotto del valore medio totale. [cfr. tabella seguente]

Regione Capacità fiscale pro capite (in euro)
Abruzzo 474
Basilicata 268
Calabria 253
Campania 320
Emilia Romagna 571
Lazio 402
Liguria 776
Lombardia 502
Marche 406
Molise 327
Piemonte 573
Puglia 354
Toscana 596
Umbria 457
Veneto 481
Totale 475
 

3. Equilibrio dei bilanci e armonizzazione dei bilanci pubblici degli enti territoriali

La legge n. 42/2009 (articolo 2) ha avuto attuazione con riferimento alla riforma della contabilità, nell’ambito del processo di armonizzazione dei bilanci pubblici.

Il decreto legislativo n. 118/2011, integrato e corretto dal decreto legislativo n. 126/2014, ha conseguito l’obiettivo di armonizzare i sistemi contabili e gli schemi di bilancio degli enti territoriali, quale strumento necessario per il coordinamento della finanza pubblica.

La riforma garantisce gli equilibri di finanza pubblica e l’attuazione degli articoli 81 e 97 della Costituzione.

La legge di bilancio per il 2019, anche a seguito delle sentenze della Corte costituzionale n. 247/2017 e n. 101/2018, ha semplificato, a decorrere dall’anno 2019 (dal 2021 per le regioni a statuto ordinario) le regole di finanza pubblica applicate da regioni ed enti locali, completando in questo modo il percorso avviato alcuni anni fa.

Per rilanciare gli investimenti è stata prevista la possibilità di utilizzare senza limiti gli avanzi di amministrazione e i fondi pluriennali vincolati, correggendo così uno dei limiti principali dell’assetto precedente.

L’impatto in termini di maggiori investimenti è dato dall’entità degli avanzi potenzialmente utilizzabili che, in un arco temporale pluriennale, è stimabile in circa 23 miliardi di euro (14,6 miliardi per i comuni, 3,3 miliardi per le province e le città metropolitane e 5,5 miliardi per le regioni), questi valori sono concentrati in prevalenza nel Nord del Paese (con l’eccezione di alcune aree del Sud, in particolare nella Sardegna e nella Puglia).

Come evidenziato dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio, una prima e parziale verifica (utilizzando i dati SIOPE) degli effetti delle nuove regole contabili sulla dinamica dei pagamenti per spese di investimento sembra confermare, a partire dall’ultimo trimestre dello scorso anno, un’accelerazione della spesa per investimenti (tra ottobre 2018 e febbraio 2019 si registra un più 17,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente).

In materia contabile, per attuare la direttiva 2011/85/UE, attraverso l’adozione degli EPSAS (European Public Sector Accounting Standards ovvero i principi contabili europei per il settore pubblico), sarà necessario un forte impegno sia per l’adeguamento dei sistemi informativi contabili, sia per la formazione del personale degli enti territoriali, tradizionalmente legato alla contabilità finanziaria.

4. L’assetto della fiscalità regionale, provinciale e comunale

4.1. Per quanto concerne l’assetto della fiscalità regionale, il decreto legislativo n. 68 del 2011 ha riconosciuto alle regioni una più ampia possibilità di attuare politiche economiche e sociali, assicurando spazi di manovrabilità dei “tributi propri derivati”.

La vera novità in materia di fiscalità territoriale è rappresentata dalla trasformazione in “tributi propri regionali” di una serie di “tributi propri derivati”. Gli enti territoriali possono disciplinare autonomamente e addirittura sopprimere i tributi propri regionali, nonché possono istituire tributi regionali o locali su presupposti non assoggettati a imposizione da parte dello Stato.

Ciononostante, le disposizioni più significative del decreto legislativo n. 68 del 2011 non sono state ancora attuate a causa di oggettive difficoltà tecnico‐operative di non facile soluzione. Questo ha determinato continui rinvii da parte del legislatore che attualmente ne ha previsto l’attuazione a decorrere dal 2020.

Se la data del 1° gennaio 2020 fosse confermata, sarebbe necessario in tempi brevi porre in essere importanti adempimenti quali:

  • La definizione dei LEP;
  • L’applicazione del principio di territorialità delle entrate;
  • La fiscalizzazione dei trasferimenti;
  • La definizione delle modalità di perequazione.

