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Intervista al ministro Padoan: “Un bonus contro la povertà può aiutare la crescita"

La Stampa - 12/04/2015

di Alessandro Barbera

Ministro Padoan, a lei piace la parola tesoretto?
«Per nulla. Sembra di parlare di soldi usciti dal cappello».

E invece? II centrodestra vi accusa di scambiare per fondi aggiuntivi un aumento del deficit.
«È vero il contrario. Siccome la crescita migliora, e siccome confermiamo gli obiettivi di deficit, ne deriva uno spazio fiscale. Gli economisti di quella parte politica dovrebbero riconoscere che non c'è nulla di strano».

Sulla destinazione di questo miliardo e mezzo deciderete entro le elezioni regionali?
«Non abbiamo ancora deciso. La politica economica è fatta di più fasi: il Documento di economia e finanza definisce il contesto, la legge di Stabilità entra nel dettaglio».

Sta dicendo che se ne parla in autunno?
«No, le sto dicendo che non abbiamo ancora deciso».

Le indiscrezioni dicono che il premier vorrebbe un intervento contro la povertà. A parte qualche voce, lo chiede tutto il Pd, compreso il suo vice al Tesoro Morando. Sarà questa la destinazione?
«Le opzioni possibili sono diverse. Però posso dirle che la strategia del governo ha più dimensioni: la crescita, il risanamento, l'inclusione, e dunque il sostegno ai redditi più bassi».

L'Europa potrebbe avere obiezioni? Se il problema dell'Italia è sostenere la crescita, per alcuni sarebbe meglio insistere nel ridurre le tasse sul lavoro.
«La logica di un intervento contro le povertà sarebbe la stessa che ci ha portato a introdurre il bonus degli ottanta euro. L'evidenza empirica dice che dove la distribuzione della ricchezza è più equa anche la crescita è migliore».

Nel Def che avete appena presentato le stime sono prudenti. Nel Pd e qualche suo collega ministro avrebbe preferito più ottimismo. Cosa risponde?
«Nel dibattito su questo provvedimento manca una dimensione: l'orizzonte temporale. Quello giusto è triennale. La prudenza serve a mantenere la rotta stabile. Poter confermare la rotta dà fiducia a famiglie e imprese».

Draghi dice che la ripresa che abbiamo di fronte è congiunturale. Ha ragione?
«Ha ragione, ma pecca di modestia quando non riconosce che le decisioni della Banca centrale europea hanno rafforzato la ripresa».

Ipotizziamo invece che la ripresa abbia una fine prematura. Pensa che stiamo cogliendo fino in fondo la «finestra di opportunità» di cui parlate anche nel Def?
«Per approfittarne al meglio dobbiamo fare tre cose. Rendere permanente ogni nuovo taglio di tasse, e questo può avvenire solo rendendo permanenti i tagli alla spesa; insistere con le riforme, perché cambiano in meglio il funzionamento dei mercati; infine, sostegno agli investimenti».

A proposito di tasse: l'ultima versione del Def ha fatto scendere la pressione fiscale di quest'anno dal 43,5% al 42,9, quella dell'anno prossimo dal 44,1 al 42,6. Eppure contate di ridurre le agevolazioni fiscali per ben 2,4 miliardi. Possibile?
«Abbiamo tenuto conto degli 80 euro che le regole di contabilità considerano spesa, e del fatto che la prossima legge di stabilità cancellerà la clausola di salvaguardia da 16 miliardi di euro».

Ci sono due punti interrogativi sulla pressione fiscale del 2016: la local tax e la conferma o meno della decontribuzione. Possiamo dare per scontato che sulla casa non pagheremo di più, e che confermerete lo sgravio per le assunzioni a tempo indeterminato?
«La local tax è tutta da costruire ma l'obiettivo è semplificare la vita ai comuni e ai contribuenti, non certo aumentare il peso delle tasse. Sui contributi faremo il possibile per alleggerirli ulteriormente».

Gli sgravi introdotti quest'anno stanno facendo salire l'occupazione stabile, per ora di posti nuovi se ne vedono pochi. Come mai?
«Il fatto che stia migliorando la qualità dei contratti mi sembra importante, ed è una risposta a chi diceva che questo governo stava aumentando la precarietà. Per il resto stiamo commentando ad aprile i dati acquisiti di febbraio. Insisto con la pazienza: gli elementi strutturali del Jobs Act daranno frutti nel medio termine».

