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Va fermato il declino ora investiamo sul futuro

Affari & Finanza - 24/10/2016

L’intervento del Ministro dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan, pubblicato nel dossier sui 30 anni di “Affari & Finanza”, l’inserto economico del quotidiano la Repubblica.

Se volgiamo lo sguardo al tempo passato dalla nascita di Affari&Finanza, constatiamo il numero e la frequenza delle crisi che hanno messo in discussione la sostenibilità dell'ambiente in cui operiamo e perfino il mondo in cui viviamo. Di quanto avvenuto in Italia mi sembra particolarmente significativo l'arco temporale che intercorre tra due fasi. La prima coincide con l'inchiesta Mani Pulite, che innesca cambiamenti che toccano il quadro istituzionale del Paese tanto da far parlare di "fine della Prima Repubblica": i due partiti di massa tradizionali entrano in una crisi irreversibile, una nuova legge introduce l'elezione diretta dei sindaci, si istituiscono commissioni con lo scopo – non raggiunto – di modificare la Costituzione (il rapporto tra Stato e Regioni viene modificato con la riforma del Titolo V solo dieci anni dopo). Nel frattempo nasce la moneta unica, alla quale l'Italia aderisce fin dall'inizio grazie a uno sforzo straordinario di aggiustamento delle finanze pubbliche che consente di rispettare i requisiti di partecipazione. Il secondo estremo dell'arco temporale è segnato dalla crisi finanziaria nata con la bolla immobiliare negli Stati Uniti e trasferita nelle economie europee attraverso i prodotti derivati. Ne è seguito un significativo aggiustamento del sistema bancario di molti paesi, fino a culminare nella crisi dei debiti sovrani del 2011-12.

Di questi anni l'Italia porta evidenti tre segni: la scarsa efficacia delle amministrazioni pubbliche, i numerosi vincoli a una concorrenza capace di stimolare l'innovazione, i crediti deteriorati di un sistema bancario dominante nel finanziamento alle imprese. La mancanza di riforme strutturali e l'inadeguata attuazione delle riforme di cui si è tentata l'introduzione senza la necessaria continuità politico-istituzionale ci hanno consegnato un presente gravato di vincoli.

Il quadro internazionale non è in una situazione migliore. Al confronto politico-ideologico tra blocchi si è sostituito un conflitto su basi ideologiche e religiose con il dilagare del terrorismo, il quale si estende ben oltre i confini di interventi bellici in aree delimitate. Intanto la Cina emerge tra le superpotenze economiche: da fabbrica del mondo si trasforma in motore dell'innovazione e comincia a imporre ai mercati i suoi brand, insieme ai prodotti di consumo concepiti in altri paesi asiatici come la Corea del Sud. La globalizzazione consente di affrancare dalla povertà un miliardo di persone ma sottrae spazi di comfort al Vecchio Continente e agli stessi Stati Uniti. In Europa si scopre che le nuove condizioni competitive mettono in crisi il tradizionale modello di benessere che garantiva alla maggioranza dei cittadini condizioni di vita più che dignitose e la speranza di prosperità futura. In questi anni si sviluppa la comunità dei Paesi europei che hanno coltivato l'aspirazione a realizzare un continente coeso dal quale bandire conflitti nazionali, e nasce una Unione europea aperta all'ingresso di Stati nati dalla dissoluzione dell'Urss. Al cuore di questa, una Unione economica e monetaria basata sulla convergenza delle economie nazionali verso un modello caratterizzato da finanze pubbliche sane, con una moneta unica non (ancora) sostenuta da un bilancio unitario né da una autorità politicamente legittimata alla gestione fiscale. In mancanza di una forte componente sovrannazionale, con l'eccezione della Banca Centrale Europea, gli Stati adottano regole comuni stringenti, nella convinzione che i vincoli esterni agli Stati membri possano sottrarre i governi nazionali alla tentazione di una gestione dei bilanci incompatibile con la sopravvivenza della moneta unica.
Ma alla necessaria disciplina di bilancio non si affianca una efficace politica per la crescita e l'occupazione. L'esito di questa scelta è la crescente difficoltà a conciliare rigore fiscale e crescita, soprattutto dopo le conseguenze devastanti della crisi finanziaria che, al contrario degli Stati Uniti, lascia tracce profonde sull'economia europea. La conseguenza ultima è una crescente disillusione dei cittadini, che vedono nell'Europa la causa delle crisi e l'origine dei propri mali, anziché una fonte di risposte capaci di dare soluzione a problemi come migrazioni o terrorismo. La sfiducia dei cittadini europei nei confronti delle istituzioni comunitarie si incrocia con la sfiducia che va maturando tra i governi degli Stati membri. Ciascun governo rischia di essere condizionato dalle dinamiche del consenso interno e sospetta che gli altri interlocutori intorno al tavolo facciano prevalere gli interessi nazionali in luogo degli interessi comuni. Al problema della crescente divergenza tra economie nazionali si somma il deficit di fiducia tra i governi e tra cittadini e istituzioni europee. II processo di convergenza si arresta e rischia di invertirsi. Davanti a un'economia che cresce debolmente, crescenti disuguaglianze nella distribuzione del prodotto, aspettative per il futuro sempre più caratterizzate dall'incertezza e invecchiamento della popolazione, le famiglie e le imprese reagiscono aumentando la propensione al risparmio, riducendo quella al rischio, rimandando le decisioni di consumo e di investimento. Intanto si alzano i muri, fisici e simbolici, con il consenso dei cittadini, sollecitati con consultazioni referendarie dai governi in Gran Bretagna, in Ungheria, in Austria.