Relativamente al finanziamento del settore sanitario, il fabbisogno finanziario è definito di norma nelle leggi di bilancio (per l’anno 2019 pari a 113.404 milioni di euro) ed è coperto da un insieme di entrate, in parte proprie, in parte compartecipazioni al gettito erariale.

Nel comparto sanitario, a partire dal 2020, vi saranno rilevanti cambiamenti di natura procedimentale. Fino al 2019 l’aliquota di compartecipazione IVA è stata fissata a saldo ovvero al livello necessario per consentire l’integrale copertura del fabbisogno sanitario di tutte le regioni a statuto ordinario. Dal 2020, invece, tale aliquota sarà determinata al livello minimo che consenta la copertura del fabbisogno in una sola regione (quella con maggior Iva maturata nel territorio), con garanzia di copertura integrale del fabbisogno sanitario nelle altre regioni attraverso il fondo perequativo. Verrà così garantita a ciascuna regione la copertura finanziaria dei Livelli Essenziali di Assistenza del settore sanitario (LEA).

Tale schema di finanziamento deve applicarsi, in assenza di un’ulteriore proroga, anche all’assistenza, all’istruzione, al trasporto pubblico locale (con riferimento alla spesa in conto capitale) e a ulteriori eventuali materie individuate dalla legge (art. 20, c. 2, legge n. 42/2009).

Con specifico riferimento alla mancata fiscalizzazione dei trasferimenti erariali, si ribadisce che le manovre di finanza pubblica hanno ridotto notevolmente i trasferimenti a favore delle Regioni a statuto ordinario. Si stima che i trasferimenti dal bilancio dello Stato in favore delle regioni, potenzialmente fiscalizzabili, ammontino a circa 6 miliardi. [cfr. tabella seguente].

  RISORSE PREVISTE A LEGISLAZIONE VIGENTE
  CAPITOLO DESCRIZIONE 2019 2020 2021 Note
Istruzione 1710/MIUR FONDO INTEGRATIVO PER LA CONCESSIONE DELLE BORSE DI STUDIO 246.814.548,00 236.814.548,00 236.814.548,00  
2043/MIUR SOMMA PER EROGAZIONE GRATUITA DI LIBRI DI TESTO 103.000.000,00 103.000.000,00 103.000.000,00  
7105/MIUR FONDO UNICO PER L'EDILIZIA SCOLASTICA 492.706.047,00 250.000.000,00 60.000.000,00  
Agricoltura 7637/MIPAAF SOMME DA ASSEGNARE ALLE REGIONI PER INTERVENTI NEL CAMPO DEL MIGLIORAMENTO GENETICO DEL BESTIAME 8.343.960,00 8.343.960,00 8.343.960,00  
7638/MIPAAF SOMME DA ASSEGNARE ALLE REGIONI PER INTERVENTI NEI SETTORI DELL'AGRICOLTURA, DELL'AGROINDUSTRIA E DELLE FORESTE E DI ALTRE ATTIVITÀ TRASFERITE IN ATTUAZIONE DEL DECRETO LEGISLATIVO 143/1997 14.162.135,00 14.162.135,00 14.162.135,00  
INFRASTRUTTURE E TRASPORTI 1690/MIT FONDO NAZIONALE PER IL SOSTEGNO ALL'ACCESSO ALLE ABITAZIONI INLOCAZIONE 10.000.000,00 10.000.000,00 0,0  
1693/MIT FONDO INQUILINI MOROSI INCOLPEVOLI 46.100.000,00 9.500.000,00 0,00  
1315/MIT FONDO NAZIONALE PER IL TRASPORTO PUBBLICO LOCALE 4.876.554.000,00 4.875.554.000,00 4.874.554.000,00  
POLITICHE SPECIALI 3671/LAVORO FONDO DA RIPARTIRE PER LE POLITICHE SOCIALI 400.958.592,00 400.958.592,00 400.958.592,00  
3538/LAVORO FONDO PER LE NON AUTOSUFFICIENZE 573.200.000,00 571.000.000,00 568.900.000,00  
ECONOMIA 7464/MEF EDILIZIA SANITARIA 625.000.000,00 1.121.200.000,00 2.450.000.000,00  
Somme fiscalizzabili (evidenziate in verde) 6.223.033.235,00 6.209.833.235,00 6.206.733.235,00      
Somme non fiscalizzabili 1.173.806.047,00 1.390.700.000,00 2.510.000.000,00      
TOTALE 7.396.839.282,00 7.600.533.235,00 8.716.733.235,00      
 