In uno dei decreti del Jobs Act è spuntata una clausola di salvaguardia per chi assume i collaboratori: se i fondi dovessero terminare, pagano imprenditori e lavoratori autonomi. Un po' contraddittoria come scelta, non crede?
«Le clausole di salvaguardia sono uno strumento tecnico che garantisce gli equilibri di bilancio, soprattutto quando l'impatto di una misura non può essere valutato con certezza. Per questa norma abbiamo messo coperture che valgono, nei prossimi tre anni, rispettivamente 16, 58 e 67 milioni di euro. Se possiamo neutralizzare una clausola da 16 miliardi, non avremo difficoltà a trovare una soluzione per coprire costi aggiuntivi dalle nuove assunzioni, anche se fossero il doppio di quelli stimati».

Ripristinerete gli sgravi per chi firma contratti aziendali? L'anno scorso li avete tagliati.
«È un tema importante ma il bilancio non consente di fare tutto insieme. Una volta finito il percorso del Jobs Act dovremo discuterne».

Lei è favorevole ad una legge sulla rappresentanza dei sindacati?
«Se sindacati e imprese si mettessero d'accordo fra di loro, sarebbe un segno di grande lungimiranza. Se non lo fanno, valuteremo un intervento legislativo. Mutatis mutandis: le banche popolari hanno avuto vent'anni per autoriformarsi, poiché non lo hanno fatto, è intervenuto il governo».

A proposito. Nonostante il decreto sia legge, la sensazione è che non ci sia ancora quella spinta alle fusioni di cui avrebbe bisogno il sistema. Lei crede che a quel punto meglio farle comprare da qualche grande istituto straniero?
«Sono sicuro che le banche Popolari approfitteranno della opportunità che gli offre la trasformazione in società per azioni. Poiché siamo in un mercato integrato, talvolta potrebbero intervenire soggetti stranieri, talvolta saranno le nostre banche a fare acquisti all'estero».

Lei prima parlava della necessità dei tagli per ridurre le tasse. Renzi esclude che ce ne saranno di aggiuntivi per gli enti locali, il Def ne promette per altri dieci miliardi. Lo stesso premier ammette che ci sono "Regioni con sette Province e ventidue aziende sanitarie". Sulla riduzione delle partecipate siamo al palo, l'abolizione delle Province va a rilento. Non siete in ritardo?
«Margini per eliminare sprechi ce ne sono eccome, la revisione della spesa è viva e vegeta. Siccome le cifre obiettivo sono quelle note da tempo, bisogna fare ancora molti sforzi, che noi riteniamo importanti e utili per migliorare l'efficienza pubblica».

E sulle privatizzazioni? Non siete anche qui in ritardo sulla tabella di marcia?
«Le privatizzazioni riguardano situazioni diverse. In alcuni casi – come è accaduto di recente per l'ultimo pacchetto di azioni Enel – la scelta è stata dettata solo dalle condizioni del mercato. In altri – penso a Poste e Ferrovie – è necessario un processo di valorizzazione più lento e che ha l'obiettivo non solo di vendere, ma anche di migliorare l'efficienza di queste imprese e il funzionamento dei mercati in cui operano».

A proposito di efficienza dei mercati: le Ferrovie dello Stato ricevono fra i cinque e i sette miliardi all'anno a fondo perduto. Non sono troppi e non vanno tagliati, posto che su quelle stesse rotaie ci sarebbe anche un concorrente privato?
«È una possibilità. Per valorizzare occorre anche migliorare l'efficienza delle aziende pubbliche, e dunque modificare la politica dei sussidi».

I sindacati del pubblico impiego la mentano che nel Def mancano le risorse per i rinnovi contrattuali.
«Questa è una tipica questione che riguarda la legge di Stabilità e la riforma della pubblica amministrazione. Vedremo in quei contesti».

Sulle prospettive economiche è ottimista. E sulle residue possibilità della sua amata Roma di vincere ancora il campionato?
«Sono paziente, nel medio periodo vincerà. Per ora mi accontento che la Lazio sia alle nostre spalle».

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