Se fino a qualche anno fa potevamo immaginare l'Europa come una serie di treni in marcia verso una destinazione comune, oggi l'immagine che meglio rende l'idea dello stato dei rapporti e delle prospettive è quella di un cantiere perenne, nel quale si percepisce un grande attivismo senza che si sviluppi il moto verso una direzione. Ma questa è la realtà con cui confrontarsi.
In questo cantiere l'Italia sta svolgendo un ruolo consapevole dei propri doveri di Stato fondatore, animata dalla genuina volontà di rimettere in moto la macchina della convergenza e della crescita. In questi anni abbiamo dimostrato ai partner di essere un paese affidabile, capace di tenere la spesa sotto controllo meglio di altri e di ridurre progressivamente l'indebitamento. Abbiamo operato entro le regole, condizione per ricostruire fiducia tra pari, anche se si tratta di regole scritte senza la dovuta attenzione alla necessità di promuovere la crescita, che in Europa non può basarsi sull'inerzia ma dovrà essere disegnata e sollecitata da precise scelte dei policy maker. L'Italia ha reagito agli sviluppi più recenti con un atteggiamento in controtendenza: laddove altri sembrano volersi ritirare nella zona di comfort apparente del nazionalismo per assecondare spinte populiste, noi abbiamo proposto una ripresa del percorso di integrazione sottolineandone l'urgenza, proponendo alcuni strumenti.
Il migration compact offre un quadro integrato di interventi a difesa di un bene pubblico comune quale i confini europei e di sviluppo delle condizioni di benessere nei paesi d'origine da cui muovono i migranti.
L'assicurazione europea contro la disoccupazione consentirebbe di assorbire l'impatto degli choc ciclici limitando le conseguenze negative di lungo periodo sul capitale umano.
Un ministro delle Finanze dell'eurozona potrebbe implementare interventi di utilità comune per arginare crisi di diversa natura. Una governance del quadro economico più organica e coordinata incentiverebbe scelte pragmatiche capaci di dare risposte concrete. L'Ue deve accelerare l'integrazione del mercato interno, dare impulso a investimenti pubblici e privati, accelerare i processi di innovazione indispensabili a un'area economica caratterizzata dall'invecchiamento della popolazione. L'Europa può dare risposte più efficienti e più efficaci ai problemi della sicurezza, alla minaccia del terrorismo, alla sfida delle migrazioni. Solo il coraggio di un progetto per il futuro può restituire fiducia ai cittadini.

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