La legge n. 42/2009 contiene, poi, specifiche misure di coordinamento con gli statuti delle regioni a statuto speciale. In particolare, vengono introdotte regole volte a uniformare il modello di finanziamento basato sulla stima dei costi e sulla attribuzione di risorse con criteri che non sono dissimili da quelli previsti per le regioni ordinarie. Tale processo uniformatore impone l’adozione di standard comparativi che consentano una valutazione sull’attualità degli ordinamenti finanziari e sulla loro idoneità alla copertura finanziaria delle funzioni esercitate o da trasferire.

Di recente, come richiesto dalla Corte Costituzionale, i rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali sono stati regolati attraverso specifici Accordi, da ultimo, il 25 febbraio 2019 è stato sottoscritto l’accordo con la regione Friuli Venezia Giulia ed entro il prossimo 30 giugno dovrebbe essere siglato l’accordo con la regione Sardegna, con cui sono già in corso trattative.

4.2. Le province sono finanziate sulla base del fondo sperimentale di riequilibrio, integralmente distribuito sulla base del criterio storico. Analogo criterio si applica anche alle città metropolitane. Per le province e le città metropolitane, si può quindi affermare che i principi di cui alla legge n. 42/2009 non sono stati attuati con riferimento alla quantificazione, all’alimentazione e ai criteri di riparto del fondo perequativo.

4.3. Con riferimento ai comuni il fondo di solidarietà comunale, la cui entità e i cui criteri sono cambiati ripetutamente nel corso degli ultimi 10 anni, ammonta per il 2019 a circa 6,5 miliardi. In ogni caso, al pari di quanto sostenuto con riferimento alle province e alle città metropolitane, l’attuale fondo di solidarietà comunale (a regime dal 2021) non rappresenta una concreta attuazione dei principi della legge n. 42/2009, per le notevoli differenze esistenti con riferimento alla quantificazione, all’alimentazione e ai criteri di riparto del fondo stesso. [cfr. tabella seguente]

ANNO FONDO SPERIMENTALE DI RIEQUILIBRIO/FONDO DI SOLIDARIETÀ COMUNALE AMMONTARE COMPLESSIVO QUOTA DISTRIBUITA SULLA BASE DELLE DIFFERENZE TRA FABBISOGNI STANDARD E CAPACITÀ FISCALE STANDARD
2011 FONDO SPERIMENTALE DI RIEQUILIBRIO
Criterio di riparto integralmente storico
11.264.914.591,29  
2012 FONDO SPERIMENTALE DI RIEQUILIBRIO
Criterio di riparto integralmente storico
6.825.394.605,00  
2013 FONDO SOLIDARIETÀ COMUNALE.
Criterio di riparto integralmente storico
6.974.344.596,18  
2014 FONDO SOLIDARIETÀ COMUNALE 2.
Criterio di riparto integralmente storico
6.339.884.208,94  
2015 FONDO SOLIDARIETÀ COMUNALE. 3
Criterio di riparto basato su differenza tra fabbisogni standard e capacità fiscale standard per 20% quota comuni RSO (restante storico)
4.778.689.793,58 830.599.928,36
2016 FONDO SOLIDARIETÀ COMUNALE. 4 Criterio di riparto basato su differenza tra fabbisogni standard e capacità fiscale standard per 30% quota comuni RSO (restante storico). 6.442.721.947,09 851.719.614,99
2017 FONDO SOLIDARIETÀ COMUNALE. Criterio di riparto basato su differenza tra fabbisogni standard e capacità fiscale standard per 40% quota comuni RSO (restante storico). 6.535.290.215,29 1.129.087.068,97
2018 FONDO SOLIDARIETÀ COMUNALE. Criterio di riparto basato su differenza tra fabbisogni standard e capacità fiscale standard per 45% quota comuni RSO (restante storico). 6.540.265.636.08 1.242.908.966,06
2019 Conferma Fondo di solidarietà comunale 2018 (art. 1, c. 921, L 145/2018) 6.540.265.636.08 1.242.908.966,06
2020 A legislazione vigente è previsto che la quota comuni RSO ripartita sulla base della differenza tra fabbisogni standard sale all’85%.    
2021 e seguenti A legislazione vigente è previsto che la quota comuni RSO ripartita sulla base della differenza tra fabbisogni standard sale al 100%.    
 

