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Il punto sulle ristrutturazioni bancarie, sistema più forte nel rispetto delle regole europee

Roma, 10 luglio 2017 – La riforma del settore bancario, per la quale il governo è impegnato da tempo, sta conseguendo lo scopo di migliorare la qualità degli operatori presenti sul mercato e renderne più trasparenti le attività e la governance. A beneficiarne sarà l’economia reale che potrà fare affidamento su una accresciuta disponibilità di flussi finanziari. Al tempo stesso gli interventi pubblici messi in atto rispettano lo spirito delle nuove regole comuni europee: gli operatori inefficienti escono dal mercato e le risorse pubbliche che vengono impiegate nelle diverse operazioni sono limitate dal coinvolgimento di azionisti e obbligazionisti subordinati, e sono fornite nella prospettiva di recuperarle nel tempo.

Gli interventi delle ultime settimane, che hanno visto l’uscita dal mercato di due banche in dissesto senza conseguenze per i clienti e i risparmiatori e l‘autorizzazione europea all‘aumento del capitale di Banca Monte dei Paschi di Siena, hanno indotto il Ministro dell’economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, ad affermare che “il peggio è alle spalle”. Vediamo perché.

Il 25 giugno il Consiglio dei Ministri ha deliberato la liquidazione di Banca Popolare di Vicenza e Banca Veneta. Un’operazione assistita da aiuti di Stato con lo scopo di limitare gli effetti negativi di una liquidazione ordinaria sull’economia e il tessuto sociale della Regione. Il 4 luglio la Commissione europea ha approvato il piano di ristrutturazione di Banca Monte dei Paschi di Siena, che prevede un aumento di capitale sottoscritto dallo Stato a scopo precauzionale per rafforzare il patrimonio della banca, così che risulti in grado di resistere anche alle eventuali gravi crisi del contesto economico ipotizzate nei test della Banca Centrale Europea.
Questi due interventi di ristrutturazione seguono la risoluzione di quattro banche regionali avvenuta nell’autunno del 2015. Complessivamente si tratta di tre interventi che hanno riguardato le sette banche per le quali erano emersi da tempo elementi di preoccupazione.
Questi focolai di crisi hanno fatto temere che l’intero settore bancario fosse sottoposto a tensioni e rischi tali da metterne in dubbio la sostenibilità. Tuttavia, mentre questi casi giungevano a una soluzione il peso complessivo dei crediti deteriorati ha cominciato a scendere rapidamente, dimostrando che il settore nel suo insieme è sano e ha saputo resistere a una profonda crisi di contesto.

Il settore bancario italiano ha attraversato la più grave recessione del Dopoguerra dimostrando una straordinaria resilienza. Infatti, a differenza di quanto accaduto in altri Paesi, l’Italia non ha dovuto iniettare ingenti risorse pubbliche per mettere in sicurezza il settore né ricorrere ad aiuti internazionali (come invece è accaduto in Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna, Cipro). Le banche italiane hanno adottato le misure necessarie ad adeguarsi all’evoluzione del contesto e alle sfide imposte dalle nuove tecnologiche e dal cambiamento dei comportamenti della clientela.
Il problema principale durante la crisi economica iniziata nel 2009 è rappresentato dall’impennata di crediti deteriorati, ovvero prestiti a imprese che – prevalentemente a causa della recessione – non sono state in grado di rispettare gli impegni assunti. Il fenomeno dei crediti deteriorati ha assunto in Italia connotazioni più gravi che altrove per due ragioni. La prima attiene all’eccessiva dipendenza dell’economia dal sistema bancario, in assenza di altri canali significativi di accesso a risorse finanziarie. La seconda è legata a comportamenti anomali del management, oggetto di indagini da parte della magistratura, che hanno compromesso la stabilità degli intermediari finanziari, provocandone in alcuni casi il dissesto.

La ristrutturazione del settore ha avuto luogo nel corso degli ultimi anni attraverso una serie di riforme strutturali adottate dal Governo con l’intento di promuoverne il consolidamento e quindi la trasparenza e l’efficienza. Al tempo stesso, crisi che covavano da tempo sono arrivate a un punto di non ritorno che i Governi hanno dovuto affrontare con soluzioni diversificate, adeguate alle specificità di ciascun singolo caso. Alcuni istituti di credito minori sono stati assorbiti da altri senza alcuna conseguenza. Altri hanno comportato costi a carico degli azionisti e di specifiche categorie di creditori quali i detentori di obbligazioni subordinate (o “junior”). In alcuni di questi casi il Governo è intervenuto per fornire aiuti di Stato – approvati dalla Commissione europea, che vigila per garantire il rispetto delle regole della leale concorrenza – in modo da scongiurare conseguenze peggiori per il tessuto economico e sociale. L’intervento dello Stato, laddove necessario, è temporaneo e limitato – come previsto dalle regole dell’Unione europea – e quindi le risorse della finanza pubblica impiegate in questa fase verranno recuperate nel tempo.

Oltre agli interventi sulla composizione dell’offerta, il Governo ha potenziato la capacità di recupero del credito da parte dei prestatori, ha rafforzato i tribunali specializzati nella gestione del contenzioso delle imprese, ha introdotto una specifica garanzia sulle operazioni di cartolarizzazione dei crediti in sofferenza.

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