4.4. Infine, per quanto concerne gli interventi speciali, l’articolo 119 della Costituzione, al quinto comma, prevede che lo Stato possa destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. Sul tema degli interventi speciali sono stati emanati i decreti legislativi n. 228/2011 e n. 229/2011, rispettivamente finalizzati a richiedere ai Ministeri un’adeguata programmazione e pianificazione degli investimenti e a perfezionare il sistema conoscitivo attraverso la banca dati delle opere pubbliche. Nonostante l’emanazione di tali decreti, molto resta ancora da fare in materia di perequazione infrastrutturale.

5. Effetti finanziari della eventuale definizione di intese tra Stato e regione ai sensi dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione

Per quanto concerne il tema degli effetti finanziari dell’eventuale definizione di intese, ai sensi del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, segnalo che in alcuni casi, le richieste regionali non appaiono del tutto coerenti con i principi costituzionali. Tali richieste sono spesso inerenti a materie diverse da quelle elencate nella Costituzione e che, pertanto, vista la tassatività del disposto costituzionale, non possono essere oggetto di attribuzione. In particolare, tra le norme costituzionali che non possono essere derogate deve ricomprendersi l’art. 117, secondo comma, lettera e), che attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di sistema tributario e contabile dello Stato. Gli schemi di Intesa non quantificano sin da subito le risorse finanziarie, umane e strumentali, ma costituiscono il quadro generale di riferimento.

Ciò posto, solo successivamente all’entrata in vigore delle leggi di approvazione dell’Intesa potrà prendere avvio il complesso processo di definizione delle specifiche attività amministrative correlate alle funzioni trasferite e dei relativi beni e risorse. In altri termini, saranno i singoli DPCM lo strumento che concretamente renderà operativo il complesso disegno di autonomia differenziata.

Sarà quindi possibile conoscere gli effetti finanziari dell’autonomia differenziata solo a seguito dell’emanazione dei vari DPCM, come d’altronde è già accaduto nel cosiddetto “processo di federalismo amministrativo a costituzione invariata”, avviato dalla legge delega n. 59/1997. Di conseguenza, nell’attuale fase embrionale non è possibile esprimere una valutazione degli impatti sulla finanza pubblica. La quantificazione degli effetti finanziari delle intese sarà effettuata al momento dell'adozione dei singoli DPCM. Questi ultimi, nel caso comportino nuovi o maggiori oneri, saranno emanati solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie. A ciascuno schema di DPCM dovrà essere allegata una relazione tecnica, che dia conto della neutralità finanziaria del medesimo decreto, ovvero dei nuovi o maggiori oneri da esso derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura.

6. Conclusioni

In conclusione, per quanto concerne l’assetto della finanza locale nel suo complesso, in questi ultimi anni, parecchio è stato fatto per potenziare l’autonomia finanziaria e la responsabilità fiscale di regioni ed enti locali.

Ci si riferisce, nello specifico, alla riforma della contabilità (con l’introduzione di importanti strumenti quali il fondo crediti di dubbia esigibilità, la contabilità economico patrimoniale, il bilancio consolidato), alla semplificazione della regola di finanza pubblica (con il superamento del Patto di stabilità interno e il libero utilizzo degli avanzi di amministrazione per il rilancio degli investimenti), al venir meno dal 2019 del blocco della manovrabilità fiscale (per una maggiore autonomia nel soddisfare le esigenze dei cittadini).

Il disegno va completato sotto il profilo degli strumenti perequativi, sulla base dei fabbisogni standard e della capacità contributiva. Occorre porre maggiore attenzione nei confronti di quelle regioni e di quegli enti locali che registrano difficoltà nel perseguire gli equilibri di bilancio, eventualmente attraverso l’individuazione di misure tecniche volte a potenziare la loro capacità di riscossione, causa principale delle situazioni di dissesto e di pre‐dissesto. Il punto d’arrivo deve essere un assetto in cui ogni ente dispone di entrate adeguate e risponde ai cittadini della qualità dei servizi offerti. Il miglioramento della qualità dei servizi incide peraltro sulla competitività del sistema economico e sulla qualità dell’ambiente imprenditoriale che il Paese è in grado di offrire alle imprese italiane e straniere con effetti anche sul benessere economico dei cittadini